aria di svolta (a metà) sotto la Torre del Mangia
Domenica scorsa si è votato a Siena per la elezione del Sindaco e il risultato è stato interlocutorio. Non poteva essere diversamente data la presenza di ben quattro candidati sufficientemente forti da poter aspirare alla carica di Sindaco, ma non sufficientemente forti da pensare di farcela al prima turno.
Bruno Valentini: è il sindaco uscente, già Sindaco di Monteriggioni, uomo del PD, inizialmente renziano, ma poco amato dal PD. Il PD che ha cercato sino alla fine di puntare su altre ipotesi o almeno di arrivare alle primarie. Valentini si è impuntato, ha minacciato di correre da solo e così il PD ha fatto buon viso a cattivo gioco e, seppur in dirittura di arrivo, ha deciso di appoggiarlo.
Valentini non è molto amato in città tanto è vero che la campagna elettorale è stata caratterizzata da una fortissima deriva del tipo questa è la volta buona in cui si sommavano il giudizio negativo sul sindaco uscente (accusato di gestione grigia) e la volontà di spezzare il sistema amministrativo senese, che non ha mai avuto svolte dalla Liberazione, sempre dominato dal PCI con percentuali bulgare e con una struttura organizzativa che, negli anni 60, vedeva la presenza di un iscriuttto ogni tre elettori. Dopo il PCI sono venuti i diversi partiti eredi secondo il meccanismo, in base al quale, il partito cambia nome ma è sempre il partito.
Valentini si è presentato anche con una lista civica sua (con la presenza di qualche assessore uscente) e ha totalizzato complessivamente 6'900 voti pari al 27,40%. I voti del PD sono stati 4'500 pari al 18% mentre alle politiche di marzo erano stati 9'500 pari al 31%. Questi numeri da soli ci dicono che esiste un elettorato di centro sinistra che alle comunali sente il bisogno di dare una svolta. L'estrema sinistra (con due liste presentatesi insieme) ha preso il 4% (ma alle politiche era arrivata al 6%).
Luigi De Mossi: candidato ufficialmente civico, ma fortemente connotato dall'appoggio del centro destra, ha preso il 24.23%. Il risultato viene in larga misura dalla Lega che ottiene il 9% (è un grosso successo per le comunali, dove era pressoché inesistente, ma segna un arretramento rispetto al 15% delle politiche quando fu trainata dallo scontro tra il ministro Padoan e il candidato leghista antieuro Borghi). La lista di De Mossi prende il 7.5% mentre si segnala il tracollo di Forza Italia che viaggia intorno al 3% e, seppur di poco, si fa superare da Fratelli d'Italia. Se posso dire la mia, dopo aver visto sulle TV locali i dirigenti locali, i leghisti del nord, sul piano della capacità politico-amministrativa, sono un'altra cosa.
Pierluigi Piccini: era la sorpresa attesa; si tratta dell'ex sindaco dal 1993 al 2001 per due mandati (prima PDS e poi Ulivo) che ha presentato la sua candidatura un anno fa con una lista civica che è risultata il primo partito di Siena con il 19.5%. Piccini è arrivato terzo con il 21.3% e ha preso più voti di quelli del PD. La sua lista "Per Siena" si è fortemente connotata per la necessità di uscire dal grigiore amministrativo e ragionare in grande su urbanistica, servizi, vocazione internazionale, turismo. Di lui i Senesi hanno un buon ricordo e, se fosse arrivato al ballottaggio, non ci sarebbe stata storia per Valentini.
Dopo il secondo mandato amministrativo Piccini andò in rotta di collisione con il PDS. Si dice che aspirasse a dirigere la potentissima (allora) fondazione del Monte dei Paschi. Invece fu fatto fuori politicamente e, per toglierlo di torno, mandato a Parigi a dirigere la filiale francese di MPS. Ora è in pensione ed è tornato in gioco.
E' stato molto presente in campagna elettorale con proposte strettamente di tipo civico e con una lista cui afferiscono personalità di diverse aree, anche se l'elemento di traino è certamente lui. Di fronte al risultato (deludente) si è mosso da subito , e senza pregiudiziali di schieramento, verso i primi due proponendo di ragionare sugli elementi programmatici e ponendo le questioni programmatiche (e solo quelle) come perno su cui costruire un eventuale apparentamento. Valentini, a malincuore, ma conscio che senza apparentamenti non ce l'avrebbe mai fatta, si è orientato per il sì mentre De Mossi ha scelto la strada del no agli apparentamenti e sì agli accordi politici.
E' dunque probabile che, nella giornata di oggi si arrivi all'apparentamento (previsto dalla legge sui Sindaci e che Piccini sia molto formale, con impegni programmatici scritti sulle questioni della uscita dal grigiore). L'apparentamento fa sì che, in caso di vittoria, i seggi di maggioranza (60%) si distribuiscano tra gli apparentati. Il disinteresse di Piccini per i posti e per le spartizioni ha una sua ratio: se si apparenta e Valentini vince, il suo sarà il gruppo consigliare più forte e dunque il peso della sua lista sarà nelle cose, cioè nei numeri, e intanto avrà rassicurato il suo elettorato.
Massimo Sportelli: ha preso il 16% commettendo l'errore (?) di presentarsi con ben 5 liste civiche che si sono ripartite il consenso a colpi di 3% e che ora, di fronte al tema degli accordi politici con il centro destra, rischiano di andare in ordine sparso.
Si sta dunque per andare ad un ballottaggio formalmente già definito nell'esito (per la allenza tra il primo e il terzo arrivato) ma che contiene in sè l'arma per una forte polemica contro gli accordi dell'ultima ora, che saranno certamente chiamati inciuci. Dice De Mossi, lo decidano liberamente gli elettori con chi schierarsi; se intendevano accordarsi, perché non l'hanno fatto prima? L'argomento ha una sua razionalità, ma ce l'ha anche il converso che afferma la opportunità dell'apparentamento per guidare il vincitore a vincoli programmatici scritti che evitino il plebiscito del prendere o lasciare.
Come è noto i 5 stelle che alle politiche avevano preso il 19% non si sono presentati e quell'elettorato potrebbe essere sensibile al richiamo del mandiamo a casa il PD. Non ci sarebbe stata storia se i senesi avessero mandato Piccini al ballottaggio, ma così non è stato.