Il PD e le “vuote ombre” della minoranza – di Guido Sesto
Ieri nel PD si è discusso soprattutto sugli effetti contraddittori della globalizzazione, sull’incombente destra sovranista, populista, protezionista, sul pesante disagio vissuto dalle classi medie e dai giovani, nonchè sull’ineguaglianza crescente e sulle risposte immediate da elaborare a sinistra, e si è deciso di continuare a discutere in modo più profondo in un Congresso da tenersi subito; tutte le scelte di politica e di leadership si dovranno fare in quella sede, la massima sede democratica in un partito democratico.
Questo è il fatto rilevante del giorno. La decisione è stata approvata da una larghissima maggioranza, tanto larga e vasta che si può senz'altro attribuirla a quasi tutto il PD. Chi ciancia di PD lacerato ama le forzature e tradisce la realtà.
Il PD oggi è un partito nuovo, sebbene sia nato nel 2007, dopo le esperienze purtroppo negative dell’Ulivo in cui i DS di allora ritenevano naturale allearsi con una sinistra radicale ancora comunista, ideologica, settaria e indisponibile a governare il paese, ritenuta comunque dai DS a loro affine, facente parte della stessa famiglia; col PD, soggetto politico ultimo della serie, tirato finalmente fuori dal guado da Veltroni, si intendeva finalmente affermare in pieno il carattere di un partito di sinistra riformista moderna; tutto ciò ha però tardato a tradursi in fatti coerenti e non fu infatti un caso che Veltroni fu allora messo inspiegabilmente da parte.
I dirigenti del PD fino al 2013 hanno continuato a mantenere questa grande forza popolare, radicata nel paese, nell’equivoco di una sinistra ambigua, reticente nei confronti del futuro, legata di fatto ancora al passato, alla sua tradizione peggiore, a luoghi comuni ormai consunti, ma tenuti in vita per pavidità, per pigrizia e per puro calcolo: timore di turbare i legami affettivi-emotivi col passato comunista degli strati sociali più conservatori del partito, disimpegno e anche scarsa capacità nella produzione di idee nuove di sinistra più adeguate alla realtà in rapidissimo movimento, preoccupazione di mantenere il controllo del partito e i vantaggi delle proprie posizioni, minacciati da eventuali scosse innovative.
L’ultima consultazione elettorale politica fu quella del 2013, caratterizzata ancora da un’alleanza con la sinistra radicale; l’esito fu del tutto deludente, il PD ottenne da solo il 25%, nessun passo avanti nella società più ampia, nessuna conquista aggiuntiva nel grande bacino degli elettori moderati. Dagli alleati tardosinistri il contributo fu misero numericamente, uno scarso 5%, e letale politicamente; prontissimi come sempre a lesinare i propri voti una volta accomodatisi in Parlamento.
Solo dal 2013 il PD compie il salto di qualità nei fatti, Renzi e tanti giovani ne sono l’evento più evidente e la prova di una maturazione interna progressiva di tutto il corpo del partito , inizia un processo di svecchiamento mai avvenuto fino ad allora, il Paese guarda a questa novità con interesse e la premia con il 41% alle elezioni europee. Il 4 dicembre 2016 il governo e il PD perdono il referendum sulla riforma, ma riguadagnano il 41% degli elettori favorevoli al cambiamento proposto. Oltre ai piddini tanta gente nuova guarda al PD, questa è la novità storica del momento.
IL PD entra a far parte per la prima volta del partito del socialismo europeo, assume il carico del governo in una coalizione necessariamente condivisa con un partito di centro destra, si cimenta con dignità e autorevolezza nel confronto in Europa, tenta vie inedite, riesce a far passare leggi di qualità seppur in un contesto difficile.
In questo PD nuovo, di vecchio c’è soltanto quella che si denomina minoranza, una sparuta pattuglia che ciancia di chissà quali e quanti pezzi di popolo si siano disamorati, gente che loro rappresenterebbero; in realtà è solo il tentativo disperato di coprire , nascondere la propria decadenza politica, ormai diventata inettitudine e totale vuotaggine.
Oggi Bersani, Emiliano, Speranza non rappresentano pezzi di comunità, sono soli e fuori dal PD sarebbero ancora più isolati. I giornali li usano unicamente allo scopo di riempire i titoli delle loro testate con la parola scissione, che di per sé crea sensazione e fa vendere qualche copia. Ieri costoro hanno balbettato mediocri pretesti, si sono contati e sono bastate le dita delle due mani, stamattina hanno ancora il coraggio stupido di minacciare la scissione.
Mi pare si possa concludere tranquillamente che il PD tutto andrà deciso per la sua strada, con loro o senza di loro; se andassero via però, di positivo ci sarebbe la fine del clamore giornalistico e un salutare silenzio renderebbe marginali le loro sortite successive