Il grande gioco – di Giovanni Cominelli
Al momento in cui scrivo… Mai è stata così opportuna la premessa! Perché l’itinerario della formazione del governo è tuttora pieno di salite, di curve cieche, di buche e di sassi. Tuttavia, poiché si tratta di una strada a senso unico, più Di Maio e Salvini avanzano più sarà difficile fare inversioni a U.
L’uovo del cuculo: Salvini. Per non dire di Renzi e del PD
Al momento, l’opposizione più acida e corrosiva al governo condendo viene dall’interno del centro-destra. Forza Italia ha covato malaccortamente il classico uovo del cuculo: ora Salvini ha occupato tutto il nido a proprio vantaggio. I cedimenti di Berlusconi all’europeismo scettico, alla flat tax e agli umori populisti, nell’illusione di poterli convogliare nel proprio alveo, hanno portato l’acqua altrove. Legge, questa, che è valsa parzialmente anche per il moderato populismo e il tattico euroscetticismo di Renzi.
Quanto alle sinistre, compaiono qua e là analisi e scenari catastrofisti: i barbari sono alle porte! Reazione analoga si ebbe nel 1994, quando arrivò “il barbaro” Berlusconi. Una tale diagnosi suppone una corrispondente terapia.
La prima è quella dell’alleanza con il M5S. Fallita ora, sta sempre sottotraccia: il M5S dispone di una larga base antropologicamente di sinistra massimalista, spesso assai più radicale del PD. Perciò, occorre tornare indietro verso l’Union sacrée, verso una sorta di vecchio PCI-PDS-DS, in grado di addomesticare le antiche e tuttora vive pulsioni girotondine anticasta.
Nel PD volgono indietro la testa, dopo aver posto mano all’aratro, Veltroni, Fassino, Orlando, Cuperlo, che puntano su Zingaretti quale nuovo segretario, mentre D’Alema e Bersani stanno già con un piede sulla soglia. Anche qui si intende subire la strategia del cuculo. Alla fine, sarà Zingaretti a dirigere il PD o saranno Fico o Di Battista?! Tutte queste contorsioni sono l’effetto di una mancata maturazione liberale della cultura della sinistra sul tema del consenso e della democrazia.
Chi ha vinto deve governare. Altrimenti è eversione
Partiamo dal governo. L’esito è scritto dal 4 marzo. Il responso delle urne è stato netto. Tentare di impedire con manovre tattiche, tutte interne al quadro politico, lo sbocco naturale di governo delle elezioni ha già fatto perdere due mesi. Se il governo M5S-Lega nazionale è un pericolo per il Paese, occorre prendere atto che è ciò che la maggioranza degli elettori ha voluto.
Lo hanno scelto non con la pancia, come qualcuno pensa in modo autoconsolatorio e autoassolutorio, ma con la mente. C’è modo di impedire che un tale governo si faccia? Nessun modo che non sia eversivo. Vi sono soltanto giochi di palazzo, il cui effetto immediato è stato peraltro del tutto controproducente.
D’altronde, la democrazia italiana dispone di una serie di check-and-balance, di una distribuzione dei poteri tale che il potere-governo non potrebbe alterare in profondità. Benché gli stessi neofiti di governo si illudano, l’Italia è avvolta da una rete di interdipendenze internazionali di tipo istituzionale – tra tutte la Nato e l’Unione europea – la cui messa in discussione, come ha sottolineato Mattarella, implicherebbe un cambio di quella Costituzione, che pure “i nostri” hanno strenuamente difeso il 4 dicembre del 2016.
Per non parlare della mano invisibile dei mercati, che sfuggono ad ogni controllo politico globale e nazionale. No, non siamo alla vigilia del fascismo. Se il M5S è allegramente ignaro delle regole esigenti della democrazia rappresentativa, lo stesso non si può dire della Lega nazionale, che da anni si misura con le istituzioni, con i governi regionali, con le amministrazioni locali.
Il nuovo governo e la prova del budino. E il PD è tutto da ripensare
Dunque, la democrazia non corre pericoli. Quanto al governo, varrà, come sempre, la prova del budino. Più presto vi si arriva, meglio é. Le scadenze non ci aspettano: dall’Iva all’Europa, da Trump al Medioriente, dalla sicurezza all’immigrazione, dal fisco al reddito di cittadinanza, il tutto andrà a sbattere contro l’enorme macigno del debito pubblico.
A questo punto, urge un riassetto culturale e programmatico della piattaforma delle opposizioni, in particolare quella del PD. Abbandonata la polemica sui congiuntivi e sull’incompetenza, occorrerà fare un bilancio autentico dell’azione di governo dal 2013 al 2018. Se i vincitori hanno convinto gli elettori sull’abolizione della legge Fornero, sul reddito di cittadinanza, sulla flat tax, su sicurezza e immigrazione, sull’abolizione dei privilegi dei politici, è sulle politiche relative che occorrerà fare una riflessione.
Che non potrà ridursi a “gli italiani non ci hanno capito” o al “ci siamo spiegati male”. E’ probabile che l’azione di governo sia stata meno riformista-radicale e meno chiara di quanto fosse necessario. Ambiguità, confusioni e timidezze riformiste derivanti da molte fonti, la prima delle quali è stato ed è il PD stesso, la cui cultura politica e di governo ha oscillato tra riformismo e demagogia e la cui tenuta interna è stata minata da dissensi e scissioni latenti troppo a lungo sottovalutate e tollerate.
Alle spalle sta la questione di ciò che é/deve essere un partito oggi. Il M5S ha un formidabile radicamento nella Rete, l’appoggio di TV7, del Fatto quotidiano e del Corriere della sera. La Lega di Salvini è presente sul territorio, grazie a efficienti amministrazioni locali e ai governi regionali. Forza Italia ha le televisioni e il Giornale. Il PD? Al Sud è controllato da cacicchi locali, fortemente intrecciati con l’establishment locale, spesso contiguo ai poteri criminali.
Ad una solidità di indirizzo politico, garantita da Renzi a livello centrale, non ne corrisponde altrettanta a livello locale, dove il suo tram è considerato un mezzo di trasporto sul quale salire e scendere a seconda delle convenienze personali di gruppi dirigenti nuovi e ambiziosi. Pronti a cambiare tram. Insomma: la traversata sarà lunga. Tra un anno arrivano le elezioni europee.