Ama il prossimo tuo (Carlo Flamigni) – recensione

Si tratta della settima avventura dello scrittore investigatore romagnolo Primo Casadei e le dedico una recensione specifica perché si tratta di una bella storia e perchè trattandosi di una delle ultime fatiche di Carlo Flamigni c'è dentro molto di quello che c'è stato prima (nella storia di Primo Casadei e dei suoi personaggi), c'è come sempre tanta Romagna (in termini di linguaggio e di persone) e infine ci sono tante questioni di attualità che hanno a che fare con la politica (quella dei clericali sui temi dell'aborto e della pedofilia, quella dei benpensanti, quella degli ospedali, quella degli sporcaccioni, quella del funzionamento degli ospedali, quella delle scuole universitarie di specalità, in particolare in chirurgia).

Il materiale è davvero tanto e oggi al termine della seconda lettura (cosa che faccio di rado) ho deciso che, accanto alla versione digitale mandatami dall'autore qualche giorno fa e che ho usato per la lettura, volevo anche la carta e ho proceduto all'ordine via Internet. Spero, al termine della pandemia, di avere l'occasione per una dedica da parte di Carlo Flamigni.

In copertina vedete in maniera stilizzata il personalissimo ufficio di Primo Casadei: tra il casale di Proverbio dove vivono tutti, e la strada c'è un lungo viale sterrato al termine del quale un cancello di ferro sempre accostato e con il citofono consente di avere un luogo tranquillo dove parlare quando arriva qualcuno in visita e questo accade anche nel romanzo (i bravi serbi della mala legata alla pedofilia, l'infermiera robusta erede della famiglia Lumazz, il chirurgo Edile e suo padre Viliero, commercialista, eredi degli Sbaraja).

Nel romanzo c'è una parte iniziale in cui si racconta la storia e la vita di due famiglie contadine da cui discendono alcuni dei protagonisti: vita di mezzadri poveri, vita di donne che sfornano 10 figli, che invecchiano precocemente e sono costrette a mettere nel letto del marito le figlie più grandi, storie di osteria con le sguattere a disposizione dei clienti, storie di ostetriche e di una medicina di base inesistente, storie di ospedali (altro che malasanità)


la babysitter e gli omogeneizzati

Trovato e l’Armida si muovevano da casa all’alba, nei primi anni da soli, poi con i bambini più grandi, e rientravano solo all’imbrunire; i bambini piccoli restavano a casa affidati a se stessi, consolati solo dai bocconi già masticati dagli adulti di “pane e qualcosa” che i genitori preparavano per loro prima di uscire e allineavano su una panca di legno perché si potessero sfamare: pane formaggio saliva e mosche, pane cipolla saliva e formiche.


a 40 anni e 10 figli Trovato inizia ad andare all'osteria … la figlia più grande nel letto

il problema era che la famiglia non si poteva permettere di avere in casa un uomo che le sottraeva quei pochissimi denari risparmiati che erano indispensabili per le emergenze; il problema era che ben presto quei denari sarebbero terminati e allora inevitabilmente sarebbero cominciati i debiti, sarebbe arrivata la rovina. Così l’Armida ci ragionò sopra a lungo e prese l’unica decisione possibile. Prese in disparte la Zaira, la figlia più grande, che aveva ormai 15 anni ed era diventata una ragazza abbastanza carina, e le parlò. Così quando Trovato tornò a casa a tarda sera, dopo la sua ormai consueta visita all’osteria, trovò la figlia che lo aspettava nel letto grande, disposta ad accontentarlo. E così Trovato smise di uscire alla sera e la Zobaide dovette cercarsi un altro uomo da sfruttare... la famiglia si riassestò intorno a un nuovo equilibrio: la madre si preparò un letto in uno sgabuzzino vicino alla stalla, i bambini sapevano, ma non giudicavano. Nessun altro era a conoscenza di questo sventurato accordo, ma poi, in fondo, da quelle parti la cosa non era poi tanto straordinaria, la miseria colora i fatti della vita in un modo tutto suo, chi non l’ha mai provata non può vedere quei colori, è come se fosse daltonico.


la Zaira rifiuta l'aborto partorisce e fa la sguattera all'osteria

Ma le ragazze delle osterie non avevano in genere una vita lunga. Un cliente, chissà chi, la contagiò di scolo, e quelli erano tempi nei quali queste malattie guarivano con difficoltà. La Zaira per un po’ si sottrasse ai suoi impegni sessuali, ma la notizia della sua malattia si sparse e alcuni buontemponi sempre sbronzi decisero di farle uno scherzo: mentre un paio di loro, sbellicandosi dalle risate, la tenevano ferma e le divaricavano le gambe, un terzo la “disinfestò” con uno di quei soffietti che si usavano per dare gli anticrittogamici alle viti, roba terribilmente urticante, a base di zolfo. Il dolore fu evidentemente insopportabile e la Zaira cercò conforto andando a immergersi, così vestita com’era, in una grande vasca piena di acqua puzzolente che serviva per macerare la canapa e che era piena di rane e di bisce.


