I giacimenti – il circuito mano/occhi/cervello – 3

Un’altra dose di realismo (pedagogico?) spira dalle parole di quel libretto. Lo si recupera dalle “ricette” relative all’imparare a scrivere e a fare di conto. Si tratta di ricette fortemente prescrittive: esercitarsi sulle aste, sulla pagina reticolata… fino a giungere ad una scrittura in corsivo con quella nitidezza che piace all’occhio e aiuta a far bene i compiti assegnati. (A conforto di quanto va sostenendo Benedetto Vertecchi sulla necessità del corsivo sulla base delle sue recenti ricerche).

Potremmo ripetere l’osservazione sul fare di conto, sul calcolo mentale, sulle quattro operazioni, sulle “proporzioni”, sul “tre semplice”: ma anche sulle nozioni di computisteria pratica, sul “fare i conti” nella bottega con gli anticipi o sulla “ idea del bilancio” famigliare.

Non mi interessano qui dissertazioni particolari su quegli esercizi: valgono, estendendole, le considerazioni relative ai fondamenti antropologici della connessione circuitale mano – occhi (sensi) – cervello e sulla attrezzatura necessaria per esercitarla nella “caccia nella foresta”. Voglio invece sottolineare come in quella “pedagogia” si dia per scontato che l’apprendimento è (anche) legato a fasi ripetitive, esercitative, “obbligate”, di scarsa o nulla “creatività” o libertà di espressione del discente.

Se mi permettete una opinione personale, è proprio così. Io credo che l’apprendimento avvenga “per rottura” e discontinuità (alla faccia del predicato della “continuità” che sembra un feticcio della scuola italiana, ma forse riguarda la collocazione dei docenti..) …

Ci sono teoremi di matematica che studi ed impari, ma solamente in un giorno insospettato, all’improvviso, ne capisci fino in fondo il significato, come fosse una scoperta… Guai se non ci fosse quel lavoro quotidiano, noioso, ripetitivo, coercitivo esercitativo a monte, nella quotidianità dello studio. Non ci sarebbe neppure “illuminazione”.

In una lettera, Mozart dice ad un amico (cito a memoria e non dettaglio…) riferendosi ad una nuova composizione “ .. Ce l’ho tutta in testa… devo solo mettere giù le note…”. Certo, se fin da piccolo il padre non l’avesse obbligato a misurarsi con la ripetitività di note e scale….

Formazione, bildung, costruzione. Per Tommaso “forma hominis juxta propria principia…” e dunque “potature di formazione” come allevare una pianta. Se voglio mettere un tutor ad un olivo, non ci metto un altro olivo, ma un palo dritto.

Credo, temo, che a quella attività ripetitiva, coercitiva, esercitativa diamo poco peso nella scuola “moderna”. Anche in tale caso non mi interessano richiami fondamentalisti… credo si tratti di “decidere”, e in quale misura, alcune cose servano ai cuccioli per ciò che essi sono e per la loro caccia… e farle.

Naturalmente moderni appassionati della rielaborazione del costrutto di “competenza” troveranno nelle affermazioni di quel libretto tante conferme sulla “modernità” delle loro “scoperte”. E anche sulla “novità” dei “compiti di realtà”. Se togliamo l’attributo donnesco in nome del politicamente corretto, quell’elenco di Lavori Donneschi è una miniera.

Posso solo aggiungere che, ovviamente, in quella inevitabile fase ripetitiva, esercitativa, coercitiva, bisognerà pure “simulare”. Per insegnare a cacciare sarà bene che non si metta in mano al cucciolo subito una lancia o una spada… comincerò con canne di bambù…Poi si arriverà, e sarà un “rito fondamentale”, alla lancia vera…

A proposito di simulazione: ricordo che, constatato che la moderna città “mercantile” non poteva assolvere al compito ideale della polis paideia, i Gesuiti, che hanno insegnato ad insegnare a tutti noi, costruirono quella “simulazione” di città che erano i loro collegi dal XVI secolo… e in quella dimensione collettiva totale avveniva la formazione.

Nella stessa impostazione si muovono i college anglosassoni. Ma in proposito Gramsci sostiene la superiorità di una formazione in contesto collettivo, da collegio o convitto. Recuperare la “Ratio Studiorum”, e scoprire come chiamiamo oggi le didattiche esercitate fin da allora. Speech, Debate o Disputatio?

