Carlo Flamigni – Orgoglio e povertà (romanzo storico) – recensione
Se vi piace studiare la storia attraverso le microstorie questo libro fa per voi. Dai tempi di Mazzini la Romagna è stata terra di Repubblicani e ancora oggi, da quelle parti, i repubblicani ormai spariti altrove con l'avvento della II repubblica, esistono ancora. Uno dei triumviri (Mazzini, Saffi, Armellini) della repubblica romana Aurelio Saffi era di Forlì ed ha vissuto gli ultmi anni della sua vita nella sua villa di San Varano (nei pressi di Forlì) sino alla morte avvenuta il 10 aprile 1890.
Sempre da quelle parti, verso Castrocaro, sulla valle del Montone che risale l'Appennino e dopo il passo del Muraglione scende in Toscana sino a Pontassieve, viveva Andrea Mengozzi (Muzghina) il nonno materno di Carlo Flamigni e la sua storia in sintesi la troviamo già in Un tranquillo paese di montagna dove si sintetizza la vita di Muzghina, che, nel romanzo, è il nonno paterno di Primo Casadei. Il cerchio si chiude e dunque, come si capisce dalla lettura dei romanzi, Primo Casadei e e Carlo Flamigni sono un po' parenti e forse qualcosa di più.
Il libro si apre con una filastrocca di Olindo Guerrini in dialetto stretto che, per ragioni di comprensibilità vi riporto in italiano:
E dagli! Tutti quanti ce l'hanno con la Romagna
Che sembra essere la cava degli assassini.
Sono tutte calunnie di birichini
Divorati da una vergognosa invidia.
Invece si può girare per la campagna
Che nemmeno abbaia un cane da contadino;
Nessuno pensa a rubare, tutti si amano,
Lavorano, faticano e se li guadagnano.
Il male è che di tanto in tanto vanno via
E non se ne sa più nulla, tant'è vero
Che il Segretario mi ha raccontato che frattanto
Il Sindaco nuovo della Terra e di Castrocaro
Ha proposto di demolire il camposanto
Tanto muoiono tutti in galera.
Ho messo la filastrocca perché la sintesi del libro è tutta qui: il racconto della vita di Muzghina intrecciata con quella di un altro Mengozzi, Luigi, detto Gigì ad Masò, figlio di un mugnaio di Castrocaro.
Tra i due c'è una comunanza di pensiero ma anche un contrasto forse dovuto al fatto che Gigì è segretamente innamorato di lui e non tollera il fatto che a Muzghina piacciano le donne. Andrea si mette con la sorella minore della moglie morta di TBC; lei si è sposata con un affiliato al circolo appena partito per il servizio militare e la cosa scatena una vicenda di espulsione per indegnità morale che porterà alla rottura tra Gigì e Muzghina ma anche a forti contrasti tra il circolo di Castrocaro e le strutture provinciali che sono per una gestione più soft della vicenda.
Muzghina e Gigì appartengono alla generazione di quelli nati troppo tardi per fare il Risorgimento, dei giovani che sono tali negli anni 80 dell'ottocento: avevano subito il contagio delle idee internazionaliste, qualche volta nella versione socialista, qualche volta nella versione anarcoide di Bakunin e questo era stata causa di malessere per molti affiliati .
Il partito socialista non è ancora nato, ma tra i repubblicani si fanno strada posizioni più intransigenti e l'esigenza di farla finita con i Savoia. Nasce così l'idea pazza e avventurosa di tentare una sollevazione popolare in Romagna partendo dal monte Sassone (un monticello tra Castrocaro e Modigliana).
Il racconto della tentata sollevazione popolare è occasione per analizzare le posizioni e le strutture organizzative dei circoli repubblicani romagnoli oltre che il ruolo svolto dai discepoli di Mazzini dopo la sua morte, e tra questi Aurelio Saffi.
I circoli della città decidono di lasciar perdere e così, rispetto ad un progetto iniziale di un migliaio di insorti, si ritroveranno in una quarantina e non se ne farà nulla. Della sollevazione tutti ne parlano ma nessuno la vede anche se ne seguirà una indagine di polizia occhiuta che si conclude con l'assassinio del delegato di polizia e la incarcerazione di alcuni attivisti di Castrocaro che vengono portati al carcere delle Murate di Firenze.
