1999-2008: ultimo decennio di insegnamento al Frisi

Il professor Cereda che ritorna al Frisi nell’anno 1999/2000 è un professore molto diverso da quello che se ne era andato nel 1987; ci sono state un sacco di nuove esperienze, sia sul piano scientifico e professionale, sia sul versante umano.

La molla per il trasferimento dallo Zucchi è il desiderio di provare la sperimentazione del Piano nazionale Informatica che consentirà un rapporto più profondo con gli studenti. Solo due classi ma per otto ore la settimana e per cinque anni con un monte ore complessivo che consentirà la possibilità di condurre approfondimenti di alto livello, senza forzature sui processi di vita degli studenti.

E’ un professore che ha già sperimentato, nel ginnasio, l’insegnamento ai più piccoli e che, le vicende della vita, hanno un po’ addolcito rispetto a certe intransigenze dei primi anni 80. La politica è del tutto scomparsa dalla sua vita mentre incomincia a venire avanti l’esigenza di mettere ordine nella massa di conoscenze che si sono sviluppate negli anni. Il risultato sarà la pubblicazione del corso di fisica, la cui produzione era già iniziata allo Zucchi oltre che la stesura di articoli didattico-scientifici su argomenti monografici di matematica.

Il preside del Frisi, da qualche anno, è Vincenzo Cicerone, un professore di Italiano e Latino arrivato a Monza da Foggia, la cui moglie era la mia collega di latino e greco allo Zucchi. Un po’ mi aspettava, ma quando sono arrivato era reduce da scontri pesanti con una parte del Collegio ed aveva deciso di tirare i remi in barca puntando ad autotutelarsi. Questo mi dispiacque perchè arrivavo da un contesto di grande dinamicità con la gestione Meneghetti dello Zucchi e mi sarebbe piaciuto continuare. Come prima azione ho realizzato, con l’aiuto tecnico di quel mio ex alunno che studiava a Londra, il sito del liceo. Poi ho dato una mano alla conduzione della baracca facendo l’incaricato di alcune funzioni speciali (valutazione, aggiornamento, archivio storico del liceo,).

La sperimentazione del PNI era in espansione (dall’originario corso E a due sezioni) ma quando arrivai le cattedre del PNI erano occupate e incominciai insegnando nelle classi di ordinamento del corso G spostandomi sulla sola fisica e arrivando infine a lavorare su classi che avrei tenuto per 5 anni nel corso F. Una 5F, la prima, ha fatto matematica con me solo dalla terza (e fisica per 5 anni) mentre con la classe successiva (anno 2001/2002) ho lavorato dalla prima alla quinta. Nel momento del passaggio al ruolo di Dirigente Scolastico (2008/2009) ho lasciato due classi di biennio in cui stavo ricominciando il percorso.

La differenza tra corsi di  ordinamento e corsi sperimentali riguardava per me solo la presenza di argomenti aggiuntivi e il laboratorio mentre l’approccio sia alla matematica, sia alla fisica era comunque attento agli aspetti di tipo fondazionale e ad uno studio di tipo critico come avevo già avuto modo di sperimentare al classico.

Il biennio

L’insegnamento al biennio lo avevo già provato al classico, ma qui si passava  da 2 a 8 ore ed è il caso di dire che la quantità si trasforma in qualità. Le materie erano due (5 ore di matematica e 3 di fisica per 5 anni) e le tratterò separatamente.

La matematica

La prima cosa da fare è ricordarsi sempre che, come sostengo in “si può trasformare la matematica da materia killer ad oggetto d’amore?”, il gioco è un argomento importante e a quella età lo è ancora di più. Ero stupito per come fossero avanti le proposte che venivano dalla Unione Matematica Italiana attraverso I giochi di Archimede rispetto alla pratica didattica tradizionale di insegnamento del biennio liceale.

