Riforma della Costituzione 6 – Parlamento, Governo, maggioranza, contrappesi
Ci vuole un bel coraggio a sostenere che la riforma Boschi, per quanto riguarda il carattere parlamentare del nostro sistema cambi le cose in peggio; forse, come vedremo, sarebbe meglio dire che non è stata sufficientemente radicale, ma non si può dire che si muova nella logica dell'uomo solo al comando. Vediamo perché.
Intanto non cambia il principio che il governo (e con lui il Presidente del Consiglio) riceve una doppia investitura dal Presidente della Repubblica (che assegna l'incarico) e dal Parlamento (la sola Camera) che vota la fiducia.
Si è fatto un gran clamore (a destra e a sinistra) sul fatto che Renzi non è stato eletto dal popolo. Lo prevede la Costituzione e le cose non cambiano. Il Presidente del Consiglio non è obbligatoriamente un parlamentare e non ha un mandato popolare diretto. Non ha il potere di licenziare i ministri e di sciogliere le Camere come si prevedeva nel progetto del centro destra del 2006.
Poiché gli argomenti che riguardano i rapporti tra Parlamento e governo e quelli tra maggioranza e opposizione sono molti utilizzerò un criterio di sistematicità scorrendo il testo nei suoi diversi titoli e articoli e ciando le novità in ordine al tema di questo articolo.
le opposizioni
Il nuovo articolo 64 aggiunge "I regolamenti delle Camere garantiscono i diritti delle minoranze parlamentari. Il regolamento della Camera dei deputati disciplina lo statuto delle opposizioni". La Costituzione fissa un prìncipio importante da tradurre in regolamenti: la minoranza in quanto tale è portatrice di diritti inalienabili che si dovranno tradurre in uno statuto. Si tratta delle commissioni di controllo, delle presidenze delle medesime, della obbligatorietà di determinate procedure.
L'articolo 73 fornisce alle opposizioni (con quorum molto bassi, un quarto dei deputati o un terzo dei senatori) uno strumento di controllo preventivo in materia elettorale e una norma transitoria lo estende anche all'Italicum (già in vigore): "possono essere sottoposte, prima della loro promulgazione, al giudizio preventivo di legittimità costituzionale da parte della Corte costituzionale su ricorso …" La Corte costituzionale si pronuncia entro trenta giorni.
decretazione d'urgenza e provvedimenti di iniziativa del governo
L'articolo 72 al comma 5 precisa che la procedura normale va prevista per la conversione in legge dei decreti. Ciò determina un freno alla emanazione di decreti leggi perché la conversione non potrà più avvenire in commissione (come avviene ora).
Un altro comma dell'articolo 72 prevede che "un disegno di legge indicato come essenziale per l’attuazione del programma di governo sia iscritto con priorità all’ordine del giorno e sottoposto alla pronuncia in via definitiva della Camera dei deputati entro" un termine variabile tra 70 e 85 giorni. Si tratta dell'unico rafforzamento dei poteri del governo rispetto al procedimento legislativo scritto per remare contro la prassi ultradecennale del ricorso sfrenato ai decreti legge. Il governo non avrà la scusa per dichiarare urgente ciò che tale non è perché dispone di una corsia preferenziale per quelle leggi di competenza della sola camera e che facciano parte del progamma. Tra le altre cose, in sede di conversione, tale potere si è ulteriormente attenuato perché permane il diritto della Camera di apportare modifiche conservando la corsia preferenziale.
L'articolo 77 allunga il termine per la conversione dei decreti da 60 a 90 giorni raccogliendo una esigenza emersa più volte in questi anni e inoltre recepisce norme già applicate raccogliendo sentenze dell'Alta Corte, che ora entrano in Costituzione: reiterare decreti, aggirare pronunciamenti della Corte, emanare decreti a contenuto eterogeneo, approvare norme estranee al decreto nel corso della conversione
i contrappesi
Premetto che il principale contrappeso, valido non solo per l'Italia, è costituito dal mondo in cui l'Italia si colloca e, in primo luogo dall'Europa, con le sue regole e i suoi vincoli, che agiscono ignorando la maggioranza di governo temporaneamente all'opera. Ne ho già accennato negli articoli precedenti, ma poiché si tratta di un argomento falsamente sollevato dai sostenitori del no che paventano il rischio di una maggioranza pigliatutto, ma poi non argomentano, ci torno sopra volentieri. I punti critici sono quelli in cui sono richieste maggioranze superiori a quella assoluta: elezione del Presidente della Repubblica, membri laici del CSM, giudici costituzionali, leggi costituzionali (per queste non cambia nulla rispetto all'iter e alle maggioranze necessarie e dunque non ne tratterò).
Il Presidente della Repubblica non sarà più eleggibile dalla maggioranza assoluta degli elettori, come pò avvenire oggi dopo che siano rimaste esenza esito le prime votazioni:
nuovo art. 83: L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi della assemblea. Dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dell’assemblea. Dal settimo scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei votanti.