L'Umazz era Trovato, il padre padrone e, nel capitolo successivo incontriamo gli Sbaraja meno miseri ma con una drammatica vicenda legata ad una gravidanza difficile tra ginecologi inesperti ed ospedali che servivano prevalentemente alla formazione dei medici.


Quelli erano tempi in cui gli ospedali si occupavano quasi esclusivamente della povera gente, anche se avevano alcune camere dove venivano ricoverate, a pagamento, le persone abbienti, che in quel modo godevano del privilegio di ricevere le cure personali dei primari. D’altra parte le istituzioni ospedaliere avevano, tra i loro scopi principali, quello di provvedere alla preparazione professionale dei giovani medici, i quali, per contratto, dovevano lasciar libero il proprio posto di assistente dopo un internato di due o tre anni, un periodo che solo in casi particolari veniva raddoppiato: la conseguenza di questo stato di cose era la diffusa sensazione che farsi ricoverare in ospedale corrispondesse a offrirsi come cavie a giovani medici certamente ricchi di buona volontà ma altrettanto poveri di esperienza e di cultura, così che le famiglie cercavano di trattenere i propri malati in casa evitando finché era possibile il rischio del ricovero


Terminata la descrizione delle due famiglie inizia la settima avventura di Primo che, nel frattempo (su richiesta del partito) si è presentato alle elezioni di Forlì, ha ottenuto un sacco di preferenze e deve resistere perché l'establishment vorrebbe un suo impegno diretto come assessore; resiste e si limita a presiedere la commissione sanità rispondendo direttamente al sindaco che si è tenuto la delega assessorile, ma come presidente, oltre ad avere un ufficio in comune ha accesso diretto al mondo della sanità, quello che è al centro del romanzo.

Il vecchio primario di chirurgia è andato in pensione e a sostituirlo è arrivato dalle Marche, uno degli Sbaraja, Edile Servadei. Edile ha una sessantina d'anni e dopo aver preso la specialità a Bologna  è emigrato al Sud a fare dapprima l'aiuto e poi il primario. Dalla Calabria è passato nelle Marche ed ora è finalmente a casa, Ma le cose non vanno tanto bene; la città (e anche Primo) vengono inondati di lettere anonime su una sua presunta incapacità professionale e dopo le lettere arrivano, misteriosamente, tre morti per embolia polmonare dopo interventi su questioni chirurgiche diverse e di ridotta complessità. Un mistero.

Per il ruolo in comune e poichè Maitè, la moglie di Pavolone, deve essere operata per un ascesso mammario da allattamento, Primo ci si trova sbattuto in mezzo ed entra in scena anche una simpatica infermiera di reparto, Iride Fusconi, che seguirà Maitè anche a casa per le terapie antibiotiche post intervento.


“Pensa che ci possano essere problemi?”
“Mamma mia, no, non ci mancherebbe altro. E’solo brutto da vedere”. Lo guardò con aria curiosa, divertita.
“Lo sa che questo Primario è nuovo?” gli chiese.
“Funziona come con le scope?” Chiese Primo.
“Funziona come con i Primari” gli rispose lei; gli diede un colpo a mano aperta sulla spalla, gli sorrise ancora e se ne andò. Era grossa, ma si muoveva rapidamente, sembrava che pattinasse sul pavimento lucido.


Scopriremo alla fine che Iride viene dai Lumazz e che i destini delle due famiglie si sono ricongiunti.

Il romanzo ha per oggetto lo scandalo dei morti per embolia, la sospensione cautelare del primario, un ricorso al TAR per la riapertura del reparto e, alla fine, la misteriosa uccissione di Edile su cui farà luce Primo. E' un giallo e dunque non vi racconto come va a finire ma nel giallo, come in tutti i romanzi di Flamigni, si mischiano molte vicende parallele:

