simboli e pensieri
Claudio ama i simboli, gli piacea disegnarli, anche se disegnva malissimo, gli piacea guardarli perché i simboli stimolano i ricordi. Li ama ma non li mitizza perché le emozioni suscitate da ogni simbolo sono diverse nei diversi momenti e luoghi.
Il simbolo lo mette a contatto con le sue emozioni, con pezzi diversi della sua vita. Lo stesso simbolo può richiamare gioia e tristezza, fiducia e pessimismo: la croce, la bandiera rossa, la falce e martello, la corona ferrea, ma nella famiglia di origine ha trovato spazio anche il fascio littorio.
La croce
La croce è facile da disegnare, essenziale, simbolo di crudeltà romana; far morire la gente piano piano per soffocamento quando i muscoli delle braccia non ce la fanno più a sollevare il corpo per consentire la inspirazione.
La crudeltà dei chiodi nel foro del polso per lacerare un tendine e rendere ancora più doloroso il necessario sollevamento. La compassione crudele della rottura delle ossa delle gambe per rendere più rapida la fine, perché se ti spezzano le gambe ti manca la possibilità di sollevarti spingendo.
E il Dio dei cristiani ci è passato in mezzo perché voleva condividere la sofferenza. Nei giorno del COVID ci sono passate in mezzo tante persone, morte con l’esperienza drammatica dell’aria che va nel torace, ma gli alveoli polmonari non la ricevono e non c’è scambio con il sangue; hai bisogno di respirare ma dalla immissione forzata di aria non ne trai beneficio.
La croce, da molti secoli, è parte integrante del sistema di vita che definiamo occidentale ed è un riferimento per il 30% della popolazione mondiale in competizione con l’Islam che viaggia intorno al 20%.
L’Islam ha ascendenze comuni ma si distacca proprio sul ruolo del Cristo e della Croce. L’Islam si distacca anche nel rapporto con quello che, genericamente, chiamiamo il sistema democratico e, nei comportamenti collettivi, assomiglia molto al cristianesimo di qualche secolo fa. Per questa ragione il simbolo della mezzaluna non sta tra quelli in cui mi riconosco e non mi capita mai di disegnare la mezzaluna.
Dobbiamo riconoscere che la croce è un simbolo strano per una religione, simbolo di sofferenza inferta da Dio a sestesso in un racconto in cui, alla fine, la vita sconfigge la morte.
L’ultimo grande tentativo di sancirne il superamento e la inutilità (nei regimi comunisti della Russia e dei paesi europei dell’est) è stato sconfitto alla prova dei fatti. La Croce si è rivelata uno zoccolo duro; ha espresso una organizzazione e una comunità che nei secoli ha cambiato forma, modello organizzativo, etica, modello di leadership e oggi siamo nella fase in cui la Croce parla di solidarietà tra gli uomini e il Papa sembra essere uno dei pochi a lanciare la palla lunga prlando di cose scomode.
Sono un inguaribile razionalista, non credo al Cristianesimo e al suo progetto, ma sono ammirato sia dalla sua capacità di durare, magari cambiando pelle, sia dalla capacità di parlare al mondo.
La bandiera rossa
La bandiera rossa è un simbolo universale di riscatto: rosso a levante e a ponente, rosso scolpito nel cuor, rossa è la nostra bandiera, emblema di pace e lavor cantavo negli anni 70.
Bandiere sacre, di cotone pesante o di lino, piene di ricami in filo d’argento con il nome del partito e quello della sezione, quelle tenute nelle teche delle sezioni socialiste e comuniste degli anni 50 e 60; appese alle aste metalliche con la punta avvitata da tirar fuori in occasione delle feste istituzionali: il 25 aprile, il 1° maggio, il 2 giugno.
Negli anni in cui volevamo ribaltare il mondo c’erano altre bandiere, spesso più grandi, con dei manici di legno che non servivano solo a reggere il drappo. Stoffa di basso costo, in qualche caso, usando la serigrafia o delle mascherine, qualche altro simbolo, la faccia di Lenin, i faccioni di Marx (nonno buono), di Mao (uno zio sorridente), di Stalin (con i baffi e il sorriso rassicurante … se non fosse per quello che si sapeva la verità sui processi di Mosca e sulla picconata nel cranio di Trotkij).
