III repubblica – parliamone (4) – di Claudio Cereda

La scelta di titolare III repubblica l'ho presa senza consultare i collaboratori nell'urgenza di dover caratterizzare il terremoto con un titolo semplice, ma credo di non aver esagerato. Ieri è accaduto qualcosa di molto simile a quanto accadde durante e dopo mani pulite con le elezioni del 94. Allora venne decretata la fine delle principali forze che, dal 45, avevano rappresentato la politica in Italia (DC, PSI, PSDI, PRI, PLI) con la eccezione del PCI-PDS e del MSI il cui inizio di trasformazione in altro evitò il tracollo immediato.

La II repubblica nacque con l'affermarsi di nuove forze come la Lega e Forza Italia e con la presenza in campo di un nuovo nume tutelare: la Magistratura. La mia opinione sulla II repubblica l'ho espressa più volte: meglio la prima, in particolare per la presenza dei magistrati in funzione di supplenza politica e di cani da guardia.

Dalle ceneri di Occhetto (la gioiosa macchina da guerra dei post comunisti, poco post e molto comunisti) è nato il PD tentando di fondere diverse culture politiche provenienti dalla I repubblica (ma senza mai affrontare il nodo del riformismo socialista e il giudizio sull'era di Craxi) e affermando il principio del partito a vocazione maggioritaria.

Sull'altro fronte stava Forza Italia definito in maniera sprezzante, partito personale, partito di plastica, partito proprietario, senza capire che il partito di Berlusconi nasceva tentando di rilanciare tra gli Italiani l'idea di rivoluzione liberale con una minor presenza dello Stato nella vita dei citrtadini e puntando ad ereditare elettorato e quadri dirigenti della DC e del PSI.

In questi anni le forze di centro sinistra e quelle di centro destra a trazione Forza Italia si sono succedute alla guida del Paese e, sul piano delle grandi trasformazioni, non è stato fatto molto, diciamolo con franchezza. E' stata bloccata la corsa alla crescita esponenziale del debito pubblico (e annessa inflazione) inaugurata dai governi di pentapartito, è stata tentata qualche riforma ma non si è riusciti ad impostare in maniera condivisa la riforma della II parte della Costituzione.

La frattura tra PD e Forza Italia, avvenuta in occasione della elezione di Mattarella, ha segnato la fine del percorso condiviso e l'inizio della fase nuova che viene certificata dal voto del 4 marzo. Detto per inciso, il candidato proposto da Berlusconi per la presidenza della repubblica era Giuliano Amato, socialista anomale, ora alla corte costituzionale e, è bene ricordarlo, tra i massimi responsabili della impennata del deficit pubblico (alla fine degli anni 80 il consenso si conquistava legalmente con le politiche di stato sociale del tutto scollegate da una valutazione sugli effetti nei conti dello stato).

Mentre Forza Italia e PD si alternavano alla guida del Paese senza affrontare insieme i nodi più grossi iniziava a crescere la opposizione sotterranea di Lega e 5 stelle. Si trattava e si tratta di due proposte politiche diverse.

La prima si basa sulla concretezza, sull'idea di prudenza, sulla politica dei piccoli passi e ha come contorno la difesa dello stato sociale così com'era, sulla ostilità nei confronti del diverso e dell'estraneo (non è una questione di negri). Lo zoccolo duro è in Lombardia e in Veneto dove questo modo di essere si invera e sovrappone ad uno stato ben strutturato sin dall'800 e dove ciascuno si sente una formichina in grado, se si impegna e se ha fortuna, domani di governare il formicaio. Riflettere sui risultati delle elezioni regionali passate e presenti per comprenderlo. Il lombardo e il veneto non sono interessati alle mance, hanno la cultura del lavoro, vogliono lo stato sociale e odiano lo stato assistenziale.

