Capire l’Universo – Corrado Lamberti

Di libri di divulgazione scientifica ne possiedo qualche centinaio. Mi lascio attrarre dal titolo, dall'argomento, dalla chiara fama dell'autore, dall'editore, dall'indice. Raramente mi va bene perché rispetto agli anni in cui ero studente e la scelta era tra Boringhieri e Boringhieri, il mercato si è allargato sia sul versante della domanda sia su quello dell'offerta, non sempre con prodotti all'altezza del bisogno.

Escono opere di autori famosi e argomenti accattivanti e così cerco di tenermi aggiornato in particolare se si tratta di questioni che non sono entrate direttamente nel mio curriculum universitario e mi è capitato poi di insegnare raramente, anche se ho sempre cercato di proporre la fisica con uno sguardo rivolto all'oggi. Come mi è già capitato di osservare la fisica è tanta … e l'importante è non pretendere di farla tutta.

L'astrofisica, per via della malaugurata scelta di infilarla nel corso di Scienze di quinta liceo scientifico, ho sempre dovuto lasciarla fuori dai corsi per evitare incidenti diplomatici sia verso i libri di testo sia verso qualche collega con laurea in scienze naturali orientato a trasmettere solo ed esclusivamente quello che diceva il libro, qualunque cosa dicesse. come per esempio "quali sono le prove della rotazione terrestre ?" come se fossimo ai tempi di Galilei. Mi limitavo a qualche trattazione monografica a beneficio delle classi migliori.

Nel caso del libro di Lamberti ci sono però ben tre ragioni a favore: l'autore, l'editore, la qualità del lavoro.

L'Editore è Springer e, per chi abbia una formazione scientifica, già questa è una garanzia. C'è un marchio di livello mondiale che ci garantisce contro l'acquisto di una boiata. In più, trattandosi di autore italiano, non troverete l'handicap della pessima traduzione fatta da uno che non sa nulla di scienza e contribuisce, spesso, a rendere completamente incomprensibile il pensiero dell'autore. Ogni volta che penso alle traduzioni dei testi di diviulgazione scientifica mi viene in mente la biografia di Feynmann da Garzanti in cui Silicon era tradotto con Silicone anziché con silicio, il che ci rimandava ad una pin up anziché ai semiconduttori.

Di Corrado Lamberti ho recensito recentemente la biografia di Margherita Hack che è anche una autobiografia di Corrado diventato giornalista scientifico e divulgatore di astronomia, quasi per caso. In questo lavoro, introdotto proprio da Margherita Hack poco tempo prima della sua morte, Lamberti mette dentro quarant'anni della sua vita, quello che ha studiato, quello che ha fatto, quello che ha divulgato, ma non ce lo fa pesare; si sente che parla e scrive di cose che conosce bene. E' questa la ragione pe cui riesce a trovare la giusta via di mezzo tra la trattazione rigorosa che, su certi argomenti, può diventare incomprensibile ai più e la necessità di trasmettere la sostanza dell'argomento che affronta..

Intendiamoci, non si tratta di un lavoro da leggere quando cala la palpebra e si è sul letto. Ci vuole un desiderio genuino di apprendere cose dotate di fascino ma per le quali non si può condensare il tutto dietro parole magiche, magari prese a prestito da altri ambiti del sapere o della cultura umanistica, e andare per assonanza.

I passaggi più tecnici sono affrontati in box separati che possono essere letti in seconda battuta, ma comunque i numeri e i diagrammi sperimentali servono e aiutano a capire. L'astrofisica, anche se ha degli anticipatori tra sette e ottocento, è una scienza del novecento  e per come si è evoluta è un modello perfetto della dinamica della conoscenza scientifica, del modo raffinato di avvicinarsi alla verità:


L’astrofisico non può organizzare esperimenti, non può interrogare la Natura a suo piacimento, in condizioni predeterminate: deve invece accontentarsi di rilevare quello che la Natura decide di mostrare di sé. Mentre la fisica è una scienza sperimentale, l’astrofisica è una scienza osservativa.

