i figli hanno sempre ragione, gli insegnanti sempre torto ? – di Giovanni Cominelli
È soprattutto a scuola che si manifesta in modo esasperato e crescente un atteggiamento protettivo-ossessivo dei genitori verso i figli-alunni, che vengono difesi all’ultimo sangue contro gli insegnanti e i presidi, fino all’estremo dell’uso della violenza fisica.
I più raffinati, invece, scelgono l’avvocato o i Tar, per denunciare o per rivalersi del mancato riconoscimento del quoziente di intelligenza del sacro pargolo e, quindi, del voto basso agli scrutini o agli esami di maturità.
L’ultima notizia di cronaca è particolarmente allarmante. Un genitore ha mandato a scuola da settembre ad oggi il proprio bambino, corredato di microregistatore, a insaputa delle maestre e del figlio stesso, per accertare se lui e/o loro mentissero relativamente al suo comportamento in classe. Senza arrivare a tali estremi, molti genitori si comportano quali Cobas informali dei propri figli, di cui difendono il diritto a impegnarsi il meno possibile e il dovere di non assumersi precocemente delle responsabilità. Si sa: i No, le proibizioni, i rimproveri possono generare stress, depressione, disagio nei figli… In alcuni casi, i genitori fanno pressioni sugli insegnanti perché i loro figli siano dichiarati portatori di BES, di bisogni educativi speciali. In questo caso, la scuola è obbligata ad essere meno esigente.
La lotta di classe nelle classi e l’insegnante scoppia
Gli effetti di questo “spirito del tempo” si stanno accumulando da molti anni sul fondo della società italiana e dello spirito pubblico del Paese, in primo luogo nel cervello e nel cuore delle giovani generazioni. C’è da meravigliarsi se stanno venendo avanti intere generazioni, che rivendicano una tavola lunghissima di diritti e una cortissima di doveri?, che fanno appello alla responsabilità degli altri, della società e dello Stato, ma tendono a non esercitare la propria?, che sono preda di una mentalità assistenzialista e parassitaria?, che hanno paura della fatica e del sacrificio?, che agitano lo stendardo della propria libertà senza confini?, che hanno in odio l’impegno pubblico e la politica, attribuendo il suo degrado ai politici corrotti e non principalmente al proprio disimpegno?
Se gli effetti sui figli e sulla società italiana sono quelli descritti, la pressione aggressiva di simili genitori sta mettendo a dura prova i nervi degli insegnanti e dei dirigenti. Quella dei “nervi” non è una metafora. Se gli insegnanti vengono considerati nemici dai genitori, se la loro autorevolezza non è riconosciuta dalle famiglie, se diventano una controparte sindacale, aumenta la loro fatica di stare in classe, si alza il rischio del burn out nervoso. È esattamente quanto sta accadendo.
Portare questa forma sui generis di “lotta di classe nelle classi”, sindacalizzare le relazioni con la scuola, quasi che il preside fosse un novello padrone delle ferriere, compromette la relazione affettiva tra l’ambiente educativo e l’alunno, che è la base dello stesso apprendimento. Se la maggiore preoccupazione dei genitori è quella di tenere i figli al riparo dal mondo, la scuola, che ha invece come missione costitutiva quella di prepararli ad andare nel mondo, perde senso educativo, diventa un luogo a perdere, un luogo di intrattenimento, di info-tainment. E così l’istituzione scolastica finisce per adeguarsi alle esigenze educative al ribasso delle famiglie. Dalle indagini comparative internazionali dell’OCSE emerge che i ragazzi italiani sono i meno forniti di capacità di discernimento critico e di problem solving. Insomma: pulcini nella stoppa da piccoli, “bamboccioni” da grandi!
Il Paese intero ci perde e non si può continuare a scaricare sulle generazioni future
Poiché, però, i figli non sono proprietà privata dei genitori, ma sono anche il futuro fisico e culturale del Paese, ne consegue fatalmente l’abbassamento della qualità civile del Paese. Il mix tra irresponsabilità e esercizio della libertà come pura licenza, paura degli altri e aggressività, l’una faccia dell’altra, hanno generato l’Italia di oggi, quella delle generazioni centrali. Ciò che accade in politica ne costituisce solo l’amaro epifenomeno. Se la politica è il crocevia delle responsabilità, esso diviene il meno frequentato. La politica, cioè l’assunzione di responsabilità verso gli altri, è oggetto di odio e di disprezzo. Di qui il successo propagandistico di promesse e programmi di copertura totale dell’inattività a casa, il cosiddetto reddito di cittadinanza.
Se questo è lo stato delle cose, quali ne sono le cause profonde? Che cosa si è rotto lungo la catena pedagogica delle generazioni? Un’ipotesi esplicativa è che l’affermarsi del Welfare abbia dilatato i confini dell’esercizio della libertà assistita, disimpegnando la responsabilità personale. Un Welfare all’italiana, fatto di assistenza e di protezione, trasformatesi gradualmente in diritto acquisito e preteso di cittadinanza. Un Welfare alimentato in modo disordinato dalla crescita del debito pubblico. Il quale rappresenta il selfie più realistico e spietato della cultura civile dell’Italia.
Ne è conseguito uno spreco di libertà e di responsabilità, che è diventato la cultura prevalente delle generazioni, già a partire dagli anni ‘60/’70. I loro figli oggi sono adulti e (dis-)educano a loro volta i propri figli. È l’idea che tutto è dovuto gratuitamente, perché tocca allo Stato. E lo Stato non siamo noi, è sempre qualcun altro. È questa la cultura (in-)civile di massa che ha piegato le istituzioni educative del Paese. Statalismo, assistenzialismo, clientelismo, evasione fiscale e corruzione hanno segnato in profondità la cultura educativa del Paese. Era fatale? Il confronto con altre esperienze europee di Welfare, da quella inglese e tedesca a quelle scandinave, segnala che no, non era inevitabile.
C’è un rimedio? Un esercizio più rigoroso delle politiche di Welfare. Possiamo certamente educare alla libertà/responsabilità, mediante una sapiente predicazione di valori. Ma resterà sterile e astratta, se non sarà combinata con politiche rigorose di spesa pubblica, che costringano i cittadini a fare i conti con le risorse a disposizione. Finora abbiamo investito sul debito pubblico, scaricandolo sulle generazioni a venire. Ma l’inverno demografico in cui siamo precipitati – esso stesso frutto di una libera fuga dalle responsabilità e di assenza di politiche per la famiglia – ha reso le prevedibili generazioni a venire sempre più scarse. Non si potrà continuare a scaricare sul futuro la nostra irresponsabilità presente, perché semplicemente non ci sarà futuro. Il cerchio è destinato a chiudersi in pochi anni.