Erano l’intelligenza contro il tecnicismo, la creatività contro la ripetitività. In prima arrivavo ad affrontare il calcolo letterale (i prodotti notevoli, le scomposizioni, i polinomi, …) non prima di aprile/maggio, in compenso le cose essenziali sulle equazioni di primo grado si imparavano subito perché le equazioni ci servivano per fare del problem solving decente (insieme ai concetti di proporzionalità diretta e inversa). Lo stesso valeva per la integrazione tra calcolo e rappresentazioni grafiche.

La parola d’ordine era quella di bandire il per forza dalla matematica e sostituirlo con per ragione.

Passavo qualche mese ad occuparmi di logica e di teoria degli insiemi, trattate sul serio, perchè si stavano apprendendo i fondamenti, le basi linguistiche, le strutture dei ragionamenti e senza quelli la matematica non ha senso.

Mi aveva sempre impressionato negativamente la moda della insiemistica trattata come un francobollo da applicare sulla busta, messa lì come una cosa a sè, perché poi si passava alle cose serie (il calcolo, le espressioni, le semplificazioni, i radicali, … ) puah!. Devo dire che gli anni passano e cambia poco:

  • professori che danno  da studiare sul libro la introduzione alla geometria razionale (quella con le definizioni, i postulati e i nessi relativi)
  • professori e libri di testo che fanno studiare la teoria degli insiemi occultandone accuatamente genesi, problemi e implicazioni sulla matematica seguente

Dopo gli insiemi venivano i numeri la cui costruzione viene sempre data per scontata. Si fa così perché è così e poi ci si meraviglia se gli studenti semplificano dove non si può o sbagliano a sommare le frazioni.

I protagonisti della matematica sono i numeri. Ma il numero naturale è una astrazione che acquisiamo nei primi anni di vita; non perché impariamo a dire uno, due, tanti e, più avanti, uno, due, tre, … ma perché stiamo acquisendo il concetto di numerosità osservando che in un’aula c’è qualcosa di comune tra i banchi, le sedie e le cartelle ed è una corrispondenza biunivoca (si parla di equipotenza tra insiemi).

Con dei quattordicenni non si deve eccedere con la astrazione, e infatti certe questioni le riprendevo all’inizio della terza; ma, far scoprire che certe cose si fanno in un determinato modo perché non procediamo a caso, ma tentiamo di dare risposte a problemi di tipo pratico o di teoria della conoscenza, è importante.

Mi ricordavo di una serie di questioni (i perché della scienza) che erano sorte dentro di me (come domande senza risposta) quando ero quasi laureato perché nessuno me le aveva chiarite a suo tempo.

Fate un sondaggio tra amici laureati e chiedete loro se vi sanno motivare la regola dei segni della moltiplicazione. Perché meno per meno fa più mentre più per meno fa meno? Si poteva fare diversamente? Se lo avessimo fatto che matematica avremmo costruito? Quanti significati attribuiamo al simbolo (-)? Perché alla fine riteniamo che, nonostante i significati siano diversi li usiamo in maniera intercambiabile? Se la cosa vi interessa trovate qualche risposta in questo articolo dedicato alla costruzione degli insiemi numerici.

Il vantaggio ad avere molto tempo classe sta nella possibilità, se si presenta un problema interessante, di affrontarlo anche se non è interno al pecorso didattico che si sta seguendo. Tutto ciò stimola il gusto per la discussione e lo spirito critico, che sono alla base di ogni formazione scientifica.

Mi ricordo ancora, durante una disfida matematica, la soluzione originale ad un problema ricorsivo data da Basanisi (allora quasi bambino rispetto ai compagni, ma vispo) che ora fa il fisico teorico in giro per l’Europa. Invece di procedere enumerando, costruì un modello più generale nel quale la soluzione veniva fuori come caso particolare.

La fisica

Ho sempre pensato che la vecchia organizzazione del liceo scientifico (con tanta matematica ripetitiva nel biennio e niente fisica) fosse lo strumento ideale per spegnere gli entusiasmi e le curiosità sorte alle medie e per riprodurre la figura della professoressa di matematica vecchia maniera, quella che fa cadere la voglia di studiare agli studenti più creativi.