Il metodo d’indagine dell’astrofisico dovrà dunque differenziarsi da quello del fisico e tipicamente consterà: 1) della formulazione di ipotesi relative al fenomeno in esame; 2) della traduzione di tali ipotesi in un modello matematico; 3) della previsione di conseguenze osservabili che scaturiscono da quel modello; 4) della verifica empirica di quelle conseguenze. La verifica passerà attraverso l’organizzazione di campagne osservative mirate, l’ideazione di specifiche metodologie d’indagine ed eventualmente la costruzione di strumenti d’osservazione ad hoc. Se le osservazioni testimonieranno che le conseguenze previste si verificano per davvero, allora il modello riceverà una conferma: vorrà dire che vale la pena di insistere sulle ipotesi di partenza, di approfondire la descrizione matematica del fenomeno. In caso contrario, il modello che avrà fallito la previsione verrà abbandonato per essere sostituito da un altro, che sarà sottoposto a un nuovo processo di verifica. E così via. È, sostanzialmente, il metodo delle congetture e delle falsificazioni illustrato nelle sue opere dall’epistemologo inglese Karl Popper (1902-1994).


Non si può apprendere decentemente l'astrofisica se non si segue un approccio storico; nella sua evoluzione sono cambiate l'idea di universo, gli strumenti di osservazione, le teorie fisiche, gli ambiti di osservazione, la precisione degli strumenti di misura. Lamberti lo fa, come si vede dall'indice e come riassume Margherita Hack nella introduzione che riportiamo più sotto.

Il lettore non si faccia spaventare da alcuni argomenti come la teoria della relatività generale, i modelli cosmologici di Friedmann, gli elementi essenziali del modello standard delle particelle e delle interazioni fondamentali, le fasi attraverso cui è passato il nostro universo e in particolare le tante dei primi momenti in cui, in intervalli brevissimi, sono accadute un sacco di cose. Magari vale la pena di leggere due volte, tornare indietro di trenta pagine e scoprire che una certa grandezza andava compresa più a fondo.

Lamberti quando deve illustrare una ipotesi ci fa i conti sopra e tutto quello che è rischiesto è di saper leggere una formula fatta di variabili in cui i dati sperimentali consentono di estrarre previsioni e di mettere alla prova i modelli. Chi cerca la verità assoluta, la risposta giusta, rimarra deluso perché in astrofisica necessariamente le niostre ipotesi sono fallibili, approssimate e destinate a migliorare. Così, appena ci pare di avere capito, Lamberti ci stupisce; c'è sempre qualcosa che non va; c'è sempre una obiezione fondata; c'è sempre qualcosa d'altro.

Niente paura: l'astrofisica è dinamica e dunque è naturale la provvisorietà di certe conclusioni corredate da numerosi punti interrogativi. Lamberti non fa sconti perché vuole portarci sino al 21° secolo, sino alle ricerche in corso, sino ai nuovi telescopi che stanno nello spazio e che ci hanno fatto cambiare di diversi ordini di grandezza le nostre capacità sperimentali. E allora leggiamo i paragrafi che chiudono il libro:


Materia oscura, energia oscura, inflazione sono quasi certamente misteri interconnessi. Il giorno in cui scopriremo la causa dell’espansione accelerata, con ogni probabilità comprenderemo anche il meccanismo dell’inflazione, inquadreremo sotto una luce nuova il problema dell’energia del vuoto e ci troveremo a fare i conti con nuove particelle (comprese le WIMP della materia oscura), nuovi schemi interpretativi, nuovi concetti. E magari, come pensano i fautori della teoria delle stringhe, anche nuove dimensioni spaziali.

Le sfide che attendono i cosmologi e i fisici teorici sono formidabili, ma non ci spaventano. Al contrario, ci esaltano. Le domande che ci pone la nostra insaziabile curiosità intellettuale sono parte di noi stessi, sono la manifestazione più schietta della nostra natura di esseri intelligenti. Solo fintantoché ci confrontiamo con i problemi ci sentiamo vivi per davvero, e la molla che ci spinge è l’intima gratificazione che ci dà la volontà di affrontarli più ancora che la smania di conoscere le risposte.

La strada che abbiamo imboccato con Herschel, con Einstein, con Hubble è impervia e tortuosa, impegnativa ed eccitante. È proprio ciò che fa per noi. È una sfida inebriante cercare di capire l’Universo.


Dedico questa recensione alle vittime innocenti della strage di Nizza, convinto come sono, che l'abitudine a fare domande, a pensare, a non accontentarsi, sia un antidoto importante contro la barbarie. Comperate questo libro (anche se è un po' caro) e leggetelo. E' un volume che dura nel tempo.

