Analfabetismo di ritorno? – di Nanda Cremascoli esperta in tecniche di scrittura
Non vorrei sembrare polemica fin dalla prima riga, ma correrò il rischio. Da tempo ormai, passando per innumerevoli commissioni dell’Esame di Stato, ho maturato la convinzione che stiamo allevando troppi marmocchi viziati e ignoranti e che quindi stiamo buttando via il nostro tempo di insegnanti e le sostanziose risorse pubbliche che occorrono per la scuola.
Non voglio qui affrontare né il tema della riformabilità della scuola, né il tema delle cause, che d’altra parte sono sotto gli occhi di tutti, prima fra tutte la trascuratezza pubblica verso la formazione degli insegnanti e del loro insostituibile, (ho detto proprio insostituibile!) mestiere; poi l’incapacità politica di costruire una scuola sensata, a vari livelli di complessità in modo da educare il maggior numero possibile di giovani e da prepararne alcuni ai livelli più alti. Intanto il bel risultato che abbiamo ottenuto è di non dare quasi niente a quasi tutti.
L’insegnamento di “Italiano” nella nostre scuole medie superiori è epitome di questa straordinaria confusione di scopi, contenuti, metodi, valutazioni.
Prima degli ultimi sciagurati vent’anni, nel Ginnasio-Liceo Classico e nel Liceo Scientifico, ma anche nei Tecnici, l’insegnamento di “Italiano” era nel primo biennio preparatorio al corso triennale di “Storia della Letteratura Italiana”. Facevano eccezione le scuole professionali, che erano strutturate su tre anni, e ancora negli anni Ottanta, chiamavano l’insegnamento di “Italiano” “Cultura italiana”.
Nei due Licei e nei Tecnici il corso di “Storia della Letteratura Italiana” era fondato sul canone di autori ed opere selezionato in età risorgimentale ed integrato con le rivisitazioni dei successivi settanta, ottant’anni, ma sostanzialmente inalterato pur nella diversità dei paradigmi interpretativi (crociani, marxisti, strutturalisti, psicanalisti…). Non entrerò nel merito della crisi nella ricerca universitaria nell’ambito della disciplina di “Storia della Letteratura Italiana”, che ovviamente ebbe conseguenze pesanti sull’insegnamento medio, testimoniate nella scuola dal fondamentale volume di Remo Ceserani e Lidia De Federici, Il materiale e l’immaginario, ultimo tentativo, finora, di dare a questo insegnamento un altro assetto.
Mi interessa invece registrare che fin dagli anni Settanta del secolo scorso (e sono vicende di quasi cinquant’anni fa!) la scuola media inferiore e superiore diventava sempre più grande nel numero degli studenti e poneva agli insegnanti nuovi problemi: anzitutto lo scopo dell’insegnamento di “Italiano”, poi i suoi contenuti, le modalità di comunicazione e di valutazione.
Veniva drammaticamente meno la finalità di costruire attraverso il canone letterario quel terreno culturale comune condiviso dalla classe dirigente del nostro Paese. In questi tempi di revisione costituzionale mi sono imbattuta in un’intervista di Calamandrei, che, non ricordo più a proposito di quale problema costituzionale, dice di essersi convinto a sostenere una determinata soluzione perché Togliatti (!) gli aveva ricordato i versi del XXII del Purgatorio: “Facesti come quei che va di notte, / che porta il lume dietro e sé non giova, / ma dopo sé fa le persone dotte”. Significa che tra persone così diverse per estrazione ed esperienza c’è un’educazione comune, costruita proprio dalla scuola, dove Dante è il centro del canone non solo letterario, ma anche etico che la scuola adotta. E’ difficile oggi immaginare un’impostazione culturale in cui si possa riconoscere un denominatore comune tra i politici quarantenni o trentenni, forse tra alcuni cinquantenni. Naturalmente non intendo dire che occorre tornare al bel tempo che fu. Dico solo che la scuola di oggi non compie il dover suo.
Ma a partire dagli anni ’70 del secolo scorso, noi insegnanti di Italiano, abbiamo fatto esperienze importanti e positive che avrebbero dovuto essere raccolte in un nuovo canone e in una nuova articolazione della scuola media superiore, che invece non fu mai riformata, naturalmente neanche con il riordino Gelmini del 2010!
