Italia Viva
L'abbandono del PD da parte di Renzi e di una parte dei renziani segna la fine della fase politica iniziata con le mosse estive di Salvini: c'è un governo con tre gambe (5*, PD, Italia Viva) e un pezzo (LEU), c'è, in embrione, una nuova forza politica tutta da fare.
Per quanto riguarda il governo attendo gli atti perché un governo si giudica dai fatti e non dall'elenco ottimo e abbondante snocciolato da Conte in Parlamento. La mia opinione l'ho scritta negli articoli precedenti e continuo a pensare che sarebbe stato meglio votare subito e far fare la manovra al vincitore delle elezioni. tornare ai fondamentali – Meglio perdere con onore, piuttosto che perdere le elezioni e la faccia – tanto peggio tanto meglio? – votare per evitare il peggio del peggio.
E veniamo alla scissione del PD.
Prima se ne è andato Bersani e ora, per ragioni opposte, se ne va Renzi, ma se ne sono andati anche Epifani e Veltroni (a vita privata). Lì dentro c'è qualcosa che non funziona: la fusione tra popolarismo cattolico e componente ex PCI non è avvenuta (è la differenza tra un'amalgama in cui i diversi componenti si mischiano ma non si uniscono e una soluzione). Il partito ha continuato ad oscillare tra impronta socialdemocratica con ascendenza picista e forza liberal-socialista. L'unico tentativo di cambiamento di orizzonte (quello di Renzi) non ha funzionato nè sul piano del consenso (dal 26, al 40, al 18%) nè sul piano dei risultati perché l'obiettivo principale (la riforma costituzionale della struttura dello stato) è stato clamorosamente battuto.
Alla sconfitta sul referendum sono seguite quelle elettorali, sia sul fronte degli enti locali sia sul fronte politico generale con le elezioni politiche del 2018 e quelle europee del 2019. Il comportamento di Renzi non è stato all'altezza del ruolo. Si è sganciato dall'impegno nel partito e ritengo corrette le critiche che gli ha mosso Zingaretti (gravi le assenze sistematiche alle riunioni di direzione che recentemente sono state addirittura teorizzate) sino alla scelta di mandare al congresso il tandem Giachetti Ascani tanto per dire ci siamo anche noi.
Insomma è stato uno stillicidio di non politica e di manovre tese a creare un dualismo tra partito (in mano a Zingaretti) e gruppi parlamentari (in mano a Renzi). Qualcosa di analogo caratterizzò la storia del PSI dal 19 al 24 del secolo scorso.
Nel giorno della rottura Renzi è intervenuto a Porta a Porta e, nel salotto di Vespa, ha fatto una lunga e interessante intervista (atteggiamento da leader, grande sicurezza, prossemica all'altezza del ruolo). In sintesi:
- differenze tra la situazione del 2018 e quella del 2019 in relazione ai 5 stelle per cui diventerebbe lecito nel 2019 ciò che era immondo nel 2018 (per effetto delle modifiche dentro i 5 stelle e della necessaria lotta al sovranismo dilagante)
- necessità di sfruttare gli errori di Salvini per metterlo all'angolo grazie all'uso accorto dei meccanismi parlamentari e costituzionali nella gestione della crisi
- necessità che la legislatura attuale riesca ad eleggere il nuovo capo dello stato
- necessità di riaprire i ponti con la cultura, la civiltà e la politica europea
- consttazione senza polemiche che bisogna andare oltre il PD e che l'aria dentro il PD si era fatta irrespirabile nel gioco delle correnti e delle sottocorrenti
- rottura soft con il PD senza forzare sulla uscita dei parlamentari renziani
- atteggiamento leale nei confronti del governo Conte e lotta aperta al salvinismo (Salvini è stato sfidato ad un confronto da Vespa ed ha accettato in diretta)
- orizzonte temporale di tre anni per lavorare alla costruzione di una nuova forza politica che abbia come suo obiettivo le elezioni politiche del 2023 e dunque non si faccia condizionare dai sondaggi ma lavori su aggregazione dal basso ed elaborazione di nuove alleanze e nuove politiche
- scelta della rottura presa a inizio agosto durante la scuola politica per i giovani da lui organizzata in provincia di Lucca (presa guardando a quei giovani)
Finito il riassunto vengo alle cose che non mi convincono e che mi fanno rimanere in una posizione interlocutoria. A differenza di altri riformisti liberal non ho il problema della uscita dal PD perché, dopo la diversità di opinioni sul modo di presentarsi alle amministrative di Monticiano (io ero per una lista civica mentre il partito optò per la lista di centrosinistra), ci hanno pensato loro a mettermi nella lista dei reprobi (come se non fossi mai esistito); ma la cosa ha coinciso con il disimpegno di Renzi e con il trionfo dei tatticismi, così da farmi mancare riferimenti sia locali sia nazionali (e dunque niente tessera nel 2018 e nel 2019).
