L’arte della matematica e la cultura classica – recensione di Lino Di Martino

Nel confronto tra Simone Weil – André Weil si può riconoscere una dibattito che attraversa ancora oggi la matematica?

Su richiesta dell’adorata sorella, André cerca di rispondere da matematico professionale (ma anche intellettuale universale) come lui faccia matematica, e perché. Simone, di fatto abbastanza digiuna di matematica, ma filosofa avvertita ed esigente, cerca come sempre verità assolute… Veramente interessante… Guarda caso, il confronto si accende sull’antica questione della commensurabilità/incommensurabilità fra grandezze (o se si vuole sulla teoria delle proporzioni) centrale nella matematica greca.

André teorico dei numeri vi vede il fallimento dei pitagorici, Simone al contrario, se ho capito bene, ci vede una vittoria, una specie di via verso l’assoluto mistico… Può sembrare obsoleto e irrilevante discutere oggi sui numeri reali irrazionali, ma non è così, se si vede la vecchia polemica come indizio di un confronto generale: Greci versus Babilonesi e Persiani, Geometria versus Algebra.

Indiscutibilmente l’Algebra non è Greca, e per Platone Dio è un Geometra eternamente all’opera. E l’algebra, tramite il salvataggio di copisti arabi, si è sviluppata solo a partire dal Rinascimento conquistando ampie praterie a partire da Cartesio, passando per Eulero e Lagrange, fino a Weierstrass e a quello che la vulgata chiama algebrizzazione dell’analisi matematica (espressione infelice).

E’ comunque notevole che nel suo sviluppo l’algebra abbia sempre rivestito un triplice ruolo, quello di strumento formale e computazionale per la risoluzione di problemi sempre più ardui, quello di strumento rigoristico e fondazionale, e quello di disciplina multiforme e autonoma.

Parallelamente si è sviluppata grandiosamente la geometria, o meglio sarebbe dire le geometrie, da Moebius a Riemann a Klein, ai geometri italiani del secondo ottocento e primo novecento, quella scuola italiana che faceva geometria a tutto tondo, usando in sostanza la sola teoria delle equazioni algebriche per studiare superficie e varietà, sempre più complesse e multiformi. E qui vorrei aprire una parentesi.

Anche in queste lettere alla sorella, seppure in modo molto soft, emerge la visione della matematica di Weil, che è la visione del gruppo Bourbaki, di cui André è membro fondatore. Una visione globale, vicina ma non identica al programma formalista di Hilbert. La preoccupazione fondamentale di Bourbaki era soprattutto’ francese’.

Falcidiata dalla guerra mondiale la generazione post-Poincaré (i tedeschi al contrario avevano lasciato i giovani matematici a casa!), restava un’analisi matematica obsoleta à la Goursat, e una geometria altrettanto arretrata. I bourbakisti si proposero di rifondare l’edificio matematico, e in particolare le geometrie e l’analisi, su basi algebriche e topologiche.

Non erano molto interessati alla questione dei fondamenti: gli bastava il fortino insiemistico di Zermelo Fraenkel. Erano working mathematicians, e se il monumentale Trattato degli Elementi, pensato all’inizio come novello Euclide, appare come un freddo distillato di cristallina purezza, era perché era chiaro al gruppo Bourbaki che ci poteva entrare solo matematica morta, cioè quelle parti fondanti dell’edificio sufficientemente solide e mature.

Per questo, anche molto tempo dopo aver abbandonato l’ambizioso progetto del ‘nuovo Euclide’, e, per usare le parole di Jean Dieudonné, uno dei più indefessi scribi del gruppo, il Trattato andava considerato solo un ‘toolkit for working matématicians’ e non entrava nel trattato, fra molte altre cose, la teoria dei gruppi e in particolare dei gruppi finiti, considerata a lungo ‘di nicchia’ e comunque ‘work in progress’.

Ma i membri del gruppo, individualmente, erano appunto working mathématicians, e svolgevano un amplissimo spettro di ricerche innovative. Non è qui il luogo di citarle in esteso: ma basti pensare allo sviluppo della teoria dei gruppi algebrici e dei gruppi di Lie, che nei tardi anni di Bourbaki trovarono persino spazio in volumi del Trattato e sono ancora un punto di riferimento.

Ma veniamo al punctum dolens della Geometria. Dice la vulgata che Bourbaki fosse ostile e sottostimasse la geometria, e con essa il potere della sintesi, delle immagini e dell’intuizione. La provocazione condensata nello slogan bourbakista Abbasso Euclide, è considerato una prova in merito. Ma si dimentica che l’obiettivo era in realtà il dominio di un insegnamento arido e desueto della geometria euclidea nel piano e nello spazio, farcito di esercizi spesso artificiosi e privi di sbocchi. Nella mia esperienza di studente medio e liceale, ricordo con abominio la lettura pedante dell’Enriques-Amaldi.