Ma torniamo al vero problema che emerse in quegli anni di esperienze mai fatte prima. La scuola di massa ci mise di fronte ad allievi non italiani madrelingua e non perché stranieri, ma perché ancora negli anni Ottanta, diceva Tullio De Mauro con la sua équipe di ricercatori, la metà degli Italiani non era ancora di madrelingua italiana. E non stiamo parlando solo del Sud: le mie esperienze personali sono lombarde e il fenomeno era visibile. C’erano anche studenti di madrelingua italiana, ma parlavano un italiano così modesto da rendere necessario un forte intervento educativo. Da allora la situazione è peggiorata, perché la percentuale dei madrelingua dialettali è ancora altissima e perché l’italiano parlato dai ragazzi oggi a scuola è ancora più povero e grezzo. E tralascio i problemi posti dalla presenza crescente degli alunni stranieri.
Quindi da un lato noi insegnanti di Italiano abbiamo smarrito il nostro canone letterario, anche se nella Scuola e nell’Università i nostalgici, quelli della “deprecatio temporum”, non mancano e riescono, come sempre in Italia, a bloccare tutto. D’altra parte dare efficacia ad una vera educazione linguistica implicherebbe persuaderci ad abbandonare la via vecchia: occorre imboccare la strada dell’ampia gamma di testi scritti (e detti) in italiano in modo da costruire una vera competenza linguistica, propedeutica a tutto, a tutto quel che si studia in uno specifico ordine e grado di scuola.
In quest’ambito i testi letterari sono uno (uno) dei tipi di testo che possono essere affrontati a livelli di complessità, diversi a seconda dell’età e del tipo di istituto degli alunni. Si possono leggere da lettori non sprovveduti romanzi, novelle, poesie, commedie, tragedie senza fare un corso di Storia della Letteratura, che dovrebbe essere affrontato solo da chi in un scuola secondaria riformata (ricordo l’ultimo triennio berlingueriano) e poi in un corso universitario se ne vorrà occupare da specialista.
Lo scopo di un buon corso di italiano nella scuola media (inferiore e superiore) è quello di educare italiani padroni della propria lingua in tutti i suoi aspetti, testuali e pragmatici, a diversi livelli di complessità sia per grado sia per ordine scolastico.
Fatte queste premesse, vi sarà chiara la finalità del sito Italiana contemporanea, che è una scatola di Lego.
Dentro ci sono potenzialmente tutti i pezzi con cui costruire le proprie competenze di italiano. I testi qui raccolti lasciano a chi legge la cura di selezionarli, costruendo un proprio percorso. Non sono cioè strutturati, ma sono strutturabili. Le “guide alla lettura” e i “quaderni di Italiana Contemporanea” sono i foglietti di istruzione che nella scatola dei Lego aiutano a pensare le costruzioni possibili. I foglietti di istruzione si basano sull’idea che per costruire un discorso, occorre imparare anzitutto a riconoscerne la logica strutturale: i fatti, gli oggetti, gli eventi…i commenti e le interpretazione di fatti ed eventi; occorre poi osservare i mezzi che creano la sua coesione; infine quelli che connotano il suo registro espressivo. Per chi cerca invece un percorso già strutturato, in “piccola biblioteca Italiana Contemporanea” sono disponibili agili raccolte di testi, incentrati su un tema, sulle tipologie testuali e sulla varietà di scritture.
Un buon corso di “Italiano” è un corso di “retorica”, ovviamente non nel senso deteriore della parola (anche se praticare la retorica insegna a evitarla, la retorica!), ma nel senso più alto: la retorica è l’arte di esprimere il proprio pensiero con chiarezza argomentativa, allineando fatti, narrazione di eventi, descrizione di persone e oggetti, … ; è gusto per la parola limpida, concreta, pragmatica, capace di significare con precisione e di parlare a tutti; in sintesi è esercizio dello spirito critico, cioè l’esatto contrario della credulità manipolata, la cui realtà è così forte oggi, come sempre … e come non mai.
È un bel curricolo, no?