Indice dei capitoli

1. I precursori
2. Il problema della distanza
3. Gli anni del Grande Dibattito
4. La scoperta dell’Universo in espansione
5. Modelli cosmologici relativistici
6. Modelli d’Universo
7. Big Bang
8. L’Universo dei primordi e l’inflazione
9. Cosmologia di precisione

Corrado Lamberti

Capire l'Universo – l'appassionante avventura della cosmologia

Springer Verlag Italia – 2011 – Collana Le Stelle – 218 pagine – € 24,95


La prefazione di Margherita Hack

Con questo libro Corrado Lamberti accompagna il lettore passo passo attraverso il faticoso cammino che ha portato a conoscere l’evoluzione dell’Universo da quasi 14 miliardi di anni fa fino ad oggi.

Per secoli l’uomo è stato incuriosito e affascinato dalle stelle, quei misteriosi puntini luminosi che sembravano incollati sopra una grande cupola girevole che avvolgeva la Terra. Fra queste, che mantenevano invariate le loro posizioni relative – e che perciò erano chiamate stelle fisse –, si distinguevano cinque corpi splendenti che si muovevano fra le stelle in modo complesso e perciò chiamati dai greci pianeti, che significa “stelle erranti”, oltre naturalmente ai signori del giorno e della notte – il Sole e la Luna.

Fino al XVIII secolo gli astronomi hanno cercato di capire il perché di questi moti e hanno concentrato la loro attenzione su quello che rappresentava il loro Universo, il Sistema Solare. Già gli antichi avevano capito che la sfera delle stelle fisse aveva un raggio incommensurabilmente più grande di quello entro cui si muovevano i pianeti, il Sole e la Luna, e per molti secoli la sfera delle stelle fisse era rimasta un remoto scenario.

Galileo, grazie alle sue prime osservazioni col cannocchiale, aveva capito che la fascia della Via Lattea e le altre “stelle nebulose” altro non erano che “una congerie di innumerevoli stelle riunite insieme”, ma il suo principale interesse, in conseguenza della sua scoperta dei quattro maggiori satelliti di Giove – i “pianeti medicei” –, fu quello di vedervi una conferma del sistema copernicano. Inoltre, le sue misure di posizione della nova di Keplero, apparsa nel 1604, che dimostravano che essa era molto più lontana della Luna e apparteneva alla sfera delle stelle fisse, insieme con la scoperta che la Luna ha pianure e montagne come la Terra, smentivano i dogmi aristotelici secondo cui i corpi celesti erano perfetti e immutabili e addirittura fatti di materia diversa da quella terrestre.

L’interesse e le osservazioni del cielo al di fuori del Sistema Solare diventano centrali solo nel XVIII secolo, soprattutto per merito di William Herschel, coadiuvato dalla sorella Caroline e poi dal figlio John. Le ricerche di William si concentrano sulla Via Lattea: quanto è estesa, che forma ha, qual è la posizione del Sole in essa.

Per dare una risposta a queste domande manca un dato essenziale: la conoscenza delle distanze stellari. Il metodo delle parallassi si rivela inapplicabile, le distanze sono troppo grandi per potere ottenere qualche risultato con gli strumenti di allora, e infatti la prima parallasse, cioè la prima misura diretta di una distanza stellare, la si ottenne solo un secolo dopo, nel 1838, ad opera di Friedrich Wilhelm Bessel. La soluzione più semplice che si offriva ad Herschel consisteva nell’assumere che tutte le stelle avessero lo stesso splendore intrinseco e quindi che quanto più erano deboli, tanto più erano lontane. Con questa semplice grossolana ipotesi Herschel riuscì a stabilire la forma della Via Lattea, un disco molto schiacciato su cui si addensa la maggior parte delle stelle: in questo disco il Sole sembrava occupare una posizione centrale, perché eseguendo conteggi di stelle lungo un qualsiasi raggio del disco, il numero di stelle per grado quadrato pareva crescere nella stessa misura al diminuire dello splendore. Per secoli si era ritenuto che la Terra fosse al centro dell’Universo, per ragioni religiose o filosofiche, e ora di nuovo si trovava che il Sistema Solare era al centro della Via Lattea.

Allo stesso risultato giunse più di un secolo dopo Jacobus Cornelius Kapteyn, utilizzando misure molto più attendibili di distanza delle stelle. Una decina d’anni dopo, fu Harlow Shapley, studiando la distribuzione degli ammassi globulari, invece di quella delle singole stelle, a ribaltare questa visione, scoprendo che il Sole occupa una posizione periferica. Ma la stessa causa che aveva tratto in errore Herschel, e poi Kapteyn, fece sovrastimare a Shapley la distanza del Sole dal centro della Via Lattea: la causa era l’ignoranza dell’esistenza delle polveri interstellari, scoperte solo nel 1930 dallo svizzero Trumpler.

