Recensione su un breve saggio sul lavoro di Stefano Massini

Stefano Massini è consulente artistico del Piccolo Teatro di Milano, autore drammaturgo ha scritto Lehman Trilogy e Lavoro.

E’ di questo libro che voglio brevemente parlare. Come si può immaginare Massini non affronta il tema del lavoro da sociologo o economista. Lo affronta appunto da drammaturgo esplorando, come dice lui stesso, la parola “lavoro”, i suoi significati immediati e traslati dalle trasformazioni dovute alla globalizzazione.

La parola "lavoro" incorpora un senso di attività e un senso di risultato della attività. Il lavoro è anche il prodotto dell’attività lavorativa. L’etimologia di lavoro apre nessi con fatica (il latino labor) e travaglio (in piemontese dal francese travail); proseguendo su questi nessi si raggiunge il tema del parto e delle attribuzioni negative spesso associate alla parola lavoro (lavorare come un mulo, come una bestia). In questa prima parte del suo scritto Massini sviluppa proprio la sua capacità ed esperienza a lavorare sulle parole come nel teatro.

Ma l’autore non si limita a una indagine semantica e in parte anche semiotica, alla ricerca non solo di denotazioni ma anche di connotazioni. Infatti esplora il progressivo distacco del lavoro dal suo fine: procurare i mezzi di sussistenza per una vita dignitosa. E illustra con brevi cenni storici i modi con cui il lavoro è stato compensato e su come, attorno ai diritti dei lavoratori, si siano articolate le lotte di progresso sociale del novecento.

La parte più drammatica della analisi di Massini riguarda la riflessione sull’oggi e sul futuro. Su come il lavoro sia ancora desiderato e odiato. Le delocalizzazioni industriali hanno creato un esercito di occupati sottopagati e sfruttati al limite della schiavitù nei paesi in via di sviluppo e hanno svuotato il senso del lavoro nell’occidente sviluppato. Da una parte una robotizzazione che conquista attività che si immaginavano specifiche per gli essere umani e dall’altra la riduzione di esseri umani a robot nei paesi in cui le conquiste sociali non sono giunte per tempo.

Sembra oggi che il lavoro più ambito tra giovani sufficientemente preparati sia il free-lance, che Massini compara semanticamente e oggettivamente al soldato di ventura, lancia libera di mettersi al servizio, ma sola e isolata, priva delle relazioni sociali del lavoro antico, vincolata a smartphone laptop per condurre le relazioni essenziali allo svolgimento dei compiti.

“Percepita come sinonimo ora di “sforzo inutile”, ora di “Ingiustizia sociale”, ora di “mal digerita sottomissione”, ora di “confronto impari con la tecnica”, la parola “lavoro” porta si di sé tutti i graffi di un’epoca confusa”.

Massini ci ricorda il crollo del Rana Plaza di Savar, in Bangladesh, quando il 23 aprile 2013 crollarono gli otto piani di una fabbrica tessile in un palazzo che era stato fatto sgomberare per la comparsa di gravi crepe. Agli operai che chiedevano di sospendere il lavoro e mettersi al sicuro fu risposto con la minaccia del licenziamento o della trattenuta di un mese di paga. L’edificio crollò provocando 1.129 morti e più di 2.500 feriti.

Se oggi consultiamo le informazioni relative a questo incidente scopriamo che l’azione che viene più ricordata è la proposta di verificare la responsabilità sociale delle aziende. Non mi risulta che le forze sindacali dei paesi occidentali abbiano fatto molto di più.


Stefano Massini

Lavoro

Il Mulino, 2016, 131 pag, 12 €