1956-1960: in Collegio a Varazze

III edizione – maggio 2024

collegio e noviziato

il collegio e sulla sinistra il noviziato (ai miei tempi dismesso) successivamente adibito a scuola media superiore – nella parte inferiore gli orti del collegio

Nell’anno scolastico 1955/1956 mio fratello Sandro faceva la quinta elementare e durante l’inverno si beccò una brutta broncopolmonite; da piccolo è sempre stato molto gracile e così, su suggerimento dei medici, si decise che avrebbe dovuto passare gli inverni al mare e ciò necessariamente voleva dire andare in Collegio.

Ci sarebbero dovuti andare sia lui, a fare la prima media, sia mio cugino Enzo (l’ultimo figlio della zia Giovanna) a fare la seconda. Ma io, che ero molto legato a Sandro, decisi di essere della partita. Così, nell’ottobre del ’56 partimmo in tre per il Collegio Salesiano di Varazze: io in quinta elementare, e loro due alle medie.

il mio maestro di quinta, don Ariatti con una classe quinta due anni dopo la mia – archivio Varagine

Furono scelti i Salesiani perché la zia Giovanna conosceva bene quelli di via Copernico a Milano dove mio cugino Franco aveva frequentato le scuole professionali.

In Collegio eravamo poco più di un centinaio di interni (convittori) ma le medie erano frequentate anche da esterni (i semiconvittori).

Il mio maestro era don Ariatti, un prete moro, abbastanza rude sui cinquant’anni che aveva la passione di costruire aeroplanini in legno che poi metteva sui pali angolari della alta rete che delimitava il campo di calcio verso valle. Gli aeroplanini non volavano, ma si orientavano e le eliche giravano messe in moto dal vento che dal mare risaliva verso la collina. Don Ariatti è stato una delle colonne del Collegio.

Della parte scolastica di quel primo anno non ho ricordi tranne che portavamo il grembiule nero e facemmo gli esami di quinta in Collegio e quelli di ammissione alla I media presso la scuola statale di Varazze (un tema, un problema di matematica e l’orale). Andò tutto bene ed ottenni la media dell’8.

L’edificio

Il Collegio era messo all’inizio della collina prima della frazione di Cantalupo ed era stato acquistato direttamente da don Bosco intorno al 1870. Era stato appena realizzato dal Comune e poi venduto ai Salesiani, ad un prezzo di favore. La famiglia salesiana era in grande espansione ed essi acquisirono l’edificio per farci una scuola (elementari e ginnasio con 150 convittori e almeno il triplo di esterni)  e, secondo il modello salesiano, gli affiancarono l’apertura di un oratorio.

Come si vede dalla foto, il Collegio aveva 4 piani oltre a un piano terra con il colonnato; sul davanti c’era un grande cortile adibito a campo da calcio lastricato con un pavè a mattonelle piccole nel quale, durante la ricreazione, facevamo più partite contemporaneamente. Il gioco era parte integrante della pedagogia di don Bosco. Ogni tanto vi si svolgevano anche partite a tamburello organizzate da don Ariatti con dei lanci che mi sembravano spettacolari.

A sinistra c’erano l’oratorio con il cinema-teatro e, più in basso, verso il mare, una struttura dismessa che sino all’anno prima, aveva ospitato il noviziato salesiano e che negli anni 60 venne poi ristrutturata per ospitare il tentativo di gestire una scuola superiore (liceo e ragioneria).

