Antartide – Tito Barbini

Perdersi e ritrovarsi alla fine del mondo.

Mentre con lo scanner acquisivo l'immagine di copertina, visto che in rete si trovavano solo dei formati francobollo, mi è venuto da osservare che i libri di Barbini sono pensati per stare nello zaino o in tasca. Il formato è 12×17: quello di chi viaggia e non vuole troppo ingombro.

Antartide è del 2008 e viene dopo Le nuvole non chiedono permesso che, qua e là lo anticipava. Fa parte della operazione disintossicazione e non c'è nulla di meglio per disintossicarsi dalla società occidentale che immergersi nelle solitudini e negli spazi di ciò che sta a sud dell'America del Sud, Gondwana o ciò che resta di quel continente che 64 milioni di anni fa migrò verso sud andando a posizionarsi dove l'uomo  non avrebbe potuto arrivare.

Barbini ci racconta del fascino delle terre inesplorate iniziato quando i genitori, che battevano i mercati vendendo giocattoli per bambini, gli regalarono un mappamondo di quelli con la luce all'interno, il fascino dello scorrere con il dito i confini, le catene montuose, gli oceani.

Oggi possiamo farlo facilmente con Google Maps: la Patagonia, Punta Arenas in Cile e Ushuaia in Argentina (con il confine tirato con il righello), lo stretto di Magellano, capo Horn e lì a destra le Falkland Malvinas che, ai tempi dello scontro tra Inghilterra ed Argentinas, tutti ci chiedemmo cosa fossero.

Poi se andate più giù trovate i due oceani uniti, mare e mare, oceano tempestoso, sino a una penisola che si protende verso l'America Latina; è l'inizio dell'Antartide, il pezzo di Terra che per ora sta fuori dalle rotte del turismo, che è di proprietà dell'umanità e non di singoli stati e che contiene, oltre ai pinguini, alle balene, alle orche, la gran parte delle riserve mondiali di acqua dolce. Sperando che non ci mettano mano i cinesi.

Tito va nel mondo e viaggia dentro di sè anche se, materialmente, è a bordo del Professor Mulchanov, un rompighiaccio già appartenuto alla marina sovietica. A differenza di altri libri di viaggio qui ci sono tante foto perché certe immagini aiutano a ricordare: almeno in viaggio mi porto un bagaglio leggero di preoccupazioni e inquietudini. Anzi, è proprio in viaggio che sto bene, sicuro che si può essere uomini in perenne ricerca – una ricerca priva perfino di un suo oggetto e quindi di una destinazione finale – senza per questo abdicare alla possibilità della gioia.

Sul rompighiaccio i diversi passeggeri lasciano in dono a chi verrà dopo di loro un libro. Tito lascia la sua copia di Moby Dick e sfogliando i diversi volumi viene a conoscenza della storia di Padre De Agostini un salesiano, fratello minore del fondatore della De Agostini delle carte geografiche. Padre De Agostini, detto don Patagonia, è stato un esploratore, geografo e difensore delle tribù dei nativi della terra del fuoco sterminati dai fazenderos. Il CAI gli dedica una monografia e lo ricorda così.

Incontriamo le balenottere azzurre e i pinguini imperatore che stanno in Antartide anche in inverno: restano i maschi a covare l'uovo lasciato dalla femmina che, dopo averlo deposto, va a nord alla ricerca del cibo, mentre i maschi si dispongono in una spirale circolare dandosi il cambio con chi rimane temporaneamente all'esterno: per l'intero inverno i pinguini vanno avanti in questo modo, sostenendosi tutti insieme: una colonia, ma io preferisco dire una comunità, che si salva solo perché resta unita  e si distribuisce democraticamente il disagio.

Un tempo … sia il passato che il futuro, il mio passato e il mio futuro, erano qualcosa di molto spazioso, ma in fondo appena sufficiente per contenere quello che troppo spesso ho chiamato passione e scambiato per passione, pur essendo solo egoismo. E Tito ripensa alla politica e all'amore.

Della politica restano in piedi alcune amicizie autenticheper il resto poco o niente, se non il senso di una bella utopia svanita e senz'altro anche tradita … No, non rimpiango davvero niente di tutti questi anni imbevuti di politica, anche se poi, gratta gratta, i rimpianti non vanno certo per una ideologia che non c'è più, inseguono piuttosto la generosità e l'innocenza, la passione e l'intensità: doni un tempo elargiti in abbondanza… quanto deve cambiare, la politica, per trovare un modo nuovo di stare nell'esperienza umana.  E l'Antartide induce a ragionare sui destini del pianeta, la frontiera per una nuova politica.

La riflessione sull'amore, la ritrovo per la prima volta nei suoi taccuini di viaggio. E' sempre un tema difficile da affrontare: in realtà forse non ho mai imparato ad amare e, ogni volta che ho incontrato qualcosa che aveva la pretesa di essere assoluta e definitiva prima o poi riuscivo a smontarla. Per cedere alla tentazione di riaprire la vita, di fare piazza pulita per ricostruire altro … La passione mai appagata e mai spenta, di volta in volta sognata e mai vissuta veramente. E l'Antartide aiuta a capire e a capirsi.

Barbini ha fatto per un po' di anni l'assessore al territorio e all'urbanistica di Regione Toscana e la visione della immutabilità su scale temporali umane del paesaggio dell'Antartide lo porta ad una riflessione su quello toscano fatto di natura più storia e dunque caratterizzato da artificialità.

E' proprio così e mi viene da mandare un messaggio all'ex assessore. I vincoli e le tutele in un contesto in cui sono cambiate l'economia agricola e il modo di produrre, non bastano a fermare il degrado, a meno di disporre di ingenti risorse pubbliche che oggi non esistono. Dove vivo il bosco avanza e si riappropria del territorio ma non è vero che il bosco lasciato a sè migliori l'ambiente. L'antico ruolo della castagna è finito; esistono ancora i castagneti, sempre più ammalorati (non solo per colpa del Cinipide) e in mezzo ad essi i seccatoi che possono essere ristrutturati solo se rimangono tali. Così la maggioranza di quelli ancora esistenti è infestata dai rovi e quando crolla il tetto il gioco finisce, la minoranza è stata ristrutturata e trasformata in casina d'appoggio per un picnic, ma l'alternativa tra degrado e illecito non mi sembra il massimo.

Uno degli ultimi capitoli è intitolato Il senso del tempo e prende spunto dal fatto che in Antartide l'orologio rimane sempre in cabina. Dal 2007/2008 la situazione è peggiorata. E' vero, più nessuno mette al polso l'orologio, ma quanti non sono schiavi del tempo gestito dallo smartphone e da Whatsapp l'ultimo infernale strumento di eliminazione della propria individualità con la finta scusa di condividere? Ricorda la vita degli zii mezzadri in val di Chiana: non era l'orologio che scandiva la giornata ma al contrario era il lavoro che scandiva il tempo.

A seguire: la storia di un personaggio conosciuto grazie al viaggio in Antartide: Il cacciatore di ombre. In viaggio con don Patagonia.


Tito Barbini

Antartideperdersi e ritrovarsi alla fine del mondo

Edizioni Polistampa – 2008 – 174 pag. – 8 €