La fisica è la nostra riflessione intorno al mondo che ci circonda e dunque bisogna partire da lì, dal mondo. Probabilmente, se non avessi cambiato mestiere per fare il Dirigente Scolastico, avrei tolto di mezzo il libro di testo nel biennio per sostituirlo con quelli di Angelo Frova (la fisica sotto il naso, ragione per cui, perché accade ciò che accade di cui trovate qui la recensione, …).

La sistematicità è importante ma, per una disciplina nuova, essa deve venire dopo, dopo che si sono aperti gli occhi e ci si è abituati a fare domande e a cercare risposte.

Le risposte alle domande che ci pone l’analisi di un fenomeno, non sono mai monodisciplinari; la divisione in materie e la classificazione all’interno di una data area (meccanica, termodinamica, ottica, …) sono creazioni della nostra civiltà; la realtà è una ed è multiforme.

In fisica, tutto si tiene, ed è meglio dare risposte non approfondite, ma ricche di connessioni, piuttosto che studiare il piano inclinato senza capire perché lo si studia.

Sull’insegnamento della fisica, in quegli anni, ho scritto un articolo abbastanza ampio che affronta molte questioni che qui posso solo sfiorare, ma ve lo consiglio La fisica è tanta, l’importante è non pretendere di farla tutta.

Pe quanto riguarda l’approccio allo studio e al gioco valgono le cose già dette per la matematica. Voglio aggiungere una questione che ha a che fare con la valutazione. Utilizzavo molto strumenti di valutazione scritti: trattazione di argomenti, semplici problemi, quesiti a risposta breve, quesiti a scelta multipla con 4 o 5 item.

Ho scoperto, utilizzandoli, che questi ultimi mettono in gioco abilità, spesso trascurate, ma che sono importanti (capacità di discrimnazione, rapidità nelle scelte, capacità di approssimazione). Capitava che studenti e studentesse molto bravi/e su tutti gli altri fronti si trovassero in difficoltà con la scelta multipla, mentre invece facevano bene studenti solitamente meno bravi. Inoltre la verifica scritta insegna a scrivere, a sintetizzare, ad esporre in un’era in cui sembra che la esposizione strutturata sia stata bandita dalla scuola a forza di fotocopie la cui invasione inizia alle elementari e il quadro sta rapidamente peggiorando con l’utilizzo così invasivo di WhatsApp.

Non interrogavo quasi mai e lo facevo contro voglia e per disperazione; la valutazione orale veniva dalla interazione quotidiana (l’impegno, gli interventi, la partecipazione, gli aspetti affettivi, il trend…) ed era sicuramente più corretta del rito della lavagna (che per altro anche nelle interrogazioni sostituivo con quello dal posto).

Il triennio

In terza il livello della trattazione e quello della richiesta si alzavano, ma ormai c’erano tra noi rapporti consolidati: classi molto motivate e quelli che avevano pensato ad un’altra cosa (rispetto al PNI) solitamente rimanevano in prima.

Per quanto riguarda la fisica era disponibile in larga misura il mio corso che, comunque, nonostante le ore a disposzione, risultava troppo esteso e dunque si facevano tagli o si consentiva agli studenti di fare scelte di natura opzionale. Nella scansione degli argomenti l’obiettivo era quello di terminare l’elettromagnetismo in quarta in modo di dedicare l’ultimo anno alla grande rivoluzione, concettuale e pratica, del 900.

Inoltre cercavo di trasmettere agli studenti l’importanza di prepararsi all’esame di stato utilizzando la quinta come anno di ricerca e di auto-orientamento: tirare le somme e imparare a lavorare da soli.

Ricordo alcuni lavori presentati all’esame di stato sull’entanglement in meccanica quantistica o sugli esperimenti cruciali di inizio 900 di una qualità altissima per il lavoro di studio, approfondimento e ricerca durato mesi e mesi che ci stava dietro.

