Analfabetismo di ritorno? – la prof di un ITIS (di Maria Vittoria Cavanna)
Ci sono volute le firme di 600 docenti universitari per dare risalto a un problema che chi é tutti i giorni in trincea conosce e cerca di combattere con energia, denuncia in ogni modo, ma non viene ascoltato.
La questione non nasce ieri ma ha le sue radici in una scuola che da qualche decennio svolge una funzione più ricreativa che educativa, strizza l'occhio troppo spesso alle richieste delle famiglie, che in molti casi pretendono il successo dei loro figli e hanno assunto il ruolo di sindacalisti abbandonando quello di educatori, é preoccupata a cercare consensi e visibilità attraverso azioni di marketing e progetti di ogni sorta.
Tutto questo contribuisce ad allontanarla dall'obiettivo principale: costruire un'impalcatura solida, in grado di sostenere e di promuovere l'elaborazione critica e sistematica di ció che gli studenti impareranno nel tempo, attraverso i percorsi di studio e di lavoro.
Oggi quell'impalcatura é troppo fragile e non consente di creare un sapere complesso e poliedrico, un tempo vanto della scuola italiana.
Leggendo i programmi delle elementari del primo Novecento vien da pensare che l'essere umano nell'ultimo secolo sia stato colpito da una progressiva atrofia cerebrale. Naturalmente non è così: il problema è la perdita di motivazione alla fatica.
Perché un ragazzo dovrebbe passare i pomeriggi a studiare se può raggiungere gli stessi risultati senza farlo? Perché faticare su esercizi ripetitivi e poco gratificanti se il mondo circostante non perde occasione per suggerire valori e comportamenti completamente in antitesi con l'impegno, la dedizione, la serietà?
Nel mio lavoro quotidiano,pur cercando di sperimentare metodi diversi e tecniche di apprendimento innovative, mi scontro costantemente con la paura dello studio da parte dei ragazzi, i quali mi riconoscono buone qualità di comunicazione e interazione e rispondono alle sollecitazioni in maniera spesso costruttiva ma sono poi recalcitranti a fare la loro parte di lavoro e non fissano i contenuti, che restano superficiali e ondivaghi.
Negli ultimi anni, durante i quali l'emergenza linguistica é sempre più tangibile, mi sono concentrata su un paio di obiettivi: arricchire il loro lessico e potenziare la capacità di argomentare.
Per il primo obiettivo, su suggerimento di una cara amica, ho introdotto "l'ora di parole'; in questo spazio, utilizzando un sito chiamato" una parola al giorno", proietto la definizione e la descrizione della parola da analizzare, cerco di raccontarne la provenienza e di darle "un'anima", quindi chiedo ai ragazzi di scrivere una frase che la contenga.
Per l'abilità argomentativa nella mia scuola é stato introdotto il progetto we debate di taglio un po' anglosassone ma abbastanza efficace. Si dibatte su un argomento divisi in due squadre (pro e contro la tesi da discutere), con regole molto precise e tempi regolamentati. In terza a breve faremo un esperimento su latino o volgare, nel corso del quale una squadra sosterrà la posizione di Dante e una di Petrarca. I risultati però non sono miracolosi e richiedono tanto tempo, che viene giocoforza sottratto ad altre attività.
Concordo con il grido d'allarme dei docenti universitari e rispondo con una provocazione: l'università non è scuola dell'obbligo (ormai la scuola superiore di fatto lo è diventata) e può permettersi di operare una selezione seria e rigorosa.
Rifiutare di abbassare le pretese, ripensare a test di ingresso atti a valutare le capacità di comprensione, analisi e sintesi di un testo, pretendere un lessico preciso e ricco, potrebbe avere a parer mio un effetto choc, non solo sulla scuola ma sulla società.
Sapere che per conseguire una laurea sono obbligatori dei pre requisiti elevati finirebbe per ridare dignità a tutti gli ordini e gradi del sistema scolastico e metterebbe all'angolo l'atteggiamento di lassismo che imperversa nelle famiglie e nella società.
Purtroppo a nessuno (neppure ai cattedratici) oggi piace andare controcorrente ed essere impopolare! É più comodo palleggiarsi colpe e responsabilità ma lasciare le cose come stanno: eppure un vistoso calo di matricole nei nostri atenei sarebbe un messaggio ben più efficace e immediato di tante petizioni, lettere e litanie!