Scenari 2 – l’Europa

La crisi globale ha colpito l’Europa con particolare durezza. All’inizio era la crisi finanziaria generata in USA dai mutui sub-prime.

Poi è diventata crisi della sostenibilità del debito dei paesi più fragili (Spagna, Portogallo, Italia, Grecia), poi ancora crisi occupazionale e crisi degli investimenti in sviluppo.

La politica europea si è appiattita sul modello tedesco, volto al mantenimento dei conti finanziari creando le condizioni per il disastro definitivo della Grecia e dell’enorme difficoltà di accrescere gli investimenti produttivi anche dei paesi meno fragili. A questo quadro si è aggiunta la crisi migratoria accelerata dalla guerra in Siria, ma già da tempo presente anche se tenuta sottotraccia per ragioni di opportunità politica (opportunismo).

I due processi stanno producendo l’elemento mancante: la crisi dell’idea di Europa. Finanza, lavoro e cultura stanno convergendo per spaccare l’unità Europea.

Si possono aggiungere altre considerazioni, come la mancata approvazione della Costituzione europea, il rifiuto di proseguire sul processo di unità economica attorno all’euro. Ma si tratta di manifestazioni della totale miopia delle classi dirigenti europee (salverei al momento il solo Draghi, ma mi pare inutile fare graduatorie).

L’idea di Europa ci ha permesso di vivere settanta anni di pace, di allevare ormai due generazioni che della guerra hanno solo sentito parlare, l'hanno vista nei film o ne hanno letto in saggi e romanzi. Quest’occasione unica al mondo ha prodotto almeno due generazioni la cui mente non concepisce la guerra come una possibilità o opportunità, non hanno con la guerra la famigliarità dei nostri antenati.

Con forte ottimismo potrei dire che stiamo assistendo a una mutazione epocale di mentalità. Del resto i programmi di scambio tra studenti universitari (Erasmus) hanno connotato definitivamente una generazione sovranazionale di cittadini che si sentono europei a tutti gli effetti giuridici e soggettivi.

L’idea di Europa sta però appannandosi sia per le politiche di chiusura anti migratoria, sia per le politiche populiste di alcuni governi.

Una considerazione a parte riguarda il referendum britannico sull’uscita dall’Unione Europea. Da un lato si può considerare come una iattura, come la fine dell’idea di Europa, ma dall’altro (naturalmente non è ancora detto se il referendum avrà successo) si potrebbe considerarla come un’opportunità per ripensare l’intero sistema di relazioni internazionali europee. La peggiore reazione che si dovrebbe assolutamete evitare nel caso negativo di decisione di uscita è avviare una guerra commerciale e ideale di isolamento.

Quel che ripugna a molti Europei è il timore di dover rinunciare a proprie tradizioni e soprattutto all’idea di nazione. Qui devo ricordare che proprio nel Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli l’idea di Nazione veniva pesantemente criticata come causa dei disastri delle guerre mondiali. Abbiamo dimenticato questo concetto. Sarebbe quindi il caso di ripensare l’idea di nazione e individuare forme di collaborazione europea che ne tutelino solo gli aspetti positivi.

I successi dell’unità europea sono innegabili, ma altrettanto innegabile è la sua progressiva trasformazione in apparato burocratico. Tuttavia non penso sia possibile tornare indietro pena la totale irrilevanza, a mggior ragione con il futuro emergere della singolarità, come spiegherò meglio più oltre.

Già oggi alcune delle funzioni essenziali di uno stato sono state delegate e su di esse i singoli stati europei non hanno più sovranità. Si tratta della sovranità di battere moneta e della sovranità sulla protezione delle frontiere.

Quest’ultima, che era stata messa sotto tutela dal trattato di Schengen, è messa rischio dalla costruzione delle barriere anti migranti. Ma la sovranità sui confini non potrà mai tornare quella di prima per una semplice ragione: l'avvenuta mutazione genetica sull'inconcepibilità della guerra e l'esistenza della generazione Erasmus che i confini neppure conosce. 

C’è un fronte in cui l’Europa come sistema di governi e stati non ha ancora iniziato ad agire perché non ha la piena consapevolezza del problema. Si tratta dei rischi legati al pieno dominio dell’economia finanziaria che si potrà estendere sulle libere scelte democratiche riguardanti ogni aspetto della politica incluso l’intero sistema europeo del welfare, di cui abbiamo visto i primi effetti in Grecia. 

Si tratta dei rischi indotti sulla composizione sociale e sul lavoro dall’attuarsi della singolarità. Questi  problemi non possono in alcun modo essere affrontati a livello di singoli paesi perché le disponibilità finanziarie delle grandi imprese delle tecnologie dell’informazione hanno la dimensione del PIL dei maggiore stati europei. Inoltre gli stessi principi, poco discussi e conosciuti, del trattato transatlantico USA-Europa immaginano di parificare imprese a Stati nel caso di contenziosi economici.

Il quadro europeo così critico resta comunque, al momento, l’unico nel quale poter collocare ipotesi di azione per far fronte ai futuri scenari.

Due parole su Europa e immigrazione dall’Africa: Renzi ha avanzato la proposta di un migration compact (orrenda espressione per indicare un piano di azione articolato). Una ottima iniziativa che con qualche mugugno pare essere stata accettata dalla Commissione Europea. Resta da capire come attuare il principio fondante che consiste nel fornire non aiuti ma investimenti. 

Viene alla mente il piano Marshall del secondo dopo guerra. Una cosa che molti non sanno o dimenticano del piano Marshall è che non consisteva soltanto di casse di alimenti, la parte maggiore erano investimenti finanziari co-finanziati dai paesi riceventi a fronte di progetti specifici. Se questo avverrà per il migration compact proposto da Renzi allora veramente potrebbe esserci una svolta che permetterebbe di affrontare gli sconvolgimenti futuri con maggiore stabilità al contorno.

Daniele Marini


(2 – continua) – Il precedente articolo è Scenari 1 – il mondo