Le Olimpiadi della Fisica viste dal di dentro

Non ricordo che anno fosse. Poteva essere il ’93 o qualcosa di simile. Di sicuro ero già rientrato dall’esperienza di formatore PNI (prima a Potenza e poi a Cagliari) e quindi non poteva essere prima del ‘92.

Sta di fatto che in sala insegnanti mi è capitato tra le mani – non ricordo come – un librettino con su scritto “Olimpiadi di Fisica”; conteneva una serie di esercizi e mi ha incuriosito. Già alla prima occhiata mi ha colpito. Gli esercizi erano diversi da quelli che si trovavano sui libri di testo: ti costringevano a ragionare, avevano delle idee brillanti, per risolverli dovevi aver capito davvero, e non semplicemente applicare una formuletta.

La cosa al momento finì lì, ma nei mesi successivi mi ricapitò altre volte di vedere del materiale delle Olimpiadi e pian piano il mio interesse aumentò. Fu così che decisi di far partecipare la mia scuola. Devo dire a onor del vero che una buona parte dei colleghi mi seguì. Fu così che nel dicembre 1995 per la prima volta il “Calini” di Brescia partecipò alle Olimpiadi di Fisica.

Quasi dieci anni dopo – era l’estate del 2004 – me ne stavo sulla spiaggia a Serra degli Alimini, una bellissima località vicino a Otranto. Non ero in vacanza: era solo la pausa pranzo tra una lezione e l’altra di una scuola di Fisica.

Il 2004 è stato il mio anno magico: era appena uscito il mio libro di laboratorio di Fisica con la Zanichelli, e avevo iniziato il dottorato. Sì, avete letto bene: alla bella età di 55 anni, siccome non ho (mai avuto) tutte le rotelle a posto, ho pensato bene di fare il dottorato in Fisica all’università di Pavia (l’anno prima avevo superato l’esame di ammissione).

Beh, a Pavia in fatto di dottorato sono molto esigenti, e richiedono ben sette esami. Però c’era l’opportunità di abbuonarne uno se si frequentava la scuola estiva di Fisica, ed ecco perché ero lì. Dunque me ne stavo spaparanzato al sole sulla spiaggia, dopo un bel bagno, quando squilla il telefono. Era Giuliana Cavaggioni.

Per chi non la conoscesse, Giuliana è stata quella che ha convinto l’AIF (Associazione per l’Insegnamento della Fisica) a portare in Italia le Olimpiadi di Fisica, delle Olimpiadi italiane è stata la responsabile dall’inizio sino a pochissimi anni fa; insomma, Giuliana era “le Olimpiadi”. “Vorresti entrare a far parte del gruppo Olimpiadi?” Era il coronamento del mio anno magico!

Sono passati 12 anni. L’esperienza è stata bellissima, e non a caso le Olimpiadi sono l’unico impegno che ho voluto tenere quando sono andato in pensione e poco dopo quando le condizioni di mia madre che si stavano aggravando mi hanno convinto a mollare anche le esercitazioni all’università. È un impegno pesante (a scanso equivoci, non retribuito): si comincia a settembre-ottobre a preparare le prove di primo livello che si svolgono a dicembre e si termina talvolta ad aprile, dopo le gare nazionali, ma altre volte a luglio, per chi deve accompagnare la squadra italiana alle gare internazionali.

Quest’anno stimiamo (sembra strano, ma per una serie di difficoltà – leggi imbranataggine dei colleghi che fanno i pasticci più impensati all’atto delle iscrizioni) che alle gare di primo livello abbiano partecipato circa 750 scuole per un totale (sempre stimato, a maggior ragione) di circa 45.000 studenti.

Da qui, attraverso le gare di secondo livello (in febbraio), le nazionali (in aprile) e infine un ultimissimo stage a Trieste, si arriva a selezionare la squadra di cinque elementi che partecipa alle IPhO (International Physics Olimpiads) che si tengono ogni anno in un paese differente: le ultime in Svizzera – Liechtenstein, le prossime (2017) in Indonesia.

In genere l’Italia si comporta abbastanza bene: quasi sempre tutti e cinque i nostri rappresentanti portano a casa un riconoscimento (ce ne sono di quattro tipi: medaglia d’oro, d’argento, di bronzo e menzione d’onore). Quasi mai prendiamo l’oro, ma di argenti ne abbiamo collezionati diversi, e bronzi tantissimi.

Per capire il significato di questi premi, occorre tener presente che i Paesi partecipanti si possono classificare in maniera abbastanza netta in due categorie: i “professionisti” e i “dilettanti”. La denominazione è scherzosa, ma neanche troppo.

Nella prima categoria rientrano quelle nazioni (in genere asiatiche) che selezionano la squadra individuando un gruppo promettente di studenti, prelevandoli dalla scuola e immettendoli in università dove vengono sottoposti a massicce iniezioni di fisica. Alle IPhO questi fanno man bassa di medaglie d’oro. Nella seconda categoria rientrano quelle nazioni, come noi, dove gli studenti sono studenti veri, che fanno le versioni di latino e i temi, devono affrontare le interrogazioni di storia e di inglese, e studiano fisica nel tempo libero.

Noi sappiamo bene che portare a casa medaglie è utile perché dà visibilità, però i polli in batteria non ci interessano. Il nostro scopo (ambizioso, sia ben chiaro) è quello di cercare di influire in positivo sul livello d’insegnamento della fisica in Italia, producendo del materiale di buona qualità e stimolando un movimento che in questi trent’anni (già, dimenticavo, l’edizione del 2016 è stata quella del trentennale) è cresciuto molto.

Se torno indietro e ripenso a che cos’erano per me le Olimpiadi quando ancora ne ero un semplice utente devo dire che le vedevo come un punto di riferimento importante, uno stimolo a fare sempre meglio, un faro che indicava una rotta che potevo cercare, nei limiti delle mie possibilità, di seguire. Spero che continuino ad essere anche ora qualcosa di simile per i miei colleghi.