Nei primi progetti di riordino di applicazione alle superiori della riforma Moratti l’ultimo anno era pensato così; ma lo spirito innovativo, in Italia, è sempre destinto ad annegare nella burocrazia, nelle circolari, negli accordi sindacali e nelle mediazioni al ribasso. Pensate, per esempio, alla difficoltà nel praticare una cosa ovvia come l’insegnamento in Inglese di una disciplina non linguistica. Invece siamo al chi lo fa? E’ stata fatta la formazione? Quanto gli diamo in più? E’ stato fatto il progetto? E alla fine tale insegnamento non si fa.

Per quanto riguarda la matematica il programma del PNI era già avanzato di suo (statistica, calcolo delle probabilità, algebra lineare, geometria vettoriale, fondamenti della matematica) e io ci aggiungevo le equazioni differenziali che, in una delle revisioni della sperimentazione, eano state, inspiegabilmente, eliminate.

Era una preparazione di matematica in grado di far affrontare in totale relax, e con risultati brillanti, il biennio di qualsiasi facoltà universitaria.

Nell’ultima delle classi che ho avuto l’onore di portare sino in quinta, prendendo spunto da una sezione del sito che avevo inaugurato (il tema del mese) abbiamo fatto, a fine anno, una discussione di bilancio durata molte ore in cui è stato ripercorso l’intero iter scolastico a partire dalle elementari.

Non so se la trascrizione che facemmo e che trovate qui Cara maestra …, qui La scuola media è da buttare, e qui Alla fine del Liceo gli diamo 8 e mezzo, sia stata in grado di fare sintesi, ma fu una esperienza molto bella, che mi commosse e mi arricchì. Nelle altre classi del Frisi i colleghi erano alle prese con il rush finale e noi si cazzeggiava. Ho concluso il mio lavoro di docente avendo modo di sperimentare la realizzazione di persone autonome, arrivate in quinta sapendo cosa fare nella vita e con una preparazione che consentisse  di fare qualsiasi cosa.

In sintesi

Quella con gli studenti è stata una esperienza molto bella e che mi ha fatto crescere; alla base c’era una scelta di vita: lavorare con giovani in formazione e trasmettere passione.

Il preside Cicerone quando andò in pensione era ormai logorato da una scuola con cui non aveva ingranato (non penso per responsabilità sua), sperai in Cassonello, ma se ne andò subito a lavorare in Germania. Poi è arrivato Denti che incarnava, secondo me, lo spirito monzese-frisino del progresso senza avventure (e lo vedo bene dallo stile del sito web).

Si fece l’esperienza dei pomeriggi culturali che, non so se continui ancora. Secondo me questo della scuola come luogo di ricerca, stimolo e approfondimento multidisciplinare è un tema molto importante.

Mi piacerebbe una scuola in cui, man mano che si procede dalla prima alla quinta, i percorsi si diversifichino, le classi si sciolgano e il loro posto sia preso da corsi cui si accede per libera scelta.

Il curriculum sia flessibile e consenta autocorrezioni. La scuola funzioni per tutta la giornata, ma chi venisse al pomeriggio potrebbe anche non esserci stato la mattina, i docenti facessero ricerca disciplinare e ricerca didattica lavorando a scuola per 30 ore (ma solo 15 di lezione frontale) e con stipendi dai 2’500 € in su. Sono cose che mi tornano in mente nel momento in cui, causa Covid, sento ministri e politici pigolare sul tema scuola.

I libri della editoria scolatica, nella scuola che ho in testa, sono spariti e sono sostituiti dalla produzione didattica dei docenti e dalle indicazioni bibliografiche. Alcune di queste cose ho iniziato a pensarle nei primi anni 80 e le ho anche viste praticate al liceo di Monaco dove andai per una settimana di approfondimento sulla storia della fisica in collaborazione con il Deutsche Museum.

Nell’impostare il rinnovamento un ruolo importante lo può giocare il Dirigente Scolastico, ma qui si va nelle scelte fatte a partire dal 2004 e che sono terminate nel 2008 con un nuovo cambio di mestiere. Dello studio, del concorso, delle esperienze fatte durante la formazione e poi, del nuovo lavoro, l’ultimo, tratterò in un altro capitolo.

occhio alla bici

Era il giugno del 2007 e stavo andando a scuola  per gli scrutini di fine anno e rischiai di non incominciare mai a fare il Dirigente Scolastico. Avevo con me una 24 ore nera di quelle rigide con dentro tutta la documentazione per lo scrutinio (giudizi, prospetti riepilogativi, relazioni finali, programmi, …). Il primo scrutinio era alle 11 e verso le 9:30 uscii di casa. Stesso percorso, diversa la bici, la mia amata city bike che, da allora non c’è più.

Dopo l’incidente del 94 (quello nel Parco) ero molto cauto nei tratti pericolosi, quelli aperti al traffico automobilistico, come la svolta a sinistra da via Boccaccio verso via Francesco Frisi: curva, auto in velocità su entrambi i versi di marcia, ogni volta mi auguravo che andasse bene. E anche quella mattina andò tutto bene.

Arrivai al passaggio pedonale semaforizzato di via Massimo D’Azeglio; attendevo il mio turno per attraversare e un vigile mi fece segno di attraversare nonostante il rosso; gli indicai il semaforo e lui, con aria seccata mi disse di andare “se glielo dico io, vada!“. Questo è l’ultimo avvenimento che mi tornò in mente al risveglio.

Imboccai via Frisi sino a sboccare sulla via Carlo Alberto (zona a traffico limitato); stavo per svoltare a sinistra, come al solito, quando sentii il rumore di un motore che andava su di giri e mi vidi arrivare da sinistra una automobile in fase di accelerazione. Era a poco più di un metro e mi avrebbe preso in pieno sul lato sinistro.

Anche quella volta diedi un bel colpo di pedale per salvare almeno le gambe mentre mentalmente inveivo contro quel coglione perché certe cose si pensano anche quando si sta per morire. Nella mappa il mio percorso è quello in azzurro.

Il resto l’ho ricostruito dopo: mi prese di fianco all’altezza della ruota posteriore, perse il controllo della macchina e finì per fermarsi dopo aver sfondato la recinzione di un cantiere all’angolo tra via Frisi e via Carlo Alberto.

La mia city bike fu trascinata dentro il cantiere sotto le ruote dell’auto ma, grazie al colpo di pedale non ci lasciai le penne. Senza di esso mi avrebbe fracassate le gambe e trascinato con la bici contro la palizzata. Invece, dopo avermi sbalzato dalla bici, l’impatto mi fece finire di schiena sul cofano, un rimbalzo e finii a terra battendo la nuca contro il marciapiede di pietra sull’altro lato della strada. Non avevo il casco ma il colpo fu attutito dalla coppola di pile da fondista con cui giravo.

Mi sono risvegliato, pian piano, più di un’ora dopo; sentivo delle voci, ma ero legato dentro una cosa stretta e fredda; era il cucchiaio d’alluminio del 118. Non capivo chi fossi e dove fossi, poi mi resi conto di essere in un pronto soccorso (ero al S.Gerardo).

Mi stavo chiedendo cosa ci facessi; qualcuno parlava di via Carlo Alberto e allora mi ricordai del vigile che mi aveva rimproverato e del motore che accelerava. Per il resto nulla: a casa non c’era nessuno, il cellulare di Bruna non me lo ricordavo, ma lei faceva l’assessore all’assistenza e così feci chiamare il Comune. Poi mi ricordai degli scrutini e feci avvertire la scuola; per fortuna la borsa nera che stava sul portapacchi l’avevano portata con me. Risultato: frattura della scatola cranica per fortuna senza bolle nè emorragie interne intradurali, frattura della seconda vertebra lombare, scoperta dopo la dimissione quando decisi, per conto mio, di fare una risonanza.

Il resto della storia, se vi interessa la trovate nella pagina dei racconti bicicletta, quella volta che …

Dell’incidente, dei soccorsi non ho ricordi anche se, nei referti, hanno scritto che ero collaborativo. Credo di avere sperimentato come si muore. Non si sente nulla.

Alfonso Riva

Il 2008 è stato anche l’anno della morte di Alfonso Riva, amico di mio fratello Sandro, di sua moglie Giovanna e della sorella Antonella fin dai tempi dei primi amori giovanili. Alfonso era al Frisi dal 1974. A proposito, avete mai riflettuto sull’elevato numero di morti per cancro tra i professori di questa scuola? E di cancro al pancreas è morta anche Fiammetta Cedrazzi.

Alfonso è morto in trincea come scrissi a caldo il 7 febbraio 2008. La sua morte determinò una commozione generale tra generazioni di studenti frisini; aprimmo una rubrica sul sito del liceo e per fortuna, prima di andarmene ne feci una pubblicazione, di foto e di ricordi perché dal sito del liceo non si trova più traccia (o almeno io non l’ho trovata).  La trovate qui: Caro Alfonso. E’ un documento corposo e toccante, dedicateci una serata.


7 febbraio 2008

Ci siamo visti sabato 2 febbraio in un luogo inconsueto, le crete senesi.

Abbiamo visitato l'abbazia di Monte Oliveto Maggiore e poi siamo stati a pranzo ad Asciano al podere della professoressa Agnes che ti ha ospitato per il tuo ultimo weekend. C'era con me anche Fiammetta Cedrazzi con cui hai fatto coppia fissa per anni nel corso F e siamo stati bene insieme.

Durante il viaggio verso la Toscana hai perso i documenti. I documenti non servivano più? Era il tuo compleanno (62), hai gustato le cose buone preparate da Antonietta e da sua figlia e hai mangiato la torta (comparsa all'improvviso con la candelina) anche se il tuo male (proprio all'intestino) ti creava difficoltà e disagio.

Non ti vedevo da qualche mese e sapevo del progresso della malattia. Tu sapevi di essere alla fine e nonostante ciò facevi le battute di sempre e guardavi le cose con ironia (come al solito). Durante la visita al chiostro, affrescato dal Sodoma e da Gianluca Signorelli, Antonietta Agnes ci mostrava le stranezze e tu ci mettevi del tuo nei commenti.

Martedì sera ti ho mandato questa bella foto del 67 con te, mio fratello Sandro e Antonella Cirinnà (siete ad una mostra di pittura a Villasanta). Eravate (eravamo) giovani e pieni di voglia di cambiare il mondo. Il tuo sguardo la dice tutta.

Per tutti, anche per i tuoi cari, eri "il Professore", quello con la P maiuscola. Mi consola sapere che stamattina te ne sei andato in fretta, senza soffrire troppo (anche se in modo inaspettato).

In effetti sei stato il professore di tanti: al Frisi e fuori del Frisi (e anche ieri pomeriggio avevi fatto qualche lezione privata). Mi piacerebbe che chi ti ha conosciuto come docente lo dicesse e lo scrivesse, perché nel nostro lavoro il ricordo è la cosa più importante (tu forse saresti partito dal Foscolo).

Ci siamo sbattuti (e tu avresti detto "ma cosa dice professor Cereda, suvvia non sia volgare") credendo nella cultura e nel lavoro di educatori e mi auguro che una infinità dei tuoi ex studenti siano presenti sabato al funerale e si facciano vivi con i loro ricordi.

Pochi lo sanno ed è il caso di ricordarlo: questa estate una metastasi al cervello ti aveva procurato una emiparesi da compressione e tu hai deciso che prima di andare in ospedale per la radioterapia era importante continuare e sei venuto a finire i colloqui di maturità in carozzina.


Ultima modifica di Claudio Cereda il 2 giugno 2020


La pagina con l’indice della mia autobiografia da cui potete scegliere i capitoli da leggere


I commenti che aggiungono ricordi o correggono imprecisioni sono benvenuti. Si accede ai commenti scendendo al di sotto dell’articolo. Li si scorre e si arriva  ad un apposito editor