Noterelle sull’Università e sulla mercificazione dilagante
Si fa un can can sui media circa lo sciopero di un certo numero di docenti universitari, che reclamano scatti stipendiali bloccati dal 2012. Azione probabilmente legittima nel merito, ma non esente da un sapore corporativo, salvo che per le fasce docenti più deboli.
Personalmente non aderisco allo sciopero.
Detto questo, però, e anche lasciando perdere le solite litanie sulle baronie e privilegi, a volte dovute a ignoranza o pura invidia sociale, vedo emergere una visione del sistema universitario dominata dai dogmi ideologici del neoliberismo dominante.
Il vecchio marxista Althusser riteneva il sistema d’istruzione in generale, e quello universitario in particolare, un ‘apparato ideologico di stato’. Proviamo a sostituire apparato con ‘istituzione’, ideologico con ‘di alta formazione e ricerca’, e ‘di stato’ con ‘di diritto pubblico’. Si aggiunga il corollario essenziale ‘ in cui lavora per seguire virtute e canoscenza una comunità di docenti e discenti’.
Ecco , questo è quello che penso dovrebbe essere la visione di una buona università. Ben altra cosa dalla visione aziendalista e mercatista che si va sempre più imponendo, con il suo seguito solo apparentemente paradossale di abnorme burocratizzazione, informatizzazione pletorica e fasulla, svilimento dell’insegnamento ridotto a pacchetti di slot e ragioneria di crediti, bluff sistematici che vanno sotto il nome di ‘internazionalizzazione, e-learning, start-up eccetera’, organizzazione di eventi et similia per gli studenti clienti.
Senza parlare della cosiddetta ‘valutazione della ricerca’, basata su ridicoli criteri bibliometrici, il nuovo processo di abilitazione (mediane, bisettrici e quant’altro), e la creazione di carrozzoni stolti e inefficienti come Anvur, che si piccano di valutare la qualità, ma in realtà ragionano forzatamente in termini prevalente quantitativi, stimolando i giovani a una deprecabile moltiplicazione di lavori per anno.
Meritocrazia, certo! Ma si pensa di ottenerla diventando ‘un’azienda sul mercato’? Si dice: non pensiamo di venderci a Marchionne, ma di concorrere con le altre Università. Ma questo già si fa o si deve fare. E comunque, il nodo vero è investire massicciamente sulla ricerca, la cui qualità sia garantita da un sistema efficiente di rigorosa peer review. Un'inversione di tendenza, rispetto alla politica degli ultimi decenni (l'unico buon ministro dell'Università che ricordi, si chiamava Ruberti).
Vedo invece un certo Marattin, economista a Bologna, rampante nel PD, attaché nientemeno che alla Presidenza del consiglio come consulente economico, che sostiene che il problema dell’Università stia nello status giuridico dei professori! Essendo l’Università ‘una realtà che sta sul mercato’ (quindi un’azienda?), non si vede perché il contratto di lavoro dei docenti debba essere di diritto pubblico. Privatizzare!, dentro i sindacati, contratti collettivi (o aziendali?) e via di questo passo…concretamente, addio all'autonomia universitaria.
Peccato che, come mi sono sforzato di accennare sopra, l’Università debba essere ben altro che un’azienda, foss’anche pubblica. Peccato che il problema sia ben altro che uno status giuridico. Si diceva una volta, a proposito dell’uso dell’energia nucleare e dell’Enea, che la politica energetica fosse una cosa troppo seria per lasciarla a degli ingegneri. Così, l’Università è davvero un problema troppo serio per lasciarlo agli economisti (che fra l’altro raramente ne beccano una giusta).
Nella visione economicista di Marattin e soci, tutta volta ad adorare il moloch mercato, non si affaccia nemmeno l’idea che il sistema universitario debba farsi carico e incentivare anche la ‘cultura senza applicazioni’, il bello e l’inutile. Che non si debba necessariamente guardare, in una gretta visione immediatamente utilitaristica, all’applicabilità immediata, agli ’sbocchi occupazionali’ ecc, ma a ‘virtute e conoscenza’.
Che un paese come l’Italia, con il patrimonio di cultura e civiltà che nonostante tutto si trova ad avere, deve incentivare più che mai gli studi umanistici, la filosofia,, ma sì la filologia romanza, l’archeologia, gli studi estetici ecc ecc. Lo dico da matematico, con una pluridecennale esperienza nelle facoltà scientifiche, dove i nostri economicisti, fosse per loro, manderebbero a casa che so, i fisici teorici, e pomperebbero che so, la matematica applicata, o peggio la finanza matematica, notoriamente, salvo alcune eccezioni ai livelli più alti, matematica di serie b.
Forse Marattin e simili si ritengono ‘liberal’. No, sono liberisti, che è un’altra cosa, è la tara di von Hayek. Autentici liberali progressisti come i Rosselli, gli Ernesto Rossi, Spinelli e finanche Luigi Einaudi, si rivoltano nelle tombe.
Dunque sono a disagio. Se un Marattin rampante è alla corte di Renzi, mi devo preoccupare? Sono diventato un riformista, diciamo un liberal-socialista. Mi sono iscritto al PD per molte ragioni, inclusa la concretezza propositiva di Renzi e la necessità di fare argine a destra e grillini, e tenendo conto della totale inanità della sinistra-sinistra. Ditemi che non ho sbagliato partito….
Leggo che la ministra Fedeli si propone di investire di più sugli atenei e in particolare sulla ricerca di base. Alleluiah, speriamo in bene.
Sento altresì che il ministero avrebbe in animo di ripensare alla riduzione della media inferiore a due anni, o meglio, a un ciclo primario di sette anni, seguito da un ciclo secondario di cinque anni. Anche qui: se fosse vero, alleluiah (cit. Leonard Cohen). Giorni fa lessi un articolo molto interessante di Giovanni Cominelli sulla scuola. Premetto che in genere i contributi di Giovanni Cominelli, sono sobri, concreti, riflessivi e renzianamente propositivi, ma per capirli bene in genere li leggo due volte.
Nascondono infatti una sorta di rete che rivela una formazione filosofica; del resto, se guardate il volto del suo profilo fb, lo sguardo ha una sorta di ironia socratica… Ma tornando a bomba, e premettendo che non mi sono mai veramente occupato di riflessioni sulla didattica (pur avendone fatta parecchia, e credo discretamente bene), in quell’articolo, che condividevo più o meno in toto, Cominelli valutava in modo positivo il progetto di Luigi Berlinguer, fallito miseramente per la strenua opposizione delle corporazioni della scuola.
Berlinguer a mio modesto avviso fu un cattivo ministro dell’Università, ma il progetto 7 + 5 mi pare fosse proprio azzeccato. Nella mia esperienza di genitore, riferibile agli anni ’90, ricordo il triennio di scuola media come un buco nero. Insegnanti mediocri e demotivati, salvo poche eccezioni, programmi ripetitivi o incautamente ambiziosi, ragazzi annoiati, che avrebbero rivisto alcuni contenuti più avanti con maggior cognizione di causa, materie scientifiche ma non solo penosamente recitate, ecc ecc. Del resto mi pare che il giudizio negativo sulla media inferiore sia largamente diffuso. Ora, se davvero il problema è all'ordine del giorno, si tratta di sperare in una Fedeli energica, come può esserlo una ex-sindacalista….