Nel decennio che va dal 1920 al 1930 vengono avviate le esplorazioni che porteranno alla nascita della cosmologia osservativa. Con quello che è stato il primo grande telescopio moderno – il 2,5 metri di Monte Wilson, in California – ci si comincia a chiedere se la Via Lattea abbraccia tutto l’Universo, e se le “nebulose bianche” sono anch’esse immensi continenti stellari come la Via Lattea, oppure nubi di gas e polveri facenti parte della nostra Galassia.

Già dall’inizio del XIX secolo si aveva a disposizione la tecnologia necessaria per rispondere a domande sulla natura fisica delle stelle e delle nebulose – la spettroscopia
–, ma solo il grande telescopio di Monte Wilson permetterà di ottenere spettri di oggetti così deboli come le nebulose. E gli spettri rivelano che ci sono due tipi di nebulose: quelle come la Via Lattea, formate da un enorme numero di stelle, e quelle che invece sono soltanto nubi di gas rarefatto.

Intanto, un’altra fondamentale scoperta, necessaria per stimare le distanze delle nebulose, è stata fatta da Henrietta Leavitt. Le stelle variabili di una data classe,quella delle Cefeidi, hanno l’importante proprietà che il loro splendore intrinseco è tanto maggiore quanto più lungo è il periodo di variabilità, cioè l’intervallo temporale che intercorre fra due massimi di splendore. Se in una nebulosa è presente una Cefeide, misurandone le variazioni luminose, e quindi il periodo, potremo risalire al suo splendore assoluto e, conoscendo dalle misure quello apparente, anche alla distanza.

Gli anglosassoni definiscono serendipity una scoperta del tutto inaspettata, quando si cerca una cosa e se ne trova un’altra. Le osservazioni degli spettri delle nebulose dovevano chiarire qual era la loro natura fisica, ma oltre a ciò si scopre che le “nebulose extragalattiche”, chiamate anche “universi-isole” e infine “galassie”, hanno spettri indicanti forti spostamenti verso il rosso di tutte le righe spettrali, che interpretate come effetto Doppler indicano che stanno tutte allontanandosi da noi a velocità di migliaia o anche decine di migliaia di km/s. Ma non soltanto: le velocità di allontanamento crescono proporzionalmente alla loro distanza: V = H · d è la famosa legge di Hubble, dove V è la velocità di allontanamento, d la distanza e H la costante di Hubble.

Queste osservazioni indicano che lo spazio in cui sono immerse le galassie si sta espandendo a una velocità tanto maggiore quanto maggiore è H. La conseguenza più immediata di queste osservazioni è che ci fu un tempo, tanto più remoto quanto più piccola è H, in cui tutto l’Universo osservabile, che si estende per miliardi di anni luce, doveva essere compresso in un punto a temperature e densità praticamente infinite. Questo istante, generalmente detto l’istante di inizio dell’Universo, è soltanto l’inizio dell’Universo osservabile. Così pure si parla comunemente del Big Bang e della fuga delle galassie, inducendo l’idea che si sia verificata una grande esplosione che avrebbe scaraventato le galassie in tutte le direzioni. È una rappresentazione sbagliata: non sono le galassie che fuggono, ma è lo spazio che si espande e ciò spiega perché ci sembra che le galassie si allontanino a velocità proporzionali alla loro distanza. Se a una certa epoca t1 la galassia A si trova a distanza d e la galassia B alla distanza d' e al tempo t2 la scala dell’Universo si è raddoppiata, tutte le distanze saranno raddoppiate, anche quelle delle due galassie; perciò sembrerà che la galassia A abbia velocità d/(t2–t1) e la galassia B velocità d'/(t2–t1), proporzionali alla distanza. Lo spostamento verso il rosso, comunemente interpretato come un effetto Doppler, indica in realtà che
anche la lunghezza d’onda della radiazione, come tutte le lunghezze, viene stirata dall’espansione dello spazio.