Bello il distintivo della Cgil, un piccolo quadratino rosso e nient’altro, una specie di lievito proposto al mondo senza altre coise che potrebbero dividere.
La bandiera pensata come elemento di identità e di universalità, ma subito rinnegata se per caso si vedevano in giro altre bandiere, come quelle bianche della DC o quelle blù con la stella a sei punte di Israele. Si scende in piazza per festeggiare la liberazione e si usano le bandiere palestinesi (che nel 39 stavano con Hitler) per impedire la presenza di quelle della brigata ebraica. Siamo alla babele delle menti, ma succede.
Ci furono anche grossi problemi con il tricolore che, per buona parte degli anni 50, non godeva di grande popolarità ed era considerato una roba da fascisti anche se, il simbolo del PCI, per volontà di Togliatti aveva la bandiera rossa con sullo sfondo il tricolore.
Almeno sulla identità nazionale sembra che ci siamo anche se la Presidente del Consiglio continua ad usare un lessico un po’ superato ereditato dal nazionalismo novecentesco. Non dice mai stato democratico o popolo, o repubblica e dice sempre e solo nazione. Una minoranza di Italiani, purtroppo solo una minoranza, si riconosce nella bandiera dell’Europa e continua a sognare l’unità politica integrale. Ci sono problemi enormi perché più ti allarghi e più aumentano le disomogeneità, i diversi gradi di sviluppo, le impuntature sulle specificità nazionali.
La falce e martello
La falce e il martello incrociati, con la stella o senza stella, con il martello a destra (III internazionale) o a sinistra (IV internazionale) è un simbolo che ci rimanda alla fine dell’800, ai contadini che segavano il grano con il falcetto, all’operaio dell’industria pesante che ci dava di mazza sull’incudine.
Sono simboli condivisi tra movimento socialista e movimento comunista. Senza altri fronzoli nel movimento comunista, con il sole nascente e il libro aperto nel movimento socialista a rappresentare il sole dell’avvenire e la redenzione attraverso la cultura.
Sempre e comunque falce e martello sino alla fine del progetto, anticipato dalla scomparsa del simbolo: basta rosso, basta falce, basta martello … meglio un’apericena.
Siamo alla fine delle ideologie e al trionfo della tristezza. La politica ha smesso da tempo di essere una scelta di vita, anzi in alcuni casi la scelta di vita. E’ stato così anche per me in una fase della mia vita: prima il progetto, poi tutto il resto (la carriera, il lavoro, la famiglia, il tempo libero). Ora il rapporto con la politica si è fatto più laico e più soft.
La corona ferrea
Ma per me c’è anche la corona ferrea della reginaTeodolinda, quella del Duomo di Monza, quella che, secondo la tradizione, contiene nientemeno che uno dei chiodi della crocefissione del Cristo, quella che faceva da logo al calzaturificio monzese messo su dal nonno e proseguito da mio padre.
Insomma per me, se non fosse stato per certe strumentalizzazioni della Lega, la corona ferrea ci starebbe bene perché rimanda alle radici e le radici sono una faccenda tremendamente importante e saltano fuori in maniera indipendente dalle opzioni politiche e persino dai riferimenti culturali.
Ci sono altri simboli che non amo ma che rispetto perché rinviano ad altre emozioni, diverse dalle mie: le divise, i simboli di offesa come i pugnali, il fascio littorio che nella mia famiglia ha avuto un cero peso. Il fascio littorio è un simbolo di origine romana recuperato da chi aveva esaltato la romanità nel progetto espansivo di mare nostrum.
Io penso che la cosa davvero importante sia quella di non sdraiarsi sui simboli, non usarli come strumento di offesa, non idolatrarli, non trasformarli in un telegramma anziché in un racconto di emozioni.
Un solo simbolo mi dà orrore già a fior di pelle ed è la svastica. Penso che, parlando di svastica non occorrano altre spiegazioni.