Orazio, la Chicca e la Cabesita

In casa nostra gli animali che arrivano sono sempre casi da servizio sociale; d'altra parte Bruna, di mestiere, ha fatto l'assistente sociale.

Stavo facendo gli esami di stato in provincia di Mantova quando mi arrivò la notizia, da Daniela, di essere riuscita a convincere la mamma a portare a casa l'Orazio. Voi non preoccupatevi che tanto poi io me ne vado in Toscana e lo porto con me.

Credo che fosse l'estate del 99 e nella nostra famiglia si stava per fare un passo importante: dai soli gatti a cani e gatti. Daniela stava finendo veterinaria e da tempo faceva la volontaria al canile dell'ENPA di Monza; pulizie, ma anche sala chirurgica.

In canile c'era Orazio un incrocio tra un Husky e un lupoide (pelo nero folto e sottopelo grigio chiaro), maschio sui 7 anni, in canile da 3 dopo essere stato sequestrato ad un padrone che l'aveva sempre tenuto alla catena.

Non si riuusciva ad affidarlo perché era considerato un cane caratteriale. Assomigliava un po' ai cani dei film tratti dai romanzi di Jack London (tipo Zanna Bianca e Il richiamo della foresta) e, in effetti, non abbaiava ma ululava.

Incominciammo ad andare a trovarlo e a portarlo fuori a fare delle passaeggiate lungo il canale. Dopo essere stato per anni in un box di cemento, non gli pareva vero di uscire. Teneva la cacca il più possibile e, come si usciva, per il primo quarto d'ora era un fermarsi continuo a farla lungo le sponde del Villoresi.

Così, ad un certo punto, è arrivato a casa. E' stato a Villasanta facendosi qualche inverno sul terrazzo coperto di via Mantegna. Gli avevo fatto una grossa cuccia sotto un tavolo di legno quadrato, utlizzando cartoni da imballo, su più strati, come pareti e come pavimento. Sul davanti c'era un foro per l'ingresso e anche una tenda di lana: una cuccia larga e calda e, anche quando fuori andava sotto zero, se mettevi la mano nella cuccia si sentiva un bel caldino.

Poi è venuto in Toscana; Daniela stava, da sola, a Castello di Tocchi in una casa in pietra, riscaldata solo con il camino e lavorava a Siena dalla mattina alla sera. Orazio le faceva compagnia e di giorno stava sul terrazzo sopra la clinica. La sera le capitava di addormentarsi su un minidivano davanti al camino e lui di fianco.

Era un cane buonissimo e la sua caratterialità si estrinsecava nel non lasciarsi maneggiare; se tentavi di forzarlo ad atti contrari alla sua volontà ringhiava  Per qualunque atto medico anche di lieve entità bisognava sedarlo.

Dai tempi del canile aveva conservato la voracità; se trovava qualcosa da mangiare la divorava, perché non si sa mai se domani avrò da mangiare Una volta,che aveva trovato un grosso osso di costina, nel tentativo di masticarlo se lo ficcò, incastrato, tra il palato superiore ed inferiore a bocca spalancata. Sembrava la riproduzione del metodo di cattura dei coccodrilli che avevo visto in tanti doumentari.

Era con me e non sapevo cosa fare. Mi feci aiutare da Bruna con un asciugamano di spugna per aprirgli ulteriormente la bocca e poi, con una pinza, misi le mani tra quei denti affilati e aperti. Evidentemente capì perché mi lasciò fare; sudavo freddo ma riuscii a levare l'osso. Un'altra volta tornammo a casa e rimanemmo impressionati dal fatto che continuava a bere: un litro d'acqua, un'altro litro, ma cosa avrà Orazio? Poi vedemmo a terra la retina di corda di un salame che stava nel locale caldaia adiacente al terrazzo. Era riuscito a prenderlo e l'aveva mangiato tutto sputando la corda; un salame da un chilo; ecco perchè aveva sete.

Nel periodo in cui Daniela è tornata al nord e ha lavorato a Milano, Orazio si è nuovamente trasferito a Villasanta e faceva compagnia a me e Bruna. Cominciava ad avere problemi di cedimento sul posteriore e dunque non si poteva più farlo correre in bici, ma è stato comunque un pezzo importante della famiglia e un incentivo a fare delle belle camminate nel parco.

