memoria di vita, di scuola e di futuro
A sei anni mia madre scappava da scuola sotto le bombe e a nove mia figlia cominciava a diventare mia figlia. Per quanto mi riguarda, il fatto epocale che ha segnato la mia infanzia è stato “solo” l’andare a scuola felice.
Mi capita di pensarci spesso in questi giorni, perché non c’è confronto: mi sento svantaggiata rispetto alle esperienze infantili epocali delle due donne che siedono comode nella mia vita. Anche un bambino di oggi, grande domani, avrà memoria del tempo ammalato e strano che stiamo vivendo: un giorno potrà dire che c’è stato un anno in cui non ha fatto la festa di compleanno, è stato a casa da scuola per mesi e che non aveva mai visto così tanto i suoi genitori. Un pezzo da novanta nella memoria si porterà appresso questo bambino, accidenti. Ma sto correndo troppo.
Io non lo so che cosa sia la memoria: ogni tanto mi chiedo se ci appartenga o se siamo noi ad appartenerle, e perché. Se ci cambia o si riconosce in noi, se attacca il nostro presente o lo difende, se parteggia per la nostra adultità o la rallenta. Se tormenta o consola la nostra vecchiaia.Se vale la pena o la gioia tenersela stretta piuttosto che lasciarla andare.
Certo è che della memoria bisogna servirsene, cioè ricordare che c’è, anche quando vorremmo rimuoverla. Quando da risanati vogliamo dimenticare la sofferenza attraversata o usciti da un dolore dichiariamo di averlo superato, è quello il momento in cui la memoria accende la spia della sua necessità e inizia a viverci dentro, ci piaccia o no.
E poi ci sono memorie e memorie, quelle private, fatte di giochi & vestiti, amori & viaggi, malattie & lutti, e quelle comuni, nate da guerre e attentati o da stragi e omicidi, che non possono essere sminuite o trasformate in altro da ciò che sono. E quando questo accade è solo per ignoranza o dolo, perché “tertium non datur”.
Ma che ne sarà della memoria della guerra, una volta che la generazione di mia madre ci lascerà? Che ne sarà della sua corsa spaventata mano nella mano di sua madre sotto le bombe, quando non potremo più ascoltarlo? In quale racconto risuoneranno i suoi passi di bambina e la sua paura senza parole? Che ne sarà della memoria dei sopravvissuti e dei parenti delle vittime negli anni in cui l’unica strategia era il terrore?
Dove finiranno i ricordi di chi è uscito vivo accanto ai morti degli attentati? E la memoria dei testimoni degli omicidi politici e mafiosi che perseguitano la storia dei popoli, sarà ascoltata ancora? Con quale coraggio potremmo vivere nelle nostre tiepide case sapendo di non avere sfamato di verità e giustizia le storie – le memorie – che ci chiedono ospitalità?
Nel dubbio, meglio evitare che pure i ricordi diventino vittime. Magari facciamo qualcosa, già da domani. Buon 25 aprile.