Nel passaggio verso l’oratorio c’era anche un campo di pallavolo mentre, nella parte a sinistra del cortile, un porticato con i servizi igienici e una serie di tavoli stretti e lunghi, con le sponde di legno, dove si giocava a boccette usando delle piastre cilindriche d’acciaio di 4 cm di diametro per 1 di altezza.

dormitorio

I dormitori di Collegiuo erano tutti uguali; questo è quello della Guastalla di Milano: i letti e quello del controllore laico con la tenda all’inizio della camerata

Le camerate erano al III e IV piano e portavano i nomi dei santi (con gli immancabili san Luigi e Domenico Savio). Erano dei corridoi lunghi e stretti con i letti messi l’uno dopo l’altro e, all’inizio e alla fine della camerata, un letto con tenda scorrevole su una struttura ad anelli dove dormivano i custodi, dei laici detti coadiutori o cooperatori. Erano le stesse persone che ci accompagnavano nelle uscite del giovedì e non me li sono mai filati. Non mi sembravano particolarmente svegli e trovavo che fossero anche un po’ ambigui.

La biancheria pulita stava in un locale guardaroba a parte con tanti loculi corrispondenti al nostro numero che veniva cucito su ognoi capo per renderlo riconoscibile. Io avevo il 118. Si trattava di rettangolini bianchi  di un centimetrio di lato ricamati con il numero in rosso ben visibile. La gestione del cambio era affidata a ciascuno di noi, e questo è stato certamente un elemento di crescita della autonomia. Mettevamo la biancheria sporca in un sacco di lino chiuso con un cordino passante e con regolarità lo consegnavamo per il lavaggio. Se ne occupavano le suore salesiane di Maria Ausiliatrice, le stesse che gestivano refettorio e approvvigionamenti.

Come si vede dalle foto non c’erano divise, ma se andate sull’archivio di Varagine.it troverete un sacco di foto degli anni 20 e 30 in cui i convittori hanno divisa e berretto tutti uguali.

Al secondo piano c’era la parte scuola (aule per le classi e aula studio) mentre il primo piano era nella disponibilità dei preti e dei coadiutori (ma forse era il contrario, scherzi della memoria). Al  piano terra c’erano gli uffici del consigliere (l’addetto alla disciplina e al controllo del rispetto delle regole), del prefetto (un incrocio tra l’economo e il vicedirettore), del direttore, il parlatorio (con le poltrone e i divani di velluto) e il refettorio.

Un locale molto particolare era l’aula studio: un lungo corridoio con i banchi disposti a destra e a sinistra contro le pareti. I banchi erano individuali, verniciati di nero e con un piano d’appoggio incernierato sul davanti che chiudeva uno scomparto in cui tenevamo i libri. Il piano incernierato consentiva di nasconderci la testa e farci un po’ gli affari nostri nelle lunghe e interminabili ore dello studio pomeridiano. Io ci tenevo anche i flaconcini vuoti degli antibiotici (recuperati in infermeria) e, dopo aver tolto l’etichetta e liberato il tappo in gomma, ci mettevo le mosche che catturavo al volo e mi divertivo ad osservarne il comportamento, un po’ per sadismo, un po’ per spirito sperimentale.

Il refettorio era arredato con panche e lunghi tavoli che avevano degli scomparti al posto dei cassetti. Ci tenevamo i viveri di scorta (le arance, i salamini e la pasta d’acciughe nel mio caso) e il tovagliolo. Su uno dei due lati lunghi c’erano i banconi di collegamento con le cucine da cui ci servivano e, al centro del locale, un piedistallo rialzato dove, durante il pasto, uno di noi, a turno, leggeva qualche libro di avventura o di edificazione (tipo la  vita di San Domenico Savio).

Domenico Savio e San Luigi erano i due modelli di gioventù proposti con tutti gli annessi e connessi sulla castità che non capivo molto bene, del tipo loro non guardavano il pisello neanche quando facevano la pipì e a me sfuggivano le ragioni. C’era, seguendo l’insegnamento di don Bosco, una autentica ossessione per il sesso che aleggiava come problema, ma non veniva mai nominato. Ricordo che in II media venni ripreso da uno dei preti perché mi ero toccato la zona dei genitali. Avevo un po’ di prurito ma venni rimproverato senza capir bene il perché. Il mangiare non era entusiasmante, ma si sopravviveva anche grazie alle scorte alimentari che arrivavano da casa.

