Dal Vietnam a Cuba – (8) La tomba del Che e la storia della rivoluzione – di Roberto Ceriani

A Santa Clara visitiamo la tomba di Che Guevara, luogo pervaso da un intenso clima mistico. La tomba è circondata da quelle di numerosi altri partigiani cubani. Si può entrare solo in silenzio, senza macchine fotografiche.

Fuori dalla tomba c’è un’immensa lapide con incisa la lettera con cui il 31 marzo 1965 il Che abbandonava Cuba per riprendere la guerriglia nel continente sudamericano. Il Che scrisse questa bellissima lettera a Fidel per informarlo della sua scelta, che implicava la rinuncia all’incarico di ministro nel governo cubano. La lettera è scritta in spagnolo, ma non occorre conoscere la lingua per apprezzare la fortissima passione che trasuda da ogni singola parola. Una traduzione in italiano è disponibile a questa pagina.

La lettera è carica di passione rivoluzionaria, idealista ma anche concreta. Mi domando se esiste una grande differenza fra la passione e l’idealismo dei combattenti italiani del nostro Risorgimento, i guerriglieri sudamericani degli anni ‘60 e i martiri dell’ISIS di oggi. Per cercare di capire e per immaginare come saranno i libri di storia fra 50 anni occorrerebbe avere una mente molto aperta. Per ora non ne siamo capaci, però sarà interessante.

Vicino alla tomba del Che c’è un mausoleo dedicato a lui e ai suoi compagni di lotta. Sono conservate le armi utilizzate dai guerriglieri, i vestiti e gli oggetti necessari per la vita partigiana. In una teca è visibile il diario del Che, aperto alla pagina del 7 ottobre 1967. Il Che fu colpito l’8 ottobre, ma sopravvisse fino alla mattina del 9, quando lo raggiunse un colpo al cuore sparato da breve distanza, dopo essere stato fatto prigioniero. Un’esecuzione.

IL TRENO BLINDATO

A Santa Clara è perfettamente conservato il treno deragliato nel ’58, con i vagoni rovesciati e i binari divelti, esattamente nella posizione in cui si trovavano al momento dell’assalto. Anche in questo esempio, come per altri episodi di guerriglia, si vede un grande sforzo nel recuperare la materialità della memoria storica della guerra partigiana. Ma cosa accadde quel giorno su quel treno?

Nel dicembre 1958 i movimenti di guerriglia si estendevano ormai in tutta l’area est di Cuba. Per reprimere la rivolta il dittatore Batista inviò rinforzi dall’Havana con un treno blindato, a prova di attacco armato. I guerriglieri non attaccarono il treno, ma decisero di deviare i binari e il treno deragliò a Santa Clara. Dopo il deragliamento le truppe rimasero all’interno del treno, protette dalla blindatura a prova di proiettile, ma un lancio di bottiglie Molotov rese l’aria irrespirabile e i militari dovettero uscire dai vagoni e arrendersi. Probabilmente ci fu anche qualche collaborazione da parte di alcuni militari, ormai consapevoli che la guerra antipartigiana era persa.

Gli scontri fra militari e insorti erano iniziati vari anni prima. Il 26 luglio 1953 c’era stato l’assalto alla caserma della Moncada, che oggi è visitabile in orari extrascolastici; già, perché la caserma è stata trasformata in una scuola elementare, ovviamente chiamata “Scuola 26 luglio”. La cosa impressionante nelle ricostruzioni di quegli avvenimenti, e nel tentativo fallito di uccidere il dittatore Fulgenzio Batista, è l’estrema spontaneità e inefficienza di queste generose operazioni belliche. Oggi sarebbe impensabile fare un’azione di commando senza una rigida pianificazione di ogni dettaglio. A quel tempo, invece, dominavano il coraggio personale e l’improvvisazione; morire era più facile.

IL CIMITERO DI IFIGENIA

A Santiago de Cuba visitiamo il cimitero di Santa Ifigenia, dove si trova la tomba di Fidel Castro, costituita da un immenso masso di pietra con scritto solamente Fidel. A fianco di Fidel c’è un enorme mausoleo-tomba dedicato a José Martí, il leader del movimento per l'indipendenza cubana morto nel 1895. Per noi però la vera attrattiva del cimitero è la tomba di Compay Segundo, l’indimenticabile musicista del Buena Vista Social Club.

La lapide dedicata a Compay Secundo mostra solo una chitarra e un cappello: non occorre altro per farci ricordare questo incredibile 93enne che vantava di avere iniziato a fumare il sigaro a 5 anni e di non avere mai smesso per un solo giorno. Non sarà forse un grande testimonial per le campagne antitabagismo, ma ognuno di noi lo ricorda con tutto l’affetto che merita.

LA SIERRA MAESTRA

Dedichiamo un’intera giornata a camminare nella Sierra Maestra. I sentieri di montagna ripercorrono i passi di Fidel Castro, del fratello Raoul, di Che Guevara e di altre centinaia di Barbudos che negli anni ’50 erano nascosti in questo territorio poco accessibile. Raggiungiamo le costruzioni in legno delle casette in cui vissero i rivoluzionari, protetti dai contadini locali. Ci sono sia costruzioni e reperti originali, sia ricostruzioni fedeli di quei territori in cui si decisero le sorti del Paese. L’ufficio di Fidel è una baracca in legno ricostruita, ma il letto e vari oggetti, fra cui una macchina per cucire e una macchina da scrivere, sono originali del tempo.

A ogni passo nella Sierra Maestra si respira il senso di una Storia che i cubani non vogliono dimenticare. In tutto il Paese è facile vedere fotografie dei rivoluzionari uccisi, lapidi per le strade, manifesti con i nomi e la storia della loro vita. I partigiani non vengono dimenticati facilmente; persino nelle scuole, dove gli studenti si recano in divisa come in moltissimi Paesi del mondo, prima di iniziare le lezioni ogni mattina viene ricordato l’esempio del Che.

Si potrà obiettare contro l’eccesso di retorica, ma è impressionante la cura che qui viene dedicata alla memoria storica. Queste ricostruzioni quasi viventi della vita nella Sierra Maestra rientrano in un piano di recupero della memoria, completato con numerosi musei e mausolei diffusi in tutta l’isola.

LA MATERIALITA’ DELLA MEMORIA

Lo sforzo di difendere la memoria, nonostante inevitabili “piegature politiche” interessate, è una costante in tutti i Paesi del mondo. Il Vietnam è pieno di musei della guerra contro francesi e americani, nei Paesi dell’Est europeo ogni capitale ha il suo “Museo dell’anticomunismo”, in Normandia esistono 35 musei dello Sbarco, a Santiago del Cile c’è il museo della memoria dedicato al Golpe, è difficile contare i musei dell’Olocausto presenti in Europa e in Italia abbiamo ottimi musei del Risorgimento…

Quello che mi meraviglia è che, se veramente fossimo convinti di vivere in una Repubblica nata dalla Resistenza, dovremmo avere un museo della Resistenza importante almeno quanto gli Uffizi. Invece sulla Resistenza italiana abbiamo solo piccoli musei locali e poche ricostruzioni dei percorsi e degli episodi partigiani, lasciate spesso allo sforzo di piccole associazioni benemerite. Che io sappia in Italia abbiamo ottime ricostruzioni dei camminamenti alpini della Prima Guerra Mondiale, simili a quelli della Sierra Maestra a Cuba, ma non conosco ricostruzioni di livello simile per quanto riguarda i percorsi e i nascondigli dei partigiani.

Abito a Milano dalla nascita e conosco esattamente dove i milanesi hanno fatto le barricate contro gli austriaci nel 1848, ma non ho mai capito cosa è successo nella mia città il 25 aprile 1945. Ogni anno partecipo con passione alla manifestazione del 25 aprile, ma ancora non so se ci sono stati scontri armati. In quale strada? Non capisco se i nostri partigiani sono stati dimenticati, se li abbiamo negati o se non sono mai esistiti.

Qui a Cuba invece vedo una forte materialità della memoria collettiva che, per contrasto, mi fa pensare alla mancanza di materialità della nostra memoria partigiana. Al massimo vedo sui muri di alcune case milanesi le lapidi dedicate ai partigiani fucilati e me ne ricordo solo quando qualche cretino le imbratta con una svastica. Il poveretto lo fa per fare finta di esistere, guadagnandosi così 5 minuti di TG al prezzo di un pennello e un po’ di vernice nera; più o meno due euro al minuto!

Quello che da noi viene più ricordato sono stragi e fucilazioni, ma la vita e le azioni dei partigiani vengono quasi ignorate. Non c’è allora da meravigliarsi se sulla memoria del ’43-’45 i nostri giovani hanno idee chiare “Gli americani sono buoni. I tedeschi cattivi. Gli italiani boh”. Forse dovremmo fare qualche cosa di più; forse i cubani possono insegnarci qualche cosa.

Il figlio di una mia amica è militante di Casa Pound. Insieme ai suoi camerati va al cimitero Monumentale a fare il saluto romano di fronte alle tombe dei fascisti morti per la Repubblica di Salò. Giudicavo con disprezzo le scelte di questo ragazzo, ma dopo aver visto l’impegno con cui i cubani tengono accesa la loro memoria storica mi domando quale diritto abbiamo noi di giudicare. Proprio noi che non siamo capaci neanche di ridare materialità alla nostra storia collettiva.