primo non nuocere – di Henry Marsh

Nei miei primi anni di insegnamento, tutto preso dalla passione per la scienza dura, avevo un giudizio decisamente negativo non tanto sulla medicina quanto sul mondo dei medici. Avevo visto troppi modelli negativi, persone mediocri cui la società riconosceva uno status sociale secondo me eccessivo rispetto al valore e alla funzione sociale.

Era la fine degli anni 70 e nei licei la scelta di fare medicina andava per la maggiore come approdo sicuro ad una professione di successo e dallo status sociale garantito. Sconsigliavo gli studenti più bravi dall'adeguarsi a quel modello e facevo lo stesso nei confronti dei futuri manager/commercialisti in ansia da Bocconi.

Negli anni ho cambiato opinione sia sulla professione medica sia sul valore di quella formazione ed ho imparato ad apprezzare in particolare i chirurghi quelli che mettono le mani sul corpo vivo e tolgono di mezzo, fisicamente, il male e la malattia.

E andata così  anche per Henry Marsh che decise di fare il neurochirurgo, dopo studi di filosofia politica, assistendo ad un intervento per sistemare un aneurisma cerebrale.

Il libro che vi propongo si legge tutto d'un fiato perché ha tutte le caratteristiche positive delle autobiografie: un grande neurochirurgo inglese, grosso modo della mia generazione, racconta di sè, della sua vita, del suo rapporto con i tanti tipi di tumori del cervello (che danno il titolo a quasi tutti i capitoli), delle lunghissime sedute di neurochirurgia in cui un singolo intervento può superare le 10 ore, della chirurgia fatta al microscopio, della delicatezza della interazione con il sistema vascolare del cervello, del carattere irreversibile di certi errori, della interazione con i pazienti con cui si discute di qualità della vita, di anni di vita, di recidive, di speranza di vita, della morte e del morire, dei cambiamenti delle caratteristiche del sistema sanitario con la invadenza delle regole di organizzazione che al chirurgo appaiono come sovrastutture invadenti e dannose, della disattenzione al malato da parte di chi progetta gli ospedali, del chirurgo che si trasforma in paziente e vede le cose dall'altra parte della barricata.

Mentre si legge ci si trova immersi anche in problemi di carattere non strettamente medico quali le riflessioni su cosa sia la coscienza e su cosa significhi sacrificare una parte del cervello o su cosa voglia dire seguire dei tirocinanti o lavorare in equipe. Come spiegare una prognosi in termini statistici a chi vuol sapere della propria sopravvivenza.  Come decidere che è venuto il momento di non fare più nulla e come dirlo a chi viene da te sperando in tre mesi di vita in più? Alcuni capitoli sono dedicati all'Ucraina del post comunismo un paese con cui Marsh ha avuto lungamente a che fare.

Ecco un breve assaggio preso dal primo capitolo.


Spesso sono costretto a tagliare il cervello ed è una cosa che detesto fare. Con un paio di pinze diatermiche a onde corte coagulo il bel groviglio di vasi sanguigni che riveste la superficie splendente del cervello. Incido quest’ultima con un piccolo bisturi e apro un foro attraverso il quale penetro con un sottile aspiratore: essendo il cervello di consistenza gelatinosa, l’aspiratore è lo strumento principale del neurochirurgo. Guardo nel microscopio chirurgico, facendomi strada tra la morbida materia bianca del cervello, in cerca del tumore. L’idea che il mio aspiratore attraversi il pensiero stesso, le emozioni e la ragione, che i ricordi, i sogni e le riflessioni siano fatti di quella gelatina è davvero troppo strana da comprendere. La sola cosa che vedo davanti a me è materia. Eppure so che se sconfinerò nell’area sbagliata, in quello che i neurochirurghi chiamano il cervello eloquente, quando, dopo l’operazione, entrerò nella sala di risveglio per vedere com’è andata, mi troverò di fronte un paziente menomato e invalido.


Primo non nuocere. Storie di vita, morte e neurochirurgia
Henry Marsh
Editore: Ponte alle Grazie Collana: Memorie, 2016, Pagine: 330 p. , Brossura 15 €, disponibile anche in ebook a 10 €.