Un mese in Vietnam – di Roberto Ceriani – 17 i tunnel per la guerriglia alle porte di Saigon

Vietnam vince perché spara!. Lo abbiamo gridato per anni nelle strade e nelle piazze. Era un bello slogan: semplice, compatto e chiaro. E poi si adattava bene al ritmo di marcia dei cortei con i cordoni legati per evitare infiltrati e provocatori… forse oggi usano quello slogan nei corsi aziendali come buon esempio di comunicazione efficace…

Qualcuno lo gridava così forte che si è convinto bastasse sparare per vincere, così ha poi insanguinato le strade di Milano, Bologna, Roma… lasciando mezza generazione costretta a scegliere fra la disperazione della lotta armata e la disperazione della dose di eroina.

Oggi quello slogan andrebbe sostituito con Capitale vince perché paga!; non è uno slogan così ben ritmato, ma tanto oggi si grida solo su Twitter e il ritmo di marcia non conta più di tanto…

Già, perché qui in Vietnam la bandiera con la stella gialla a sfondo rosso sventola agli angoli di qualche strada, un po’ triste, sovrastata da enormi insegne pubblicitarie di Coca Cola, Fanta, Sprite, Kentucky Fried Chicken, Burger King, McDonnald’s… Ovunque si può pagare legalmente in dollari USA, sia cash sia con carta di credito (dànno anche la ricevuta fiscale in dollari!). Dove lo trovi un capitalismo così bello?

Posso capire, anche se non la condivido, l’idea americana di lottare contro l’espansione del Comunismo che ha sacrificato la vita di migliaia di ragazzi con la bandiera a stelle e strisce. Mi domando però cosa pensano oggi i turisti americani che vengono qui, magari a vedere dove è caduto il loro padre, un nonno o un marito… Che tristezza pensare a un parente morto per difendere un regime corrotto, combattendo contro un futuro partner commerciale che non osavi neanche sognare di avere!

Il tanto capitalismo, più o meno selvaggio, in questo Paese Socialista è parallelo solo alla diffusione di tante religioni nel Paese dell’Ateismo di Stato. Insomma, lo ammetto: ho le idee molto confuse, ma mi domando se le abbiamo più chiare di me i dirigenti di questo Partito che inneggia tanto allo zio Ho Chi Minh e contemporaneamente spinge l’intero Paese all’arricchimento individuale, costi quel che costi!

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Vicino a Saigon si possono visitare i cunicoli di Cou Chi. Sono gli scavi sotterranei dove i vietcong si rifugiavano fra un combattimento e l’altro. Centinaia di km sottoterra, fino al confine con la Cambogia. Una vera città sotterranea: depositi di armi, cucine, gabinetti, ospedali… Abbiamo visto una decina di trappole antiuomo che facevano pensare a una guerra medioevale: prima conoscevo solo le buche in cui molti GI (i soldati USA) sono caduti rimanendo infilzati nelle canne di bambù tagliate di sbieco.

Oggi i tunnel di Cou Chi sono visitati da scuole, da vietnamiti e da turisti. Lo spettacolo non è sempre edificante. In un luogo di dolore, violenza e sofferenza, purtroppo si sentono gruppi di turisti scherzare e farsi fare foto in atteggiamenti guerreschi. Esiste persino la possibilità, a pagamento obviously, di provare l’emozione di sparare con un vero mitragliatore da guerra. Sentire sullo sfondo questi spari continui mi fa immaginare un ipotetico Luna Park a Marzabotto, dove si può sparare con mitragliette tedesche…

Camminare sotto terra nei cunicoli per soli 40 metri è stata un’esperienza molto pesante, sia psicologicamente sia fisicamente. Non riesco a immaginare chi ci è vissuto per anni, studiando sistemi ingegnosi per non fare individuare le gallerie: fare sparire il terreno di costruzione, evitare che uscisse il fumo delle cucine, camuffare gli odori umani per confondere i cani impegnati nella ricerca, procurare armi e medicinali senza farlo capire…

Il “bello” è che i tunnel aperti ai turisti sono stati ingranditi e rialzati per… permettere l’ingresso degli americani, solitamente alti o grassi! Proprio quegli stessi americani contro i quali erano stati costruiti tunnel piccolissimi perché non potessero entrarvi!!!

La visita a Cau Chi non è facile da dimenticare. Inizialmente non volevo andarci: mi sembrava di violare un luogo che merita rispetto. Poi mi sono convinto che è giusto vedere per capire un po’ di più. Non mi piace il “turismo da guerra”, ma un turismo intelligente deve poter accettare anche questa realtà. La stessa sensazione l’avevo già provata a Sarajevo: non volevo andarci per lo stesso motivo, ma dopo averla vista ho capito un po’ di più quel secolo ventesimo, nato a Sarajevo e morto a Sarajevo.

Anche il viaggio in Vietnam era per me un “viaggio proibito”. Fino solo a un anno fa rifiutavo di venirci perché per me Vietnam è sinonimo di una guerra terribile, incompatibile con il turismo. Mi sbagliavo: turismo deriva da tour, viaggio, e viaggiare significa cercare di entrare in un’altra realtà. Non sempre la realtà è come la vorremmo, ma capirlo e accettarlo fa parte di un turismo intelligente.


(17 continua)  trovate qui le diverse puntate 1) Il museo della rivoluzione2) Le case verticali3) La lingua4) La guerra di Indocina5) Il popolo delle montagne – 6 I turisti e la lingua inglese7 Lo zio Ho8 Un salto in Cambogia9) Hotel cambogiani – 10) Hue cibo di strada e sicurezza – 11) Hue la fotofobia  – 12) Hue la Cittadella – 13) L'autobus notturno verso Ha Lang e le fabbriche – 14) Hoi An e il sito archeologico di My Son 15) China Beach, un salto nel passato  – 16) I vietnamiti e la fotografia