fuori, fuori?
Sul momento ero rimasto semplicemente perplesso di fronte alla reazione di alcuni miei amici, interni ed esterni al PD, che la buttavano sullo scandalo per quanto era accaduto. Avevo ascoltato in diretta il discorso di Renzi su una TV locale toscana a partire dal blackout da fulmine poco prima dell'inizio del discorso conclusivo e non avevo notato nulla, così mi sono messo alla ricerca dei filmati e di qualche dichiarazione che mi fosse eventualmente sfuggita.
Dunque: c'è un signore che si alza e per due volte, in maniera concitata interviene su un passaggio del comizio di Renzi critico (o meglio perplesso) sulle ultime mosse del trio Bersani-Speranza-D'Alema, e invita urlando a mandarli fuori dal partito; Renzi replica che non si manda fuori nessuno e prosegue nei suoi ragionamenti, mentre da un gruppo, contiguo al signore esagitato, viene nuovamente ritmato il fuori-fuori.
A seguito di questo fatto ci sono state dichiarazioni da parte di Bersani, in procinto di partecipare a Palermo ad iniziative per il NO targate PD; dice Bersani: scoppola a Monfalcone, io lavoro per il dentro-dentro, ma la sua argomentazione contiene qualche elemento di falsità come quando imputa a Renzi il fuori-fuori. Per altro mentre afferma che ci sarebbe una emorragia a sinistra con gli elettori che vanno fuori da sè, cita Monfalcone e non spiega la crescita del centro destra già al primo turno (Monfalcone è la Sesto San Giovanni della costa adriatica, il posto da cui gli operai dei cantieri emigrarono in Jugoslavia nel 45 per aiutare la costruzione del socialismo). Secondo Bersani l'elettorato del PD è disorientato, si oppone a Renzi ma poi vota Berlusconi visto l'insuccesso dei 5 stelle e la presenza anche della sinistra-sinistra nella coalizione del sindaco uscente che, per un pelo, non ha perso già al primo turno?
Bersani «Scissione? Il partito è casa mia e non lo lascerò mai. E per cacciarmi non basta una Leopolda, ci vuole l’esercito. … A me ha fatto male sentire “fuori fuori”, ma ancora più male, al di là della voce della tifoseria, il silenzio di chi è stato zitto. Vuol dire che oltre all’arroganza c’è anche la sudditanza…io dico “dentro, dentro” ma se il segretario dice “fuori, fuori” bisognerà anche rassegnarsi ad un certo punto».
Arroganza? Sudditanza? Il segretario dice fuori fuori? Ma dove?, ma quando? Rispetto alle posizioni del passato sembra che Bersani stia mollando i ragionamenti sulla ditta: dal legittimo dissenso negli organi di partito, passa alla disobbedienza politica e alla fine evoca la scissione. Sono disorientato per la china imboccata da Bersani-Speranza e non mi meraviglio che molti iscritti ed elettori del PD lo siano, altro che sudditanza. Ci sono comportamenti che non si spiegano (e non si mettono in atto) quando si sta liberamente in una comunità e mentre è in corso uno scontro elettorale pesante su una questione (quella della riforma costituzionale) su cui si decise unitariamemte di far sopravvivere una legislatura figlia di un risultato elettorale di sostanziale pareggio (ricordate la rielezione di Napolitano?).
In questo partito, che è anche il mio, quando non si sa più cosa dire si dice partito plurale e a me vengono in mente le affermazioni di molti epistemologi neopositivisti che ironizzavano sull'uso ambiguo delle parole, utilizzate per non approfondire i concetti, una parola nuova, magari un po' ambigua, al posto di un ragionamento. Per me partito plurale significa che ci sono riferimenti culturali diversi, che il programma si elabora insieme, che il dissenso è ammesso anche quando è organizzato, ma tutto ciò ha un limite, quello del non passare sul fronte avverso. E' in corso uno scontro durissimo contro uno schieramento composito che va dalla estrema destra alla estrema sinistra mentre il PD cerca di spiegare, di entrare nel merito della riforma.
E' lecito mettere il simbolo del PD su iniziative per il no e magare mandarci come relatore l'ex segretario? Questo non è un comportamento ammissibile se si sta in un partito; mi viene in mente la parola d'ordine leninista "trasformare la guerra imperialista in guerra civile rivoluzionaria"; Lenin, tra il 15 e il 17 di fronte alla prima guerra mondiale, diceva, bisogna passare dall'altra parte, agevolare la vittoria del nemico perché così avanza la rivoluzione. Ho l'impressione che Bersani, con i suoi richiami alla ditta si stia spostando su questa posizione.
Sto usando una argomentazione forte, ma questo è il ragionamento prevalente sul fronte sinistro del no: sarebbero in gioco valori, principi e istituzioni non negoziabili e dunque va tutto bene madama la marchesa. Più che la organizzazione di una scissione a me pare la applicazione di cose come dopo di me il diluvio o muoia Sansone con tutti i filistei e dunque non mi meraviglio se siano i miltanti più avveduti, quelli con tanti anni di impegno politico alle spalle, a non poterne più e a rimpiangere il Bersani equlibrato e riformista.
Mi è già capitato di dirlo e lo ribadisco: mi auguro che vinca il sì, ma se dovesse prevalere l'unione di "no divergenti" sarebbe opportuno prendere atto della fine di un tentativo, dichiarare come PD che non si vedono margini di collaborazione emergenziale e lasciare al capo dello Stato il compito di verificare se Grillo, Salvini e Berlusconi possano mettere insieme qualcosa; intanto Renzi e il PD lavoreranno per un progetto da proporre agli italiani. E che vinca il migliore.