Quell’idea che ci era sembrata così bella – Tito Barbini
Il vecchio compagno se ne è rimasto un po' zitto. Poi sottovoce, è arrivata la domanda che per certi versi mi aspettavo e temevo: «Insomma perché hai lasciato la politica? Va bene, può succedere, è normale. Però non puoi rifugiarti nelle parole o nei viaggi. Ad Arezzo hanno bisogno della tua esperienza.»
Tito: «Ti ricordi cosa era per noi cinquant'anni fa il comunismo? Era la dottrina capace di spiegare tutto. La storia dell'umanità, il suo passato, il suo avvenire. Ma soprattutto un modo diverso di essere uomini. Per noi "compagno" era la prima parola di un linguaggio nuovo, allora. Adesso non ci credo più, l'avvenire si è fatto presente e non è quello immaginato. Sappiamo guardare le cose che ci stanno vicino, ma davanti a noi non c'è più orizzonte. Tu sei ancora comunista? Invidio la vostra fede, invidio chi ne ha una. Però vorrei dirti, non è vero che non soffro. Cerca di capirmi: non mi manca la passione politica. Quella è ancora intatta.»
Il libro autobiografico di Tito Barbini può essere condensato in questo dialogo messo nell'ultimo capitolo. Siamo diventati grandi. Abbiamo imparato a guardare le cose con disincanto. Il senso critico è aumentato ma la fine del comunismo ci ha fatto capire che era necessario mettersi da parte perché davanti a noi non c'è più orizzonte. Bisogna iniziare un viaggio di tipo nuovo, il viaggio che ti porta a viaggiare dentro di te e, se ne hai modo, a viaggiare nei luoghi che hanno fatto parte della tua storia, che hai immaginato e che non avevi mai visto.
Ero a Siena, allo stadio Franchi, per un torneo di giovani rugbisti (under 10) tra squadre della Toscana a vedere il mio nipotino Ilia e, nell'intervallo tra una partita e l'altra, ho fatto un salto in centro alla Feltrinelli a vedere le due sezioni su cui, solitamente, mi lucido gli occhi: quella della divulgazione scientifica e quella di storia.
Ero tentato da un libro di Wolfang Pauli e poi mi è caduto l'occhio su quel titolo: "quell'idea che ci era sembrata così bella", Tito Barbini, autore ignoto. Non sono toscano e così ho scoperto, dalla terza di copertina, che Tito Barbini è un coetaneo ed è stato un personaggio importante della politica regionale: membro del comitato centrale del PCI, sindaco di Cortona, presidente della provincia di Arezzo e poi assessore regionale (ai trasporti, all'urbanistica, all'agricoltura).
Tito ha fatto qualcosa di simile a quello che feci anch'io tanti anni fa: si è improvvisamente ritirato dalla politica attiva per fare altro. Io mi sono dedicato alla scuola e alla battaglia per la razionalità. Lui ha iniziato a viaggiare e a scrivere, il modo migliore per ripensare a sè e per dare il proprio contributo ad una società che ha bisogno di forze nuove e di nuovi entusiasmi che non si facciano condizionare troppo dal pessimismo della ragione di chi ne ha viste tante.
Ho comperato il libro e in un paio di giorni l'ho finito. Ma intanto ho ordinato anche le memorie di quei viaggi che hanno preceduto questa biografia intellettuale perché sono i viaggi ad aver fatto fare a Tito l'esperienza del bufalo, che scarta di lato, contrapposto alla locomotiva che va sempre diritto.
In quell'idea … c'è il resoconto di una vita, la passione giovanile, il 68, il Vietnam, il socialismo reale, la formazione politica alle scuole di partito di Bologna e delle Frattocchie, il rapporto di un giovane dirigente toscano con i grandi dirigenti nazionali, il fascino della grande macchina che voleva fare il socialismo dentro il movimento comunista ma all'italiana.
A leggere cose di Toscana, con la sua microstoria, si resta affascinati da questo mondo in cui la costruzione della società socialista andava di pari passo con la vita quotidiana e con l'economia dell'Italia Centrale.
E' la storia di una vita e dunque è la storia di come le cose ci trasformano, di come cambiamo idea, se abbiamo l'onestà intellettuale di vedere e di pensare. Il libro si apre con "Buffalo Bill" di De Gregori: «Tra bufalo e locomotiva la differenza salta agli occhi. La locomotiva ha la strada segnata, il bufalo può scartare di lato.» All'inizio, e per molti anni, Tito è una locomotiva dentro il partito toscana e la locomotiva ti consente di andare lontano partendo dal niente, sembra non fermarsi mai. Racconta di quando, molto giovane e diventato funzionario di partito si ritrovò ad una assemblea cittadina ad Arezzo e di fronte alle obiezioni di uno di destra che gli chiedeva, ma tu chi sei, cosa ci fai qui, dopo un attimo di imbarazzo rispose, riscuotendo un grande successo "sono un rivoluzionario di professione". Altri tempi.
«Mi sono fermato e, come il bufalo di Ge Gregori, ho scartato di lato. La locomotiva aveva la strada segnata, potevo scegliere di andare sino in fondo su quel binario. E tutto si può dire, ma non ci si perde lungo un binario. Invece ho scelto di essere bufalo, Ho voluto provare a correre. Rischiando anche di cadere, ma almeno provandoci.»
Tra i diversi capitoli non sembre c'è un filo sincronico perché Tito segue un suo percorso mentale e dunque si va avanti e indietro nel tempo. Se sei stato comunista dentro o fuori dal PCI ci ritrovi tante cose che hai vissuto: le lotte di piazza e il rapporto con quelli della squadra politica della questura, gli scontri di piazza di cui a Tito rimane una cicatrice ricordo sulla fronte, il Vietnam e la tragedia della Cambogia, la Cecoslovacchia, il lato umano dei megadirigenti del PCI con Longo che apprezzava Orietta Berti, l'apoteosi del 76 e il successivo declino, il passaggio PDS-DS-PD, la complessità dell'ingraismo e la figura di Lucio Magri, le difficoltà dei tempi della solidarietà nazionale e della lotta al terrorismo.
Tito è impietoso nei confronti della deriva assunta dalla politica nell'era di Renzi. Non ha nulla da proporre in alternativa, ma si dichiara insoddisfatto; è come se volesse ritrovare la partecipazione e il modo di far politica dei tempi dei partiti di massa pur sapendo che l'epoca delle casematte di Gramsci è finita per sempre.
«Per fortuna nostra e dei nostri nipoti si sta sviluppando nelle società contemporanee occidentali un bisogno di beni e valori che non sono quantificabili con il metro del danaro nè misurabili con il criterio del mercato. Bisogni di comunità umana diretta; esigenze di affettività; volontà di prestazioni gratutite; domanda di liberazione da un lavoro colpito da nuove forme di alienazione.»
Ho evitato di entrare troppo nel merito perché vorrei che restassero il piacere della lettura, della scoperta e della sorpresa.
Decisamente da leggere
Titolo: Quell'idea che ci era sembrata così bella. Da Berlinguer a Renzi, il lungo viaggio
Autore: Barbini Tito
Prezzo di copertina: 15,00 €
gennaio 2016, 320 p., brossura
Editore: Aska Edizioni