appunti

Sto leggendo La scuola cattolica di Edoardo Albinati e trattandosi di un libro autobiografico ci ritrovi dentro tutta la ricchezza di una storia e la stupidità di un certo modo di fare scuola.

Fratel Gildo insegna filosofia ed è il modello di un tipo di docente che ho avuto modo di incontrare avendolo come collega. E' convinto di essere il depositario della verità e che i suoi studenti possano solo apprendere attaraverso la ripetizione ossessiva e semplificata della verità.

Così quando viene il turno di Aristotele:

le parentesi graffe sulla lavagna si infiittirono e la sua voce divenne sempre più nasale. Essendo incapace di parlare a braccio doveva continuamente consultare i suoi appunti scritti in una grafia così minuta che lui stesso faceva fatica a decifrare, sistemandosi gli occhialetti cerchiati di metallo che gli calavano sul naso a becco. Finché rinunciò del tutto all'idea di spiegarsi e si limitava a leggere ora dal libro di testo ora dai suoi foglietti. Oppure copiava sulla lavagna i suoi diagrammi, che noi a nostra volta dovevamo ricopiare sul quaderno.

E' il prototipo del docente insicuro che costruisce una corazza attraverso la trasmissione dogmatica. Ne ricordo uno estremamente formale ed estremamente ossequioso nei confronti del potere che ho avuto come collega nei primi anni di insegnamento. Una volta fu chiamato al telefono da un ispettore, proprio lì di fronte alla sala professori ed assistemmo ad una sceneggiata degna del miglior Peppino De Filippo. Stava un po' curvo in avanti e ogni volta che l'ispettore finiva di parlare batteva i tacchi, si inchinava ancora di più e diceva: certamente signor ispettore, sarà fatto come lei desidera, ossequi signor ispettore, a lei e alla sua signora.

Schematizzare ciò che è già schematico era

quell 'amena attività che a scuola veniva chiamato "dettare gli appunti ": un puro controsenso. Gli appunti che vengono dettati non sono per definizione appunti. Sono dettatura, viene meno il senso di tale nobilissima arte, che è la prima forma di comprensione e inquadratura di un materiale più vasto.

Quella degli appunti è una abitudine che trovo particolarmente deleteria. Dovremmo insegnare agli studenti che la cultura è fatta di riflessione personale e che le conoscenze trovano riscontro nei libri, a maggior ragione nei testi originali e che tra l'argomentare di un filosofo e la sintesi che ne fa il testo di storia della filosofia c'è lo stesso legame che intercorre tra il bere un bicchiere di buon vino e il farselo raccontare da qualcuno.

Alla dettatura fanno ricorso gli insegnanti ignorami a inizio carriera, e quelli spompati alla fine. Inseriscono il pilota automatico e via fino allo squillo della campanella. Il risultato dell 'ulteriore distillazione era un'algebra incomprensibile. Sembrava che fratel Gildo dettando impersonalmente quelle formule liberasse se stesso, e di conseguenza noi, dal dovere di capirle. Per questo alcuni studenti gradiscono il metodo, che almeno è chiaro e non richiede particolari sforzi, raggiungendo un ragionevole tacito accordo con l'insegnante: lui non si deve sgolare e in classe regna la calma sovrana perché rutti stanno zitti a scrivere.

Ogni tanto, durante le lezioni di fisica mi capitava di essere interrotto da richieste del tipo: professore può ripetere perché stavo prendendo appunti e sono rimast/a indietro. Non c'era verso di ripetere che avevano sotto mano un testo direttamente scritto da me e che conteneva a livello dei dettagli molto più di quanto stavo dicendo; che la cosa importante, per gli appunti, era mettere una parola ogni tanto giusto per sapere di cosa avevamo discusso e poi lavorarci sopra, farsi degli schemi, soprattutto riflettere e organizzare la conoscenza.

Albinati ricorda un compagno di classe Zipoli, perfettamente integrato nel meccanismo degli appunti. Zipoli aveva aveva un solo quaderno per tutte le materie; scriveva a matita in maniera ordinata con una scrittura piccola e regolare e, alla fine dell'anno prendeva la gomma e cancellava tutto. Il quaderno era pronto per l'anno successivo, 

Zipoli era abituato a non lasciare segni del suo passaggio. Se ne produceva, poi li cancellava.

Grandioso.