Era molto diffusa la pratica di scrivere alle aziende alimentari per farsi mandare dei campioni omaggio e lo facevamo in modo sistematico con l’Ovomaltina.<

La fissa della massoneria e le molestie sessuali di inizio novecento

Piccoli Martiri di Eugenio Pilla (1895-1969) prete e scrittore salesiano autore di ben 300 volumi

Delle letture mi è rimasto impresso il romanzo Piccoli martiri una storia scritta negli anni 40 da un salesiano fissato con la massoneria. Due bambini venivano rapiti dai massoni per educarli alla lotta contro Dio, … Dice la descrizione:”Racconta le avventure di due fanciulli buonissimi e piissimi caduti nelle mani di adulti incredibilmente cattivi, in quanto atei empi e massoni.”

Questa della massoneria era una idea fissa che si ritrovava anche nei libri di preghiere, insieme alla pericolosità dei protestanti (!?!) e credo si trattasse di un retaggio delle difficoltà di don Bosco a Torino nei rapporti con lo stato liberale. A distanza di anni mi sono chiesto come mai avessero questa fissa, visto che eravamo in piena guerra fredda e dunque c’erano tanti altri esempi di senzadio ben più importanti nella Italia del dopoguerra di quanto non fossero i massoni.

pertini

Sandro Pertini, il secondo da destra in piedi, interno al Collegio don Bosco nel 1907 (archivio Varagine) – il quinto è il fratello Eugenio morto nel 45 nel campo di concentramento nazista di Flossenbürg

Ho cercato di capire e ho trovato in rete due episodi in cui il collegio venne coinvolto, uno a fine 800 e l’altro, molto più grave, nel primo decennio del 900. In entrambi i casi si trattava di atti di libidine verso minori in cui erano coinvolti preti e laici; entrambi si conclusero con delle condanne ed entrambi finirono nel dimenticatoio, ma evidentemente rimase una netta ostilità nei confronti dello stato laico-liberale anticlericale e massone. In particolare nelle reazioni clericali di allora si sottolineava come lo scandalo del 1907 fosse stato ordito dalla massoneria francese. In quell’anno, tra gli alunni interni, c’era anche Sandro Pertini. Il secondo dei due scandali è ricostruito in “Pier Luigi Ferro, Messe nere sulla Riviera. Gian Piero Lucini e lo scandalo Besson, Utet, Torino 2010″ e ne trovate in rete ampi estratti.

A proposito della lettura dei libri di edificazione durante il pranzo capitò un episodio curioso a un mio compagno di classe. Stavamo tentando di imparare a fischiare con le dita e così, invece di ascoltare le vite dei santi eravamo impegnatissimi a soffiare tenendo le dita in bocca sopra la lingua o con la lingua piegata. Ci riuscì per primo Gerbi (un compagno di Cogoleto) a cui partì all’improvviso un fischio poderoso. Lui fu punito e io non ho mai imparato a fischiare con le dita, anche se in collegio imparai tutti gli altri rumori che simulano i peti e le pernacchie: quelli fatti con il palmo della mano e quelli con la mano sotto l’ascella.

la cappella e il culto

La cappella non era tanto grande, molto decorata e con una balconata sul lato corto all’ingresso: messa tutte le mattine e messa doppia (normale e cantata) la domenica.

Ho imparato molto bene a fare il chierichetto con tanto di incenso, turibolo e aspersorio e in occasione delle feste importanti si facevano le prove perché tutto doveva funzionare perfettamente (noi in abito rosso con una cotta bianca).

Mi ero fatto regalare per Natale anche due messalini tascabili rilegati e in carta india. Uno aveva le pagine dorate sul bordo, l’altro le aveva rosse. Ripetuti per 365 volte c’erano un breve riepilogo della vita del santo del giorno, i salmi e le letture per la messa (l’epistola e il vangelo). Li ho ancora in qualche scatolone in garage e mi