  • i tre amici più stretti di Proverbio, compagni di Maraffone, Camisò, Lamirò e Pistola (Ma la cosa che divertiva di più Primo  era il lessico che si riferiva alle carte da gioco: la camisa lôrda, la camicia lorda, era l’asso di spade, nel quale è raffigurato un bambino; e trastól dal dón, il divertimento delle donne, l’asso di bastoni; i ócc dla zvèta, gli occhi della civetta, il due di denari, che qualcuno poteva anche chiamare agli öv frèti, le uova fritte; al còs dla nóna, le cosce della nonna, indicavano  il due di bastoni, e così via).
    I tre compagni di Maraffone sono personaggi ben inseriti nella realtà del capoluogo (uno aveva diretto il più grosso albergo della città, un altro aveva fatto il magistrato e il terzo aveva lungamente lavorato al Genio Civile). Parlano in dialetto ma sanno tutto di Forlì e danno una grossa mano a Primo nel conoscere e comprendere ciò che accade ed è accaduto in città.
  • Beatrice e Berenice, le due gemelline di Primo vengono beccate, insieme a tre compagne nel bagno dei maschietti mentre con in mano un righello si apprestano a stabilire su loro richiesta, tra i compagni, chi ce l'ha più lungo. Dinamiche scuola-famiglia, omertà delle famiglie, scoperta che sui telefonini dei maschietti c'erano foto inequivocabili di un analogo concorso tra gli adulti. Dice una delle gemelle “C’erano dei birilli grossi come il cristiano duro della mamma e non si capiva come potessero stare attaccati in quella posizione” disse Beatrice, che conservava ancora accenti di meravigliato stupore. “In ogni caso erano persone grandi, non ragazzini, non sembrava nemmeno che si divertissero, sembrava che avessero tutti il mal di denti”.
    Primo si permise di sorridere dentro di sé, la questione del “cristiano duro” aveva a che fare con i molti tentativi di Maria di tradurre il suo romagnolo in un italiano, non dico corretto, ma almeno comprensibile. Così il dialettale s’ciadur, interpretazione abbastanza fedele del tardo latino subtiliare e subtiliatoriu, che significa assottigliare, rendere più sottile, schiacciare se proprio volete, diventato a sua volta sinonimo un po’ strambo di “matterello”, era stato trasformato in “cristiano” (s’cian) “duro “(dur)

    La questione dei birilli verrà risolta grazie all'intervento degli amici malavitosi di Primo e a qualche smataflone da parte di Pavolone e la soluzione del problema renderà improvvisamente coraggiose le famiglie dei ragazzini che inizialmente avevano assunto una posizione omertosa.
  • C'è anche di mezzo una vicenda legata alla pillola del giorno dopo e ai tentativi della Curia di intervenire per rendere più complicata la libertà di scelta delle donne rispetto alla IVG
  • Conosciamo un po' della vita dell'Iride che a Primo sta simpatica e gli dà una mano impietosamente a conoscere il mondo dell'ospedale parlandogli del vecchio primario di cui ha una grande stima. Iride vive con un'altra infermiera ed è tutta casa ed ospedale. “ Ero abituata al vecchio Primario- ammise l’Iride – aveva il fascino delle persone perbene, degli uomini seri, non tollerava furberie. Lei non sa come sono i medici, si farebbero bruciare vivi pur di non dover riconoscere di avere sbagliato e doversi prendere una colpa. E poi tendono a non stare alle regole, soprattutto se di mezzo ci sono i soldi. Ci fu uno che provò a portarsi dentro i pazienti personali, per operarli personalmente, ci mise un mese a raccogliersi i denti da terra, comunque dovette andarsene. Eppure non è un uomo rigido, è solo un uomo perbene. I rappresentanti di medicinali avevano smesso di chiedergli un colloquio, tanto non li ascoltava nemmeno. Non era un uomo che si potesse comprare.
    “Succede che qualcuno si lasci comprare”.
    “Direi che è quasi la regola. Certo, non soldi, almeno per quanto ne so io. Viaggi, regali. Pensi ai Congressi: si fanno sempre in luoghi ameni, posti dove la gente va a villeggiare. I medici ci vanno con un permesso speciale dell’ASL, un periodo di studio che non viene conteggiato per le ferie, ragioni scientifiche, almeno così dicono. Si portano la famiglia e l’ industria che sponsorizza il convegno li spesa completamente. I medici più seri ci vanno una volta e non ci tornano più: dicono che ci sono due o tremila iscritti e trenta persone nelle aule”.

E si arriva al colpo di scena. Il primario viene trovato ucciso da un colpo di pistola in fronte nel vecchio podere degli Sbaraja e Primo Casadei intuisce che, per capirci qualcosa deve indagare sul suo passato. Si reca in Calabria e poi nelle Marche e i suoi collaboratori delineano la figura di un santo laico. C'è un buco nero, il periodo di tempo tra l'abbandono dei lavori inutili alla clinica universitaria e il trasferimento in Calabria. C'è la descrizione impietosa delle scuole di specialità dove non si impara nulla, dove, soprattutto non si impara ad operare … e verrà da lì la soluzione del caso.


Ama il prossimo tuo
Carlo Flamigni

Editore: Ananke Lab Collana: Narrativa Anno edizione: 2016 Pagine: 175 p., Rilegato 13 € in epub o kindle 7 €