D’altra parte, l’incipit del Trattato suonava: ‘Depuis les Grecs, Mathématiques veut dire démonstration’. I bourbakisti da questo punto di vista si ritenevano in tutto e per tutto eredi di Euclide, dell’impostazione assiomatica e della teoria della dimostrazione fondate dai Greci.

Il punto era che l’impalcatura su cui si reggeva la pur grande geometria italiana era malferma. Se ne rese conto Zariski quando visitò da giovane Roma, e da quella visita fu spinto con altri a costruire l’Algebra commutativa, sul cui scheletro si sarebbero sviluppati i più sofisticati rivestimenti geometrici. Accanto all’algebra propriamente detta (commutativa e omologica), un altro pilastro fondante sarebbe stata la Topologia (algebrica e differenziale).

Quanto in Bourbaki (forse non proprio in Weil) fosse assillante lo studio rinnovato delle geometrie è provato ad esempio dai lavori di Chevalley, di Serre, e soprattutto dall’opera grandiosa di Grothendieck, cui fece da ostetrico proprio Dieudonné con i Fondements de Géométrie Algébrique.

E’ un fatto comunque che alcune correnti della matematica attuale si proclamavano fortemente antibourbakiste. Si va dai logici che rimproverano la scarsissima attenzione ai fondamenti (fra l’altro, Bourbaki ignora Godel), ai geometri più legati alla storia peraltro nobile dei metodi della geometria sintetica o dediti stricto sensu alla geometria differenziale e alle sue applicazioni (a buon titolo peraltro, e francamente non vedo questa gran distanza dai metodi e strumenti bourbakisti…). Per arrivare alla matematica ‘senza insiemi’ (al più ‘insiemi variabili’): la teoria delle categorie, cara 40/50 anni fa ai materialisti dialettici non mainstream (ahimè), oggi peraltro parecchio addomesticata ed evoluta, fino a diventare uno strumento tecnico indispensabile e prezioso e.g. nella coomologia dei gruppi, nella teoria algebrica dei numeri e in teoria di Galois).

E infine veniamo alla pedagogia, che contempla il fallimento del bourbakismo nell’insegnamento della matematica nella scuola primaria e secondaria. Il vecchio Euclide in pillole (senza nessuna apertura alla filosofia e alla scienza) e la vecchia algebretta, sostituito in peggio dalla ’neomatematica’, una parodia del formalismo e dell’astrazione… Verissimo. Succede però che i realisti siano spesso tragicamente più realisti del re. Ho avuto occasione (per circostanze non legate a meriti miei, per carità) di chiacchierare su questi argomenti con persone del calibro di Serre, Tits o Borel, e posso assicurare che avevano in orrore la ‘presa del potere’ di Bourbaki nella scuola, prima in Francia e poi altrove. La consideravano un maleficio imputabile più a ‘filosofi, psicologi e pedagoghi’ che a veri matematici…

Comunque sia, molta acqua è passata sotto i ponti , e oggi i problemi dell’insegnamento della matematica nelle scuole sono di diversa natura e anche più seri. Il problema è la deriva verso una didattica della matematica senza dimostrazioni, fatta di quiz e routines computazionali (persino in università, con i corsi precotti di Calculus). Qui devo fare una confessione: non sono state solo le lettere dei Weil a spingermi a queste affrettate riflessioni, ma l’ottimo libro appena uscito da Mondadori ‘Perché la cultura classica . La risposta di un non classicista’ dell’amico matematico Lucio Russo (autore non dimenticato della ‘Rivoluzione dimenticata’ e di molto altro).

Ne suggerisco caldamente la lettura, anche e soprattutto agli insegnanti! Concordo fortemente con le analisi e le proposte di Russo. Con la sua critica radicale delle tendenze che si avviano a prevalere con la forza delle lobbies psico-pedagogiche armate dalle burocrazie ministeriali. Solo, mi è parso parziale e un po’ sbrigativo l’atteggiamento e il giudizio verso l’esperienza bourbakista.

Degli errori e fallimenti di quei tentativi non credo siano soprattutto imputabili i bourbakisti ‘veri’, ma certi adepti troppo zelanti e superficiali. Naturalmente Russo dice molto altro e molto di più. Io sono però di quelli che pensano che i matematici professionali di oggi, quelli che prendono le medaglie Fields e risolvono problemi profondi e complessi, lo sappiano o no, siedono sulle spalle di Bourbaki, e vivono nel mondo cui Weil e i suoi sodali, nel bene e nel male, ci hanno introdotto.

P.S. Sul modo di descrivere l’analisi e in particolare la teoria dell’integrazione nel Trattato, riconosco (lo dico da non-specialista) che la scelta dell’approccio si presta a critiche ben note…


L' arte della matematica
Simone Weil, André Weil
Editore: Adelphi Collana: Piccola biblioteca Adelphi Anno edizione: 2018 Pagine: 192 €14


Perché la cultura classica. La risposta di un non classicista
Lucio Russo
Editore: Mondadori Collana: Orizzonti Anno edizione: 2018 Pagine: 225 p., Rilegato €19