Salvini è intervenuto su tutto ciò e ha tentato, riuscendoci in maniera sostanziale, il progetto esportazione verso il resto del paese. E' questa la ragione che ha portato alla estensione delle zone blù della cartina. In un contesto difficile dello sviluppo e della economia (iniziato negli ultimni tempi di Tremonti e proseguito con Monti, Letta, Renzi e Gentiloni) la Lega si rivolge ad una porzione di elettorato che mette l'etica del lavoro al primo posto e li aggrega dopo aver tolto il Nord dal marchio.

Prima c'è stata la penetrazione in Emilia che, da sempre, è affine a Veneto e Lombardia nella capacità di industriarsi e ora è avvenuto l'insediamento in Toscana, in Umbria e nelle Marche. Salvini, per quanto a molti appaia un rozzo longobardo è stato abile e in pochi anni ha portato la Lega dal 4 al 18% tenendo fermo lo zoccolo duro, quello che deve essere visto come esempio da esportare. Alla luce del sorpasso interno al centro destra e alla incapacità di Berlusconi di costruire un successore vedo il destino di Forza Italia come gregario e per quanto il centro destra abbia dimostrato molta più coesione interna dell'area di sinistra e centro sinistra, alla luce delle nuove responsabilità, non escludo che si possano aprire fratture dovute al divaricarsi del progetto politico (capita sempre quando si vince e si è chiamati a governare). Mi vien da dire pensando ai governi Letta, Renzi, Gentiloni: una volta per uno.

Diverso è il discorso sui 5 stelle che, molto più della Lega, incarnano una idea di rottura escatologica basata sul DNA grillino delle origini e sul ribellismo verso tutto ciò che è istituzione. Di Maio è stato sufficientemente abile e pragmatico siono ad ora nella capacità di salvaguardare il nucleo politico ideologico delle origini e, contemporaneamente aprire alla società civile e ai territori. Lo si è visto nella costruzione delle liste dell'uninominale e nella presentazione della sua ipotesi di governo che probabilmente ha fatto guadagnare qualche milione di voti mentre tra i giornalisti e i politici doc si faceva il pelo sullo sgarbo istituzionale (in piccolo lo hanno fatto anche a me che sottol.ineavo gli elementi di novità). C'è stata una espansione generalizzata in tutto il paese con il consenso degli elettori del non se ne può più e questi elettori sono arrivati dai tre bacini del non voto, del centro sinistra e di Forza Italia.

Oltre a ciò c'è stata la conquista del sud con percentuali da cappotto. Questo, secondo me, seppur vistoso e determinante sul piano percentuale, è l'elemento meno significativo e duraturo. Ormai da 30 anni il sud vota in questo modo e questa volta si è fatto coinquistare dalla rivolta e dal reddito di cittadinanza in attesa di cappottare da un'altra parte. So di essere ingeneroso e mi scuso con gli amici del sud, ma sto registrando un dato e sto traendo una generalizzazione dopo prove ripetute.

Detto tutto ciò, condivido quanto sostiene Daniele Marini sulla opportunità di restarsene fuori, limitandosi al più, a discutere di presidenza delle camere con un atteggiamento da opposizione costituzionale. Forse, anzi quasi certamente, valeva la pena aprire la battaglia politica e il chiarimento sul fatto che serve un partito coerentemente e fortemente riformista, dopo il risultato del referendum costituzionale. E anche questo lo scrissi a suo tempo.

Stare al governo non è obbligatorio e poiché, rispetto alla riorganizzazione del partito, del suo rapporto con gli elettori, della organizzazione dei militanti sui luoghi di lavoro e nella società non è stato fatto praticamente nulla, è opportiuno ripartire da zero anche con il PD. Calenda ? Minniti ? Per innovare fortemente. Gentiloni per garantire una maggiore continuità (che non è detto sia necessaria).

Lo scouting, se vuole, lo faccia Mattarella e se non si trova una maggioranza, governo di minoranza (a termine e con scadenza prefissata) per rifare la legge elettorale su base uninominale e poi elezioni. Non credo che vincerà il centro sinistra, ma non mi importa, ciò che importa è che vinca la democrazia governante e decidente. Quando in uno stato democratico arrivano al governo forze nuove è sempre un bene.