Progresso e Regressione
La battuta, un po’ ironica, me l’ha fatta il Presidente di Confindustria Monza e Brianza Renato Cerioli in occasione di un recente incontro: certo che lei, per essere di sinistra è una delle persone più di destra che io abbia conosciuto. La battuta un po’ mi ha lusingato e un po’ mi ha indotto a riflettere.
Queste sono le conclusioni cui sono arrivato:
identità nazionale forte
l’identità nazionale è la condizione per apprezzare la identità locale e per apprezzare il multiculturalismo.
- Ci sentiamo Italiani? Io sì.
- Vogliamo essee Italiani partecipando alla costruzione di un’Europa forte perchè di un’Europa forte (con la sua storia, la sua cultura e le sue istituzioni) ha bisogno il mondo? Io sì.
- Vogliamo difendere le specificità dei territori e il modo che si ha di concepire il vivere in ciascuno di essi? Io sì
In sintesi mi piace il confronto culturale, mi piace la cucina multietnica (ma domenica ho fatto la cassoeula), penso che sia giusto regolamentare e controllare i flussi, credo che si debba essere inflessibili nel rimpatriare chi vive di espedienti (tra droga, prostituzione, furtarelli e accattonaggio), credo che quello dei ROM dediti allo scippo e ai furterelli nelle metropoli sia un problema da affrontare, credo che la xenofobia di stampo leghista sia un brutto segno e indichi una grave regressione culturale di cui la stessa Lega, secondo me, è succube prima che promotrice.
legalità
e da quando la legalità è di destra? Nella sinistra c’è spesso un ragionamento sbagliato; quello secondo cui se si viola la legalità in stato di bisogno si è giustificati.
Ciò porta chi amministra l’ente locale a lasciar correre sul mancata pagamento dei tributi o dei canoni di affitto perché, a volte, è più semplice far finta di niente che intervenire. E’ una posizione maggiormente diffusa a sinistra, ma ampiamente praticata sotto tutte le latitudini.
Basta guardare cosa si fa o meglio cosa non si fa verso chi non paga l’affitto nelle case pubbliche in cambio del fatto che non si fa la manutenzione ordinaria (a Roma come a Milano con amministrazioni di ogni colore).
In compenso, da parte di chi esercita il potere vige il principio del farsi le regole su misura, dell’intervenire sui funzionari dell’amministrazione per avere dei piaceri. E’ una pratica più diffusa nel centro destra come indicano anche episodi recenti. C’è chi predica bene e razzola male. E per dirla tutta, la Lega ci sguazza quanto gli altri come insegna in modo emblematico la parabola del figlio di Bossi.
Secondo me la legalità come stile di vita e come impegno educativo non è nè di destra nè di sinistra, ma è invece la faticosa discriminante tra essere e sentirsi cittadini o essere o sentirsi, volta a volta, sudditi o despoti.
meritocrazia
io alla meritocrazia ci credo e non mi sento di destra per quello. Ci ho sempre creduto. Ho incominciato nel 68 quando noi dirigenti del movimento eravamo orgogliosi di essere inattaccabili: mantenersi agli studi e contemporaneamente stare in prima linea nello studiare e nel partecipare criticamente ai corsi.
In quegli anni (belli e terribili) abbiamo fatto e detto un sacco di stupidaggini. Per esempio siamo stati troppo indulgenti nel portare avanti obiettivi di oggettivo livellamento in nome di un malinteso egualitarismo.
In realtà, con il merito e per il merito, ho incominciato anche prima del 68 quando era chiaro, per ragioni economiche, che o studiavi o non eri degno di chiedere sacrifici in famiglia (ero il secondo di 5 fratelli e la sera un etto e mezzo di prosciutto cotto doveva bastare per tutti).
Da professore sono sempre stato molto esigente verso chi, tra gli studenti, pretendeva di far politica; se vuoi batterti per gli altri devi dimostrare di saperti battere per te stesso economizzando tempo che dedicherai alla società e ai tuoi compagni.
E che dire di un po’ di spocchia intellettuale verso quei colleghi che non ritenevamo all’altezza del compito? Ricordo, nei primi anni di insegnamento, di aver mal digerito l’uso della parola collega: collega di chi? rivolto a docenti che mi apparivano più dei postelegrafonici che degli intellettuali. Ci mettivamo sopra anche un po’ di salsa gramsciana (studiate perché abiamo bisogno di tutta la vostra intelligenza …) ma la sostanza era che credevamo nella scuola come strumento di crescita culturale e sociale e dunque eravamo per il merito.
Se c’era una contraddizione era tra il nostro modo di essere e di vivere e l’adesione a programmi e progetti politici che, in nome della democrazia diffusa, finivano per occuparsi solo del quanto e mai della qualità.
la scuola e le imprese
cosa penso è noto e sono in prima fila per garantire uno scambio bidirezionale di idee, di mentalità, di strutture e di risorse umane. Lo so che nella sinistra va molto più di moda la diffidenza in nome di un malinteso interesse pubblico. In molti pezzi della sinistra (dai movimenti studenteschi, alle organizzazioni sindacali, a certi intellettuali con il birignao) va di moda dichiare che si rischia di piegare il sistema di istruzione agli interessi del capitale.
Non sanno cosa dicono, ma lo slogan piace. E’ una posizione molto diffusa che, ancora oggi, in piena crisi di tutti gli organismi di democazia delegata, impedisce la riforma degli organi collegiali, impedisce di affrontare il tema della governance delle Istituzioni Scolastiche autonome, fa sì che persino il governo di centro destra, dopo aver ridotto il Comitato Tecnico Scientifico ad organo consultivo, lo abbia pure reso facoltativo. Lle riforme a parole costano poco e magari ti fanno fare bella figura.
Sono di destra? No: sono riformista e accuso la destra di mancanza di coraggio e la sinistra di fare spesso chiacchiere sull’argomento in nome di una indistinta esigenza di rappresentanza sociale che spesso si traduce nel nulla.
Il senso dello stato
Una volta quando c’erano il PCI, il PSI, la DC e il PLI, il senso dello stato era una tipica cosa di matrice liberale e dunque chi ce l’aveva era un po’ di destra.
Più invecchio, più continuo a lavorare nella scuola, più il mio senso di essere un servitore dello Stato aumenta e dunque dovrei essere di destra. Ma poichè, come insegnano le cronache di tutti i giorni il senso e il decoro dello stato non sono proprio al centro delle attenzioni del ceto di governo e poiché lo Stato di cui parliamo è lo stato democratico, allora concludo che avere il senso dello stato vuol dire essere dei galantuomini e questi si trovano sia a destra sia a sinistra.
Una cosa mi piacerebbe e mi piacerebbe per davvero: che destra e sinistra convergessero su una base comune rispetto alla quale non ci si divide (legalità, giustizia, istruzione, fisco, senso dello stato) per iniziare le divisioni su cose quali: come coniugare sacrifici e sviluppo? Come garantire i diritti dei più deboli? Come garantire ai giovani il diritto ad un futuro? Come risolvere il problema dei flussi migratori? Come impostare la politica estera? Come impostare il piano energia?
Sarebbe molto bello se fosse così e si potrebbe persino cambiare voto a seconda del programma essendo certi che, se la volta dopo si ripresenta chi ha fallito, sarà sconfitto.