La scissione fredda è avvenuta in un contesto in cui Renzi ha imposto un mutamento di rotta politica al PD, ha vinto ma lo ha fatto con le interviste sui giornali e non con la discussione nel partito comportandosi nei confronti del PD come un piccolo dittatore: adesso ve lo spiego io cosa dovete fare; ha dato scacco a Salvini e ha imposto quella apertura ai 5 stelle che sino a pochi mesi prima era considerata l'esame finestra per individuare i traditori.
Si sono ribellati in pochi alla tattica senza strategia e nel gruppo dirigente solo in due (Calenda e Richetti); la vox populi, renziani, franceschiniani e zingarettiani li ha subito trasformati in reprobi da far dimettere. Impressionante la direzione che nel giro di due settimane ha votato con il solo voto contrario di Richetti una inversione di rotta di 180° (meglio il centralismo democratico del PCI).
La tattica costringerà sia ad ingoiare rospi sia a non disporre di un orizzonte di innovazione a livello di governo:
- riduzione del numero di parlamentari e provvedimenti di adeguamento della legge elettorale in senso proporzionale; mi fa una certa impressione che resti in mano alla destra la battaglia per la democrazia governante
- verrà usato l'approccio del taglia e medica nei confronti dei provvedimenti salviniani su sicurezza e immigrazione
- si dovrà confermare il reddito di cittadinanza ovvero la certificazione dell'assistenzialismo spacciato per sostegno al'occupazione
- si confermerà quota 100 per i tre anni previsti
- si dovrà fare la manovra sulla sterilizzazione degli aumenti automatici dell'IVA e dunque dell'elenco di sogni snocciolati da Conte rimarrà poco per la scuola, il sociale e la sanità
- si dovrà ….
Ma se si dovrà, dove e quando si farà la battaglia per cambiare l'Italia? Come si farà a farlo se la maggioranza degli italiani ha l'impressione che si sia fatta una manovra costituzionalmente legittima ma decisamente inopportuna?
Fatto il governo io mi auguro che faccia e che duri ma mi chiedo Italia Viva (dove viva è sia aggettivo sia un congiuntivo esortativo) riuscirà ad avere uno spazio di proposta e innovazione dovendo nel contempo guardare al futuro e difendere il presente? Riuscirà Italia Viva ad agganciare la quota di elettorato moderato che non si fida del PD e rischia di essere risucchiato dalla marea di destra?
In proposito sono pessimista. Lo sono perché Renzi, con in mano la stragrande maggioranza del PD, non è riuscito a trovare strumenti di organizzazione interna efficaci e a collegare circoli e società civile. Sono andato a rileggermi le considerazioni del 2017 su Il mio congresso del PD e ho qualche dubbio sulla possibilità che in condizione di debolezza si possa fare ciò che non fu fatto in condizioni di forza. La rete ha cambiato tutto (molto spersso in peggio rispetto alla partecipazione) e ci si ostina a limitarsi alla polemica sterile contro la piattaforma Rousseau.
C'è chi stringe i denti e dice resto nel PD, c'è chi è sfiduciato, c'è chi va con Renzi, ma è del tutto evidente che siamo al buio e non si vede nemmeno la debole luminosità dell'aurora. E' evidente che se si vuole usare bene la carta del governare per resistere a Salvini bisogna fare scelte conseguenti e dunque non vedo nulla di strano nelle proposte di estendere il patto di governo in ambito regionale lavorando bene sulle candidature e sul marchio. I 5 stelle hanno il vincolo delle liste civiche (ognuno ha le sue regole e i suoi problemi), il PD, nel caso dell'Umbria, viene da uno scandalo sulle nomine della sanità (e su questo argomento nessuna forza politica, Salvini in testa, può fare la vergine dai candidi manti). Se si crede nel governo di legislatura bisogna crederci sul serio perché c'è una questione di coerenza e quello della coerenza è un tema importante su cui il centro destra ha lucrato.
Certo, da uomo di scuola, mi vien da dire che la battaglia per difendere la razionalità, la tolleranza, lo smascheramento delle falsità, merita comunque di essere fatta, anche se nell'immediato, può capitare di perdere. Meglio perdere una battaglia che perdere la faccia.
L'ho scritto scherzandoci su su Facebook; mi sento come uno dei veterani di Napoleone, usi ad obbedir tacendo che, mentre tacevano, mentre giustificavano, mentre speravano, si rendevano progressivamente conto che il capo le stava sbagliando una dietro l'altra sino alla sconfitta di Lipsia, quella prima di Waterloo.