Le prime misure della costante di Hubble davano per H un valore superiore a 500 km/s ogni 3,26 milioni di anni luce, da cui seguiva che l’età dell’Universo era di 2 miliardi di anni, un risultato assurdo perché in tal caso la Terra sarebbe molto più vecchia dell’Universo! Quel valore di H si basava su misure sbagliate delle distanze, dovute a errori nell’assunzione dello splendore assoluto delle Cefeidi. Successive correzioni nella misura delle distanze hanno portato il valore di H a 200, poi a 100, infine al valore oggi accettato di circa 70, cosicché il tempo trascorso dal Big Bang è compreso fra 13,6 e 13,7 miliardi di anni, con un’incertezza di solo 100 milioni di anni. Soltanto una trentina di anni fa si stimava che l’età dell’Universo fosse compresa fra 10 e 20 miliardi di anni.

Dall’osservazione dell’espansione dell’Universo prendono le mosse le cosmologie moderne, con due modelli contrapposti: quello dell’Universo evolutivo, originato dal Big Bang, e quello dell’Universo stazionario, in cui la densità resta costante malgrado l’espansione perché si ipotizza che l’energia di espansione si trasformi in creazione di materia, conseguenza dell’equivalenza fra massa ed energia. Nel primo caso, l’Universo ha avuto un inizio ad altissime temperature, di cui si dovrebbero oggi osservare le conseguenze, mentre nel secondo caso non c’è mai stata una fase calda. La scoperta della radiazione fossile ad opera di Penzias e Wilson, nel 1965, e poi le successive sempre più dettagliate osservazioni dallo spazio col satellite COBE, il pallone stratosferico BOOMERanG, i satelliti WMAP e per ultimo Planck, ci hanno fornito l’immagine dell’Universo bambino, all’epoca cosmica di circa 400mila anni dopo il Big Bang, e con essa la prova definitiva a favore del modello evolutivo.

Oggi siamo in grado di ricostruire quello che è avvenuto nei primi 400mila anni, quando la materia era sotto forma di plasma, con i fotoni in moto zigzagante da una particella carica all’altra, senza potersi propagare per arrivare fino a noi a mostrarci l’immagine dell’Universo primordiale. Ma dalla temperatura e densità medie dell’Universo odierno possiamo ricostruire le condizioni dell’Universo primordiale, con la formazione di protoni e neutroni in cui sono imprigionati i quark, le reazioni nucleari che sintetizzano l’idrogeno pesante, due isotopi dell’elio e una piccola frazione di litio; possiamo avere una conferma della giustezza dei nostri calcoli confrontando le abbondanze cosmiche osservate con quelle calcolate per questi elementi e infine, dalle strutture osservate dell’Universo bambino, possiamo risalire alla composizione dell’Universo: solo un misero 4-5% per la materia normale, quella di cui siamo fatti noi e tutto ciò che ci circonda, un 24-25% di materia oscura, che non sappiamo cosa sia, che non emette alcun tipo di radiazione, ma fa sentire la sua presenza nell’Universo con la forza gravitazionale che esercita, e un 70-72% dell’ancor più misteriosa energia oscura, che sarebbe responsabile dell’accelerazione dell’espansione.

Un Universo che, entro l’ordine degli errori di osservazione, dovrebbe essere un Universo euclideo, piano, in cui la somma degli angoli di un triangolo è uguale a 180°, e non curvo e chiuso, come l’analogo tridimensionale della superficie di una sfera, su cui la somma degli angoli interni di un triangolo supera 180°, e nemmeno curvo e aperto come l’analogo della superficie di un iperboloide, su cui la somma degli angoli di un triangolo è minore di 180°. Questo libro racconta la storia completa dei passi compiuti verso una sempre più completa comprensione dell’Universo, degli errori fatti, delle trappole contenute in quello che Galileo chiamava il grande libro della Natura, come l’illusione dei nostri
sensi che sia la volta celeste a ruotare attorno a noi, o il Sole a ruotare attorno alla Terra, come l’invisibile presenza delle polveri interstellari, che ci faceva credere di essere al centro della Galassia; è anche una storia degli astronomi che hanno contribuito a questa grande impresa, della loro umanità.

Gli argomenti sono espressi con grande chiarezza e semplicità, anche in quelle parti più difficili e più lontane dal nostro senso comune che caratterizzano le ricerche cosmologiche odierne, nonché in quelle riguardanti i grandi interrogativi che sono la materia oscura e l’energia oscura. È un libro che gli studenti dei licei dovrebbero leggere, non solo per acquisire la conoscenza delle idee più recenti sull’Universo, ma anche per toccare con mano come la fisica, scienza sperimentale, possa e debba essere impiegata per spiegare le osservazioni astronomiche.

Margherita Hack – febbraio 2011