L'ultimo anno della sua vita lo ha passato nuovamente in Toscana, nella casa ristrutturata di Solaia dove stiamo ora. Era ormai molto anziano, malfermo sul posteriore e con le stesse sindromi neurologiche che si vedono negli anziani umani. Lo ha soppresso Daniela quando, a 14 anni, non ce la faceva più nè ad alzarsi, nè a mangiare, ed ora riposa vicino a una pianta al limitare del bosco.

la Chicca

Sembrava che non ci sarebbero più stati cani grandi tra noi e invece, nel settembre del 2013, Daniela è arrivata con un batuffolo, mezzo spelato, con la coda che sermbrava si stesse staccando, infestato dalla rogna e dalle pulci. Era l'ultimo cucciolo di una nidiata di pastori tedeschi, abbandonato dalla madre che non lo nutriva più. Glielo avevano portato in ambulatorio da sopprimere.

Non se l'è sentita e così la Chicca, che non aveva neanche due mesi ed era poco più grande di una spanna, è rimasta con noi. All'inizio è stata nutrita con il biberon, poi pian piano si è svezzata ed ha iniziato a mangiare da sè.

L'idea era di affidarla a qualcuno, ma come è noto, ci si affeziona. I problemi che presentava, per i quali aveva rischiato di essere soppressa, si sono risolti nel giro di due mesi ed è diventata una canina  bellissima, un pastore tedesco a pelo lungo.

La cosa più bella è il muso; ha la faccia da cane felice e anche ora, che ha più di tre anni, viene scambiata, da chi la vede per la prima volta, per un cucciolo. E' cresciuta in simbiosi con Valentina che, soprattutto nel primo anno, ogni tanto si ficcava con lei nella cuccia di legno a farsi le coccole reciproche, avvinghiate l'una sull'altra.

Da lei si fa fare di tutto compresa la cosa che odia, la pulizia del pelo con l'eliminazione di nodi e forasacchi.

Ha a disposizione un prato di più di mille metri quadri che confina con un castagneto e poi con i boschi della val di Farma e così passa la giornata a correre inseguendo uccellini, api, topolini, cinghiali ed istrici al di là della recinzione. Corre e sta all'aperto con qualsiasi tempo e, se diluvia, tanto meglio; sta sotto l'acqua e quando comincia ad averne troppa addosso si dà una scrollata e ricomincia.

Gioca anche da sola con pezzi di corbezzolo che ama sgranocchiare sino a fargli la punta e con quei grandi vasi di plastica nera che usano i giardinieri; li butta per aria per aferrarli al volo; li scuote tenendoli in bocca come se fossero delle prede, me li porta davanti all'uscio e poi abbaia per farseli lanciare.

Come dice Ruggero: la Chicca ha addestrato il nonno e quando vuole giocare lo chiama.

Dalla primavera, all'autunno, se c'è il sole si fa almeno un paio di docce al giorno con la canna dell'acqua che ama alla follia e dunque quando siamo in giro non si perde un fosso.

Tra casa mia e casa di Daniela ci sono 5 gatti e il rapporto tra cane e gatto è di amicizia anche se Chicca non rinuncia a fingere di inseguirli senza poi far loro nulla. Così, il povero Sigaro, il gatto maschio, imbranato e dalle zampine corte, è continuamente all'erta, gira al largo, si accquatta per non farsi vedere.

C'è un rovescio della medaglia; nella condizione di isolamento in cui viviamo, Chicca ha sviluppato un senso eccessivo della territorialità e non sopporta che qualcun altro si avventuri dalle nostre parti, siano cani o esseri umani. Il suo preferito è il postino; sente arrivare la sua Panda e lo aspetta.

Se lei è dentro e gli altri sono fuori abbaia forsennatamente per dare l'allarme. In tutto ciò è paradossale: se la si porta fuori si tranquillizza, anzi, poiché è un po' fifona, ci mette un po' a socializzare.

Ho incominciato a portarla per boschi quando stradelli o sentieri ma ho sempre un po' di timore a sganciarla dal guinzaglio perché, con tutti gli ungulati che ci sono in giro, non so come si comporterebbe e non mi va di correre rischi; cosa accade ad un cane che ha voluto fare troppo il furbo con un cinghiale lo vediamo continuamente da novembre a gennaio quando, in stagione di caccia, Daniela fa le ore piccole in ambulatorio.

C'è anche un minicane, più anziano di Chicca, la Cabesita, un Chihuahua a pelo lungo. L'abbiamo chiamata così perché anche lei è un caso sociale.

L'allevatrice l'ha regalata a Daniela per via di una fossetta cranica non perfettamente richiusa che ne avrebbe impedito la vendita. (Cabesita vuol dire testolina). La Cabe pesa meno di 2 chili e dunque è una specie di soprammobile vivacissimo.

Nella divisione degli affetti se ne è appropriato Ilia, ma a dir la verità con la scusa che quello che sta più a casa sono io, Cabesita, che ama stare in compagnia, viene da me e passa ore sul divano insieme ai miei tre gatti. Verso di loro l'unica competizione è quella del giro delle ciotole per vedere se è avanzato qualche cosa.