Le cose vanno per le lunghe e Gigì, che sa come è andata, si impicca in carcere autoaccusandosi nella speranza di far liberare i compagni.
L'ultima parte del libro è dedicata alla trascrizione dell'incontro e colloquio tra la moglie di Aurelio Saffi e Muzghina e ad una riflessione sull'essere romagnoli dopo l'unità d'Italia.
Ma non sono sicuro che lei capisca fino in fondo cosa significa nascere e vivere da contadini. Ci spacchiamo la schiena dalla mattina alla sera, il lavoro è duro e lentamente ci uccide, sappiamo che una grandinata mortifica un anno intero delle nostre fatiche, ma non ce ne curiamo.
Le nostre case sono fredde, molti dei nostri figli muoiono di polmonite, in inverno dobbiamo spezzare il ghiaccio del catino per lavarci la faccia, un bagno intero lo possiamo fare solo d’estate, ma continuiamo a lavorare e piano piano diventiamo sempre più curvi, più magri e più deboli fino a che un soffio di corina non ci solleva da terra e ci porta via.
Le nostre donne a trent’anni sembrano delle vecchiette, hanno avuto più figli e più aborti di quanti lei ne possa contare in tutte le sue migliori amiche, ma vanno a lavorare anche il pomeriggio del giorno in cui hanno partorito, debbono dare l’esempio. Malgrado tutto ciò viviamo una vita onesta e cerchiamo di fare in modo che sia così anche per i nostri figli.
Ma come si fa a insegnare ai figli cosa vuol dire vivere una vita onesta? Vede, signora contessa, per noi una stretta di mano è un patto che non si può in alcun caso infrangere, la moglie del vicino è vestita di una armatura, il podere del vicino è difeso da un fosso, che per noi è un muro invalicabile, come quello di una fortezza, abbiamo il senso della fratellanza e della solidarietà, capiamo cosa vuol dire compassione.
Tutte queste, signora contessa, sono virtù, virtù che dobbiamo tramettere ai nostri figli, spiegando loro che in cambio di queste virtù avranno freddo d’inverno, caldo d’estate, la schiena rotta dalla fatica, nessuna ricompensa. E che il giorno che chiuderanno gli occhi sarà tutto finito, veramente finito, nessuna porta aperta per un mondo migliore, nessun premio per la bontà dimostrata in vita, o per la pazienza o la tolleranza, dica lei.
Semmai, se verrà la grandine, la timpesta, possiamo promettere fame e stenti per tutti Dobbiamo indirizzarli a una vita di sacrifici e di rinunce, senza poter indicare loro nemmeno l’ombra di un premio? Ebbene signora contessa, il premio in realtà c’è, anche se è difficile definirlo. Il premio è la nostra dignità, l’unica nobiltà alla quale un contadino può aspirare.
Per una persona che crede in Dio il problema è diverso, un premio se lo può attendere nella sua vita ultraterrena, ma per noi, che con Dio ci abbiamo litigato? Vede contessa, di questo stiamo parlando, della dignità di Gigì ad Mason. Lei può dirmi che ormai Luigi è morto, che della dignità non se ne fa più niente, ma non è vero contessa, la dignità è la cosa che ci ha lasciato, la cosa che vuole che ricordiamo di lui, la sua eredità. La sua è stata una morte dignitosa perché l’ha dedicata ai suoi fratelli, un segno di grande compassione. Per noi questa eredità comporta un obbligo, dobbiamo proteggere il ricordo di un amico che ha dato la vita per tutti i suoi fratelli e che merita riconoscenza: anche per noi, dunque, un problema di dignità, la nostra questa volta….
Questa è la spiegazione delle parole con le quali mi ha salutato, io sono tenuto a proteggere la dignità di un amico fraterno. Tirare in ballo un rapporto di amicizia complesso e non del tutto limpido, lasciare spazio per i pettegolezzi e le maldicenze, vuol dire lasciare che la dignità di Luigi se la rosicchino i topi, le faine e le volpi di Castrocaro. Per favore, contessa, lasciamo le cose come stanno. Per favore.
Orgoglio e povertà. Ovvero: la politica sognata dai poveri
Carlo Flamigni
Editore: Il Ponte Vecchio, 2019, 168 p. 13 €