Mi rendo conto che, nel confronto oggi-ieri, sto forzando l’argomentazione. Proprio la scuola elementare (pardon: primaria..) nella sua concreta vita ha mantenuto e mantiene l’attenzione a numerose delle osservazioni qui fatte, spesso nella saggezza e tradizione dei maestri più che non nei programmi. Ma la polemica mi serve per richiamare come ancora ci pesi addosso non risolto e spesso in modo occultamente operativo il “modello” gentiliano.

E sia chiaro non mi riferisco al filosofo (in fondo fu ministro per due anni… meno della Moratti o della Gelmini…), quanto agli effetti dell’incontro e miscela tra l’idealismo e gran parte della cultura conservativa cattolica. Vi sono lettere di Gentile, non più ministro, che si lamentava del “gentilismo” della amministrazione scolastica: lui aveva posto la Filosofia come architrave della istruzione superiore. Invece nei programmi ministeriali si trovò  la “storia della filosofia”.

Un tradimento del suo stesso pensiero, e il primato riconsegnato “alle Lettere”. Ma si sa: il Latino “insegna a pensare”. La Matematica o le Scienze, o la Filosofia no  … Che la nostra tradizione sia in realtà più “crociana” che “gentiliana”? Forse si capirebbe così come mai una certa “nostalgia” di una certa sinistra… aveva pensato di risolvere la cosa con un GAP, per ritrovarsi a fare convegni sulla superiorità critica del Liceo Classico gentiliano.

Anche qui, non essendo un pedagogista e tanto meno un didatta non ne faccio una questione teorica. Mi basta considerare che il modello gentiliano toglie “consistenza ed autonomia propria” alla fase di formazione che io ho indicato come “portare i cuccioli nella foresta…”.

I livelli basilari della formazione acquistano invece senso solo se considerati “teleologicamente” propedeutici alla “vera” formazione che è quella del Liceo. Un sistema di istruzione che è gravitazionalmente proiettato verso l’istruzione superiore: quello che precede ha senso solo in vista di ciò che segue.

Il responsabile del settore istruzione della Commissione Alleata che assunse il governo dell’Italia occupata nell’immediato dopoguerra nella fase di transizione, era un allievo seguace di Dewey (Washburne). Lasciò in eredità al futuro Governo italiano una proposta di revisione del sistema scolastico improntata al pensiero deweyano, incontrando l’ostilità in particolare della scuola cattolica. Le sue proposte rimasero lettera morta fino ad essere esplicitamente smentite con i programmi Ermini un decennio dopo.

E tuttavia qualche cosa di “scuola attiva” penetrò nella scuola elementare del tempo. Anche se è difficile scordare l’amarissima ironia di certi passaggi di Mastronardi nel “Maestro di Vigevano”. Ciò che conta in tutte queste argomentazioni: questo implicito “aristocraticismo” che pone come gravitazione dell’intero sistema l’istruzione superiore accompagna la incapacità storica delle classi dirigenti italiane di strutturare un sistema di istruzione “di massa”.

Come dico spesso, mandiamo “tutti a scuola”, ma costringendo i cuccioli in un contenitore che non è “una scuola per tutti”.

Un’ultima considerazione: dobbiamo sempre ricordare che la scuola funziona sul lavoro di persone che costruiscono la loro cultura professionale, le loro interpretazioni di ruolo, i loro immaginari e i significati sociali della loro funzione, nell’arco di decenni di apprendimento, formazione, esercizio professionale. Certo la formazione può essere continua e sollecitata, ma i modelli e i costrutti di fondo tendono a riprodursi.

Quando ci si cimenta con proposte che vorrebbero essere radicalmente innovative, magari attraverso qualche documento ministeriale o suggestione di tecniche nuove, bisognerebbe sempre ricordare quella “costanza” di costrutti di fondo. E non scambiare l’innovazione per qualche tocco di cosmesi magari affascinante.


(3 – fine) I precedenti articoli sono I giacimenti – riflessioni sull’insegnamento elementare a inizio 900 – 1 e I giacimenti – portare i cuccioli nella foresta – 2