Serve dunque, per l'elezione del Presidente della Repubblica una maggioranza del 60%. La distinzione tra membri e votanti non è particolarmente rilevante perché a questa elezione partecipano praticamente tutti gli aventi diritto. Non regge, alla prova della vicenda Prodi-101 e ai risultati delle ultime elezioni, l'obiezione che la maggioranza, in virtù dell'Italicum dispone di uno zoccolo del 54% della Camera cui basterebbe un piccolo contributo di Senatori. Attenzione, come ho già sottolineato in Riforma della Costituzione 5 – risposte al NO il combinato disposto di legge elettorale della Camera e costiutuzione (con le disposizioni sulla elezione del Senato) fa sì che, anche nella situazioni più ottimistiche, la maggioranza non riesca ad andare molto al di là del 50% quando si riuniscono le due camere e dunque non è vero che l'uomo solo al comando riesca ad imporre qualsiasi cosa: le maggioranze al Senato sono tuttaltro che certe e non omogenee a quelle della Camera, scattano infatti punti di vista legati all'essere camera delle autonomie.
La Corte costituzionale aveva una composizione di quindici membri 5 nominati dal Presidente, 5 dalle magistrature e 5 dal Parlamento in seduta comune. I giudici durano in carica per 9 anni e dunque la Corte ha una composizione che evolve su tempi lunghi e in maniera parziale (il nuovo giudice viene nominato quando il vecchio decade e come per il Senato non esiste mai l'anno zero).
La nuova composizione è stabilita dall'articolo 135 che ripartisce i membri da eleggere in 3 alla Camera e 2 al Senato. La modalità di elezione è prevista da una legge costituzionale e, in questo caso, la maggioranza richiesta è ancora qualificata e per di più opera distintamente nelle due camere: I giudici della Corte costituzionale che nomina il Parlamento sono eletti da ciascuna Camera, a scrutinio segreto e con la maggioranza dei due terzi dei propri componenti. Per gli scrutini successivi al terzo è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei componenti
di ciascuna Camera. Per eleggere i giudici costituzionali le forze politiche sono obbligate a trovare un accordo. Dunque semmai si attenua il primato della maggioranza ed è nuovamente falso che l'uomo solo al comando controllerà con un colpo di bacchetta magica parlamento, presidenza della repubblica e corte costituzionale.
A proposito di quest'ultima spero che la lettura della trilogia di Franco De Anna (in particolare il secondo e il terzo contributo) abbia consentito di sfatare il mito di controllabilità di certi organi e a riportarli dentro il complesso mondo della storia. Mi fa senso sentire, da parte di esponenti del variegato mondo del no, presentare il funzionamento di certi organi costituzionali come paradisi delle anime belle che si trasformerebbero ora in tribunali speciali dei comunisti come ama raccontare, ogni tanto, Silvio Berlusconi: da tribunali dei comunisti, a tribunali dei renziani.
Basta studiare la storia italiana del dopoguerra per vedere quanto le nostre magistrature abbiano operato secondo logiche proprie solitamente non allineate con le maggioranze politiche del momento e come i mutamenti di orientamento delle magistrature abbiano avuto dei trend propri, certamente condizionati da orientamenti politico ideologici ma non necessariamente uniformi al temporaneo orientamento di questo o di quel governo.
Per quanto riguarda il Consiglio superiore della magistratura, organo di rilevanza costituzionale, la riforma non prevede cambiamenti a quanto previsto dall'articolo 104 e dalla legge costituzionale di riordino del 2002. Ci sono tre membri di diritto (il Presidente della Repubblica che presiede anche l’organo, il Presidente della Corte di Cassazione il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione), 24 membri elettivi, 16 eletti dai magistrati (ripartiti in numero di 2, 4 e 10 tra i diversi gradi delle magistrature ed eletti con il sistema maggioritario) e 8 eletti dal parlamento in seduta comune con votazione a scrutinio segreto e con la maggioranza dei tre quinti dei componenti l’assemblea per i primi due scrutini e, dal terzo scrutinio, con la maggioranza dei tre quinti dei votanti.
Alla luce delle ultime vicende che hanno visto innumerevoli sedute delle due camere per venirne a capo, al punto di sfiorare il ridicolo, mi pare che il problema vero sia quello di costruire nel nostro paese una cultura del funzionamento super partes di determinate istituzioni, problema che non è certamente peggiorato dalla riforma Boschi.
(6 – continua) Siamo arrivati alla penultima puntata e, nell'ultimo articolo affronterò il tema della sussidiarietà, della organizzaziuone dello stato e della ripartizione sei poteri tra stato centrale e istituto regionale, la cosiddetta riforma del titolo V.
I precedenti articoli li trovate qui:
- Riforma della Costituzione 1: le modifiche –
- Riforma della Costituzione 2: il nuovo Senato –
- Riforma della Costituzione 3 – valutazione –
- Riforma della Costituzione 4 – Asimmetrie tra (Sì) e (No) –
- Riforma della Costituzione 5 – risposte al NO