Un mese in Vietnam – di Roberto Ceriani – 3 la lingua

La ragazza mi ferma per strada per farmi un’intervista. È una studentessa universitaria di una facoltà tecnologica di Hanoi. Per il corso di inglese deve fare un homework costituito da un’intervista a uno straniero.

Ha scelto me come straniero e mi fa alcune domande, mentre la sua amica riprende tutto con un video sul cellulare. L’argomento è “Come vedo l’amore fra i giovani”. Dopo 7-8 minuti di video mi chiede il permesso di fare riprese video. Le mie opzioni di risposta sono ormai ridotte a una sola, quindi accetto.

È difficile parlare con la ragazza perché il suo inglese mi sembra stranissimo. Già con altri vietnamiti avevo avuto difficoltà simili. Con questa ragazza è ancora peggio: per capire la semplice parola University ho dovuto fargliela ripetere 4 volte e, alla fine, l’ho capita solo grazie al contesto. Ma perché è così difficile capire il loro inglese?

Ricordo che, fin dalle elementari, mi dicevano che i cinesi sostituiscono la R con la L. Era un po’ riduttivo, ma efficace. Qui invece sembra molto peggio: ho l’impressione che mangino le parole, o che emettano suoni per noi estranei. Ma forse il motivo risiede nel loro modo di pronunciare le vocali.

Da quel poco che ho capito, la lingua vietnamita ha infatti 6 suoni diversi per ogni singola vocale. Per distinguerli usano vari simboli grafici, analoghi ai nostri accenti, ma molto più complicati. Noi abbiamo l’accento grave e quello acuto per rappresentare le vocali chiuse e le analoghe aperte, ma una volta che una vocale è aperta la pronunciamo “tutta”aperta.

Loro invece, mentre pronunciano una vocale, possono decidere, con un apposito simbolo grafico, di iniziare a pronunciarla aperta e poi chiuderla dopo una frazione di secondo. Non ho idea come facciano, ma possono fare acrobazie vocali anche più complesse. Possono anche fare il contrario, emettere una vocale chiusa che si apre mentre la pronunciano, o anche altre strane elaborazioni vocali che mi fanno pensare ai vocalizzi di un contralto. In questo modo una singola parola con 3 vocali può avere fino a 18 diverse pronunce, ognuna corrispondente a un significato diverso (in realtà però i significati usati non superano la decina).

Forse è questo loro linguaggio nativo che rende così difficile capirli quando parlano inglese.

Il record della difficoltà di comprensione linguistica però l’ho trovato in un bar-ristorante. Era un locale gestito da un’associazione di supporto all’integrazione di ragazzi disabili, che lavoravano nel locale insieme ad altri giovani normodotati. Il bar era l’analogo del RAB (bar al contrario!) di Corso San Gottardo a Milano, gestito dalla ONLUS Handicap Su La Testa.

Il ragazzo disabile arriva al tavolo per raccogliere le ordinazioni parlando una lingua incomprensibile con vaghi e lontani riferimenti all’inglese. Mi sono così trovato a chiedere diversi piatti e bevande, parlando in inglese con un disabile vietnamita: è un’esperienza di difficoltà linguistica che pochi umani hanno sperimentato, ma alla fine ci siamo capiti! Al confronto la decrittazione di Enigma nel 1941 da parte di Alan Turing sembra un tranquillo passatempo domenicale…

(3 -continua)


un mese in Vietnam – di Roberto Ceriani – 1 Il museo della rivoluzione

Un mese in Vietnam – di Roberto Ceriani – 2 le case verticali