68 per il sì
Aula 102 dell'Università Statale di Milano in via Festa del Perdono. Dopo quasi 50 anni rivedo tanti che non riconosco.
Capelli bianchi e sagome appesantite i signori, rosso “menopausa” o caschetto alla “Cristine Lagarde” delle signore, cha han curato le loro forme con molto maggior cura.
Ne riconosco assai pochi.
Ci si rivede convocati dal “’68 Sì” l’iniziativa che Giovanni Maria Cominelli difende con determinazione dagli attacchi del grande leader Mario Capanna: ci accusa di tradimento arrogandosi il ruolo di giudice “costituzionale” di quel movimento che per primo ha messo in discussione con forme democratiche il ruolo dei partiti politici. Ruolo che proprio nella Costituzione del dopoguerra è stato cristallizzato in un quadro di maggior potere ai rappresentanti e minor potere al Governo. Proprio quello che la riforma ora sotto referendum vuole correggere.
L’intervento di Alberto Martinelli ha inquadrato i tipi principali delle critiche di chi sostiene il NO. SI vada dai “vaffa” che sono certo legittimamente delusi e frustrati dal governo della cosa pubblica, a chi vuol semplicemente far fuori Renzi e il suo Governo ed è mosso dai sentimenti (qualcuno da invidia, qualcuno da disgusto), ai giuristi raffinati cultori di un diritto astratto e formale.
Ha anche sottolineato alcuni argomenti per dare un voto positivo a un testo di riforma certamente pieno di difetti ma che induce un cambiamento di prospettiva. Particolarmente accurato sottolineare che la modifica del Senato mette l’Italia alla pari di quasi tutte le democrazie occidentali, senza limitare per nulla i diritti democratici. Permette quindi di passare da un sistema ideato per impedire a chiunque di attuare il programma di governo a un sistema che potrà gradualmente portare a una maggiore efficacia.
Ho trovato originalmente de-centrato l’intervento di Giovanni Lanzone che prende l’argomento dei sentimenti e lo rovescia da anti-renzismo in pro-renzismo, una esperienza che deve continuare perché si tratta di una fase di passaggio tra la generazione del pieno ‘900 alla generazione dei “post-erasmus” ovvero di chi ha sperimentato l’Europa Unita fin dalla prima gioventù.
Votare sì ed evitare che questo governo venga indebolito è un valore in sé, sia perché ha già compiuto scelte originali e di rottura (e Giovanni ho portato l’esempio della nomina di Tito Boeri alla presidenza dell’INPS, le cui proposte non sono attuabili con l’opposizione dei grandi funzionari dello Stato) e scelte di attenzione a settori come la Scuola e la nuova industria 4.0.
E' un percorso ancora incompiuto che un rafforzamento della capacità di governo potrebbe permettere di proseguire incidendo in modo più profondo sulla natura ancora fortemente corporativa del sistema italiano. E ha lanciato uno slogan “meglio il poco arrogante che il nulla militante”.
Ho poi sentito Giorgio De Michelis identificare chi si oppone in coloro che si sentono sull’orlo di un baratro: il baratro della perdita dei privilegi per gli alti funzionari e i politici di lungo corso, ma anche il baratro di chi sta per perdere anche le più piccole sicurezze come i cittadini di Goro che vengono illusi che la questione dei migranti sia una urgenza da risolvere in breve senza comprendere che si tratta di qualcosa che durerà decenni. E quindi il sì alla riforma vuole dire sia sconfiggere questi imbonitori sia dare maggior forza e strumenti operativi al governo all’affacciarsi di un 2017 che vedrà scadenze elettorali Europee di grande rilievo.
Ho poi sentito l’ex Sindaco Pillitteri che brevissimamente ha dichiarato il suo sostegno alla campagna del Sì, pur consapevole che la riforma si imperfetta e mal scritta, ma meglio che niente: “è talmente mal scritta che verrà certamente approvata”. Poi si è fatto tardi e non ho sentito altri. Una serie di argomenti molto pacati e molto politici. Proprio molto ’68-ottini, di quello spirito del ’68 maturato dopo il momento di massima mobilitazione giovanile prodotto dall’alluvione di Firenze di cui proprio oggi si celebra il 50-enario.