bagnasco non va ridotto in pillole

Ho dato una scorsa ai quotidiani e anche ai commenti nei blog. Poi ho deciso di andare sul sito di Avvenire e cercare le cose alla fonte.

Bagnasco ha fatto un discorso in 8 punti e solo gli ultimi due hanno a che fare con le nostre vicende politico sociali. Non ha staccato la spina a nessuno; ha fatto un discorso serio che si rivolge a noi tutti, che invita a guardarci dentro, che stimola gli adulti ad essere educatori. C’è un abisso con le dichiarazioni da accattoni fatte da un certo ceto politico desideroso di riconquistare credito nel mondo cattolico. Ed allora eccolo qui:
Nel contempo, vorrei segnalare come stia progressivamente emergendo, dal vissuto delle nostre Chiese, un approccio che ci pare sempre più consapevole – dunque meno imbarazzato e scevro anche da manicheismi – verso la dimensione politica, per ciò che essa è, e per quello che esprime ai vari livelli. Non c’è dubbio che si sia passati da un atteggiamento più preoccupato della denuncia, spesso anche veemente o semplicistica, ad un approccio più articolato ai problemi, seppure non meno pervaso di tensione etica e di slancio verso il futuro. La politica è esigente anche perché richiede un’attitudine di analisi che va acquisita con l’applicazione, così da superare un certo genericismo, e approdare invece a visioni più pertinenti e più incalzanti sui problemi, non per questo però meno attente sotto il profilo morale.

È probabile che allo stadio attuale si sia arrivati anche grazie alle tante attività e scuole di formazione socio-politica che negli ultimi vent’anni si sono dispiegate, senza dare forse quei risultati immediati sui quali si faceva affidamento. Hanno però attrezzato persone e gruppi ad esprimersi con una maggiore competenza e autonomia culturale. Sarà bene che nel prossimo futuro ci si interroghi su come, alla luce delle esperienze fatte, si possa procedere per favorire la maturazione spirituale e culturale richiesta a chi desidera servire nella forma della politica, e così preparare giovani all’esercizio di quella leadership che difficilmente può essere improvvisata. Dunque, la politica deve interessare i cattolici, e deve entrare nella loro mentalità un’attitudine a ragionare delle questioni politiche senza spaventarsi dei problemi seri che oggi, non troppo diversamente da ieri, sono sul tappeto. E soprattutto adottando un giudizio morale che non sia esclusivamente declamatorio, ma punti ai processi interni delle varie articolazioni e responsabilità sociali e istituzionali.
E i problemi hanno oggi obiettivamente una dimensione preoccupante. Non dimentichiamo certo che la crisi ha colpito il mondo e Paesi più ricchi del nostro, e neppure ci sfugge che molto si è fatto e ancora si sta facendo; ma purtroppo sembra non sufficiente rispetto ad una situazione critica che perdura e sotto alcuni profili si aggrava. Famiglie in difficoltà, adulti che sono estromessi dal sistema, giovani in cerca di occupazione stabile anche in vista di formare una propria famiglia, sono situazioni che continuano a farsi sentire con accoratezza. È necessario inoltre che le riforme in agenda siano istruite nelle maniere utili, perché non si indebolisca la rappresentatività politica. Finché infatti non si profilano condizioni realistiche di una maggiore stabilità per il Paese intero, è comprensibile che si avverta una sorta di esitazione e di diffusa incertezza. Si aggiunge a livello della scena politica una caduta di qualità, che va soppesata con obiettività, senza sconti e senza strumentalizzazioni, se davvero si hanno a cuore le sorti del Paese, e non solamente quelle della propria parte. Se la gente perde fiducia nella classe politica, fatalmente si ritira in se stessa, cade lo slancio partecipativo, tutto diventa pesante e contorto, ma soprattutto viene meno quella possibilità di articolata e dinamica compattezza che è assolutamente necessaria per affrontare insieme gli ostacoli e guardare al futuro del Paese. In causa qui è non solo la dimensione tecnicamente politico-amministrativa, ma anche quella culturale e morale che ne è, a sua volta, lo specifico orizzonte. Questo prende forma nella tensione necessaria tra ideali personali, valori oggettivi e la vita vissuta, tra loro profondamente intrecciati. In sostanza, è la politica intesa come «casa comune» quella che ancora una volta si propone quale aspirazione persuasiva ed urgente: alla casa tuttavia non basta un tetto, ha bisogno di strutture varie e elementi diversi, tra loro ben congegnati e connessi; e per vivere in essa in modo accettabile, c’è bisogno di un comune atteggiamento di fondo, che fa clima e rende possibile quel senso di appartenenza che motiva al sacrificio e dà senso all’impegno di tutti.
Dicevamo – un mese e mezzo fa – che, nel nostro animo di sacerdoti, «siamo angustiati per l’Italia» che scorgiamo come inceppata nei suoi meccanismi decisionali, mentre il Paese appare attonito e guarda disorientato. Non abbiamo peraltro suggerimenti tecnico-politici da offrire, salvo un invito sempre più accorato e pressante a cambiare registri, a fare tutti uno scatto in avanti concreto e stabile verso soluzioni utili al Paese e il più possibile condivise. Non è più tempo di galleggiare. Un rischio – lo diciamo con un senso di apprensione profonda –, è che il Paese si divida non tanto per questa o quella iniziativa di partito, quanto per i trend profondi che attraversano l’Italia e che, ancorandone una parte all’Europa, potrebbero lasciare indietro l’altra parte. Il che sarebbe un esito infausto per l’Italia, proprio nel momento in cui essa vuole ricordare – a 150 anni dalla sua unità – i traguardi e i vantaggi di una matura coscienza nazionale. Mentre tuttavia si fa quest’ultimo esame di coscienza, è possibile – chiediamo rispettosi – convocare ad uno stesso tavolo governo, forze politiche, sindacati e parti sociali e, rispettando ciascuno il proprio ruolo ma lasciando da parte ciò che divide, approntare un piano emergenziale sull’occupazione? Sarebbe un segno che il Paese non potrebbe non apprezzare. Grande vicinanza esprimiamo alle popolazioni che di recente sono state colpite da esondazioni e allagamenti, come in precedenza da smottamenti che hanno provocato violente trasformazioni del territorio. C’è di continuo una parte consistente della comunità nazionale che deve essere soccorsa e aiutata a risorgere, dovendo affrontare le conseguenze di eventi dovuti a calamità naturali, ma anche all’incuria e all’imperizia troppo spesso riservate all’habitat umano.
Già in un’altra occasione, abbiamo avuto modo di osservare che il Paese abbisogna di un piano puntuale di messa in sicurezza del territorio, e che a quest’opera va riconosciuta la necessaria priorità, in un’ottica di concreta e solerte cooperazione tra i diversi livelli dell’amministrazione pubblica.
Una parola vorrei offrire ancora circa il tessuto connettivo della società italiana, che tiene nonostante le prove e le tensioni di una stagione non facile. Verrebbe da dire che le difficoltà temperano e probabilmente inducono non pochi a riscoprire il fascino di esperienze e testimonianze davvero forti, quelle «capaci di trasmettere alle generazioni di domani ragioni di vita e di speranza» (Gaudium et spes, n. 31). Si sa che osservatori di altri Paesi, guardando più attentamente a quello che succede da noi, rilevano come una singolare opportunità la circostanza che in Italia non si sia ancora arrivati ad una vera e propria «disfatta educativa». Rinunciamo in questo momento ad approfondire
le ragioni di questa affermazione, e assumiamo la provocazione positiva che potrebbe essere interna a tali parole. Non occorre cioè arrivare agli esiti ultimi prima di prendersi in carico la responsabilità di una risalita. La cronaca non manca, d’altra parte, di indicare come sintomi inquietanti episodi che danno la percezione di quanto profondo sia l’abisso in cui può cadere il cuore umano. Casi che probabilmente sono sempre accaduti nella storia delle comunità umane, e fatale sarebbe che, per una sorta di illuministica illusione, si pensasse che quasi all’improvviso
spariscano dal costume. Per questo dobbiamo chiederci sempre di nuovo: che cosa stiamo facendo per mantenere o ricostituire il patrimonio spirituale e morale indispensabile anche all’uomo post-moderno? Non è che la nostra
generazione vive, tutto sommato, ancora di rendita mentre le scorte si vanno esaurendo, anzi in varie situazioni sono già esaurite?
Ecco il senso del piano decennale – Educare alla vita buona del Vangelo – che abbiamo da pochissimo varato e che ora è delineato negli “Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020”. Se potessimo anche solo per un istante parlare al cuore di ogni coppia di sposi e di ogni famiglia, noi Vescovi vorremmo dire loro una parola di fiducia, di incoraggiamento, di sostegno al loro essere nativamente votati ad educare. Non è impossibile l’impresa. Certamente non è facile, ma essa è assolutamente possibile, possibile anche a questa generazione di adulti, i quali sperimentano che crescere non è un automatismo legato all’età o ai titoli di studio, ma richiede la coltivazione di sé, la  capacità di riflessione, la palestra delle virtù. L’educazione è anche questione di «ambiente»: una società, una famiglia ripiegate, litigiose, miopi − in una parola egocentriche − generano figli complessati, che si ritengono inferiori o superiori agli altri. Da genitori che rifiutano il dolore che è connesso al ruolo educativo, ai “no” che pur bisogna saper dire, discendono adolescenti scompaginati e atrofizzati dentro, incapaci di captare alcunché della cultura che li ha preceduti. Tra i singoli e l’insieme vi è sempre un circolo ermeneutico che dobbiamo saper evidenziare per il benessere comune. Non c’è crescita, non c’è maturità ad di fuori della fatica che queste esigono inderogabilmente da ciascuno, e rispetto alla quale non c’è esonero possibile, neppure se decretato per eccesso di amore. Occorre che sulla cultura del soggetto si innesti il principio di realtà, «qualcosa» che è ostico allo scetticismo imperioso di questi tempi fintamente allegri e spensierati; si innesti cioè quel realismo che è caratteristico della cultura classico-cristiana, per la quale le pulsioni interiori vanno regolate − e occorre saperlo fare − se non si vuol finire deragliati da se stessi.
Oggi, è vero, c’è una frontiera prodigiosa, quella mediatica comprensiva dei nuovi media, che esalta le opportunità
di conoscenza e di relazione. È però anche una cultura capziosa che, mentre  offre molto, se non si sta attenti ruba alla persona sempre qualcosa, e qualcosa di importante. Questo vale per i giovanissimi e i giovani per ore davanti ad internet, ma vale anche per gli adulti quando si lasciano drogare da una informazione morbosa che sembra dare sempre qualche particolare in più, mentre di fatto induce alla indifferenza e al cinismo. Inaridisce il cuore e suggerisce una serie di alibi per non migliorare se stessi. Nessuno ha rimpianti per stilemi autoritari e illiberali, per sistemi monopolistici e monoculturali; e tuttavia la corsa all’audience ha fatto raggiungere livelli di esasperazione brutale. «Essendo in concorrenza sempre più forte – osservava di recente il Papa – i mezzi di comunicazione si credono spinti a suscitare la massima attenzione possibile. Inoltre, è il contrasto che fa notizia in genere, anche se va a discapito della veridicità del racconto» (Benedetto XVI, Discorso al nuovo Ambasciatore di Germania, 13 settembre 2010). Forse, proprio in questo decennio, sarebbe necessaria una riflessione più profonda e onesta su questi meccanismi per ravvivare una responsabilità più grande ed incisiva verso la missione e le potenzialità proprie di questo straordinario mondo.