la ricerca della identità perduta

Quella che segue è una storia vera, così come la racconta una amica su Facebook. Ne tratto per sottolineare come il tema della ricerca delle proprie radici non sia banale e nella costruzione della propria identità possa creare problemi anche quando i genitori hanno fatto di tutto per affrontare la questione.

E' la esplicitazione di una diversità che ti nasce dentro? E' la ribellione adolescenziale all'aver trovato la pappa fatta? E' un modo di esternare qualcosa che non ha funzionato nel rapporto con i genitori?

La mia prima esperienza di rottura con il quieto vivere è stata l'adesione a Gioventù Studentesca quando avevo 16 anni (ne racconto in 1961-1964: gli anni di GS della autobiografia). Il quieto vivere lo bollavamo dando del borghese a qualsiasi cosa: i riti religiosi, la organizzazione della vita, i rapporti tra le persone.

Ad un certo punto del processo di crescita si rompe qualche cosa e si decide di fare da sè, di buttare tutto ciò che c'è stato prima, che tuo padre non ti capisce, che tua madre è una stronza, che … che …

Dovrebbero pensarci tutti coloro che affrontano il tema della genitorialità esclusivamente basandosi sulla linea del politicamente corretto come è accaduto in certi dibattiti sulla stepchild adoption.

Chi sono? Da dove vengo? Ogni tanto se ne parla con mia figlia che ha adottato due bei bimbi (sorella e fratelllo) arrivati dall'Estremo Oriente Russo e che hanno iniziato ad andare a scuola qui.

Nella nostra testa ci sono cose che si dicono, cose che non si dicono ma si pensano, cose che si sentono. Io qui sto bene ma … Ma c'è l'interazione con i compagni, c'è il problema di cosa scrivere quando ti chiedono di raccontare della tua infanzia, della casa dei bambini, dei sapori della infanzia, degli odori, dei rumori …

Il rapporto con il proprio passato è una cosa complicata, del tutto irrazionale che salta fuori quando meno te l'aspetti. Se poi questo passato ha radici islamiche e tu vivi in Occidente ci vuol poco a pensare in termini di occidente corrotto, di male assoluto. E' la liberazione del Santo Sepolcro vista all'incontrario.


il racconto

Conosco (abbastanza bene, da 16 anni) una famiglia di immigrati. Ho chiesto alla signora il permesso si condividere su fb queste mie riflessioni: me l'ha concesso perché "ha paura" (testuale).

Dunque: in Italia da molti anni, provenienti da un Paese europeo ex comunista; atei in patria entrambi per obbligo di legge, lei di famiglia vagamente ortodossa, lui di famiglia vagamente musulmana. Giovani, carini, grandi lavoratori. Lavori umili, soprattutto lei, e tenore di vita modesto; entrambi grati di essere scampati alla miseria nera in cui vivevano nel loro Paese, soprattutto al crollo del regime.

I figli nascono in italia, frequentano con profitto le scuole, usufuriscono di tutte le prestazioni sanitarie e sociali riservate in forma totalmente gratuita alle famiglie a basso reddito: piscine e palestre comunali, campi scuola, vacanze estive. e buoni casa, buoni scuola (per i libri), borse di studio per merito, corsi di teatro, di musica, etc..

La mamma è tendenzialmente sottomessa al marito, molto piu delle sue amiche italiane, ma ha – appunto – amiche italiane, esce, ride, scherza, sdrammatizza. frequenta il consultorio e i corsi di ballo delle strutture pubbliche. Essendo molto bella, di una bellezza esotica, per arrotondare fa anche la figurante in film e fiction.

Perché ve ne parlo, vi starete chiedendo. Perché via via che il figlio maggiore cresce, inizia a lamentarsi dell'ingiustizia della sua condizione: i suoi genitori svolgono mestieri umili, e non le professioni per cui in patria hanno studiato; lui e il fratello conducono una vita notevolmente più misera dei loro coetanei italiani figli di professionisti. Non è giusto, comincia a dire.

La madre, lungimirante, valuta l'ipotesi di trasferirsi in un quartiere meno borghese di monteverde, ma ha una casa in affitto ad un buon prezzo, un municipio amico e la gran parte dei suoi lavori (fa la domestica) a un tiro di schioppo da casa; idem il padre, che ristruttura case di pregio. Trasferendosi, rischierebbero di pagare un affitto maggiore, perdere clienti, impiegare molto tempo negli spostamenti (il traffico di Roma è terribile):

Restano nel quartiere, il figlio continua a macinare rancore. Comincia a frequentare un centro culturale islamico (lui, che insieme al fratello è stato per inerzia e voglia di integrazione dei genitori battezzato cattolico), e a polemizzare con il padre che permette alla moglie di lavorare per il cinema.

Comincia a rifiutare di farsi fotografare insieme alla madre nelle occasioni conviviali: è vestita in maniera sconveniente. I genitori cercano di parlarci, di sgridarlo: quando butta le birre del padre, becca pure uno sganassone.

Comincia a farsi crescere la barba (peluria, in realtà, e troppo giovane), nonostante sia caldo – era la scorsa estate – rifiuta i bermuda e indossa ampie camicie bianche su pantaloni larghi: di più i genitori non gli permettono (non l'uniforme islamica, per capirci).

La madre, angosciata, comincia a sentirlo parlare di una sorta di terra promessa, un califfato dove i buoni musulmani possono trasferirsi, vivere in pace osservando la sharia, trovare un buon lavoro e praticare uno stile di vita adeguato.

E' minorenne, e la madre lo allontana dall' Italia, mandandolo a completare le scuole in un severissimo collegio tedesco: per finanziare il tutto, svende quel che definiva la propria pensione per la vecchiaia: due locali per negozi, acquistati nella capitale del proprio paese, nel frattempo commercialmente "sbocciata".

Lui va e studia, non sgarra; nel collegio ci sono solo altri due ragazzi musulmani, ma – pare – poco interessati al jihad ed un buon programma didattico/psicologico di prevenzione dell'integralismo.

Il ragazzo diventa freddo nei rapporti con la famiglia, i genitori in continuazione si chiedono se abbiano fatto la scelta giusta. Parla solo con il fratello piccolo, cui confida: "tanto appena compio diciotto anni, parto":

Quanto è difficile, ma quanto lo è, amici miei.