Dal Vietnam a Cuba – (6) le case – di Roberto Ceriani

In campagna quasi tutte le case hanno un solo piano, probabilmente senza fondamenta. Molte case sembrano autocostruite e raramente superano il piano terreno. Sopra ai muri c’è direttamente il tetto che coincide con il terrazzo, dove sono ospitati lo stendibiancheria, il serbatoio per l’acqua, un complicato groviglio di fili elettrici presi da un ancor più complicato groviglio che attraversa le strade, e tutto quanto non trova spazio nel piccolo appartamento.

In città, invece, le case sono più alte. A parte alcuni palazzoni moderni dell’Havana (fra cui qualche orribile mostro edilizio sovietico che sembra importato direttamente dalla Siberia), nella parte vecchia delle città dominano case vecchie di architettura coloniale, di 2-4 piani.

Molte di queste case sono piuttosto belle, ma quasi tutte sono fatiscenti, in pessimo stato di abbandono. Dopo la rivoluzione del 1959 ogni famiglia ha avuto diritto a una casa, una sola; poteva arrivare dalla confisca di chi aveva più case o dall’alloggio abbandonato da chi fuggiva all’estero. La proprietà restava dello Stato, quindi la manutenzione è mancata per oltre mezzo secolo. Solo ora che le case iniziano a diventare private sono in corso timidi tentativi di ristrutturazione, ma ci vorranno decenni e soldi.

Oggi esiste un mercato immobiliare semiufficiale. In teoria un proprietario potrebbe vendere la sua casa solo a un parente, ma esistono vari mezzi semiufficiali per aggirare la regola; nascono agenzie di mediazione, dotate anche di siti web visibili a tutti, che riescono con vari trucchi a permettere transazioni immobiliari inventando parenti nei modi più fantasiosi.

L’idea base è sempre quella: inizio a fare un’attività non proprio legale ma che non dà fastidio a nessuno, creo un’esigenza e un mercato fra conoscenti, espando l’iniziativa fra amici degli amici. Se tutto funziona bene prima o poi qualcuno legalizzerà quello che sto facendo; forse è una delle tante strade di superamento del socialismo, certo non la peggiore.

LE CASE VISTE DA DENTRO

A Cuba l’alloggio per turisti è essenzialmente limitato a due possibilità: hotel e Casas Particulares. Si trovano hotel equivalenti ai nostri 4-5 stelle, ma mancano quelli per il turismo economico. Suppliscono le Casas Particulares, alloggi privati autorizzati dal governo a ospitare turisti, identificati da uno strano simbolo blu sul portone.

Il servizio è ben regolamentato: l’ospite viene registrato su un registro ufficiale e ha diritto a un’abbondante prima colazione. Le camere hanno il bagno riservato, ma in tutta Cuba vale una regola: gli scarichi sono difettosi quindi non bisogna mai buttare la carta igienica nel w.c. Gli appositi cestini sono presenti ovunque, ma è meglio non chiedere dove andrà a finire il contenuto.

In teoria il proprietario non potrebbe offrire anche la cena, ma la trasgressione è la regola. Gli alloggi sono puliti (anche le strade urbane ed extraurbane lo sono) e ristrutturati abbastanza bene; alcuni sono veramente buoni, altri appena accettabili. La cucaracha, grande, marrone e con le ali, è un optional possibile.

Vivere nelle case è un ottimo metodo per conoscere la vita dei cubani. Trovi la TV accesa 24 ore al giorno, dove vedi programmi identici ai nostri: talkshow, musica, TG, intrattenimento… forse c’è un po’ meno pubblicità. I mobili sono di legno pesante e spostare le sedie è impresa da body building. In tutte le case ci sono almeno due sedie a dondolo; possono trovarsi in soggiorno o fuori, ma in città il concetto di fuori va precisato meglio. C’è il fuori di un micro patio racchiuso fra l’ingresso e la strada e c’è il fuori di un terrazzo circondato da muri, tubi e cavi elettrici, avvolto ai lati e sovrastato da una robusta grata che lascia vedere il cielo solo a quadretti.

L’ingresso della casa porta direttamente dalla strada al salotto-soggiorno, dove pesanti soprammobili di ceramica o di vetro competono per lo spazio con le foto di famiglia onnipresenti su muri, comodini e tavoli. Le poche piastrelle rimaste libere sono spesso occupate da una moto, più raramente da una bici, che viene parcheggiata in salotto per evitare furti in strada. A volte rimane anche spazio sufficiente per stare in piedi.

UNA PARTICOLARE CASA PARTICULARE

Come quasi tutte le Casas Particulares, anche questa è pulita e accogliente, ma chi ci accoglie questa volta non è il proprietario. La casa appartiene a una donna spagnola che vive nel Paese Basco e viene a Cuba raramente. Il gestore è un dipendente salariato per fare questo lavoro. Probabilmente non si tratta di una condizione pienamente legale, ma rientra pienamente nell’arte di arrangiarsi, per il gestore, e nella tendenza a sfruttare le risorse in modo semilegale, per la proprietaria.

Il gestore è un uomo simpatico e istruito. Ci spiega che proviene da una famiglia povera con nove fratelli, che non avrebbero mai potuto permettersi di studiare. Ci tiene però a precisare che, grazie alla rivoluzione, tutti hanno studiato e ora un suo fratello è medico, un altro è economista e così via. Lui fino a pochi anni fa era direttore di un negozio statale, ma ha optato per questo nuovo lavoro di gestore sia perché il salario era troppo basso, sia perché gli venivano attribuite eccessive responsabilità.

Gli chiedo se può vendermi un piccolo adattatore elettrico, necessario per caricare un telefonino europeo usando le prese cubane che adottano il modello USA. Lo chiedevo ingenuamente, convinto che lui sapesse dove trovarne subito un duplicato, ma mi risponde che quell’aggeggio era stato portato apposta dalla Spagna e che non se ne trova uno simile in tutta la città. Resto sbalordito: era solo un banale adattatore da quattro soldi, che da noi si trova da qualsiasi elettricista.

Alla fine della conversazione il gestore va a prendere alcune rose rosse e le regala alle donne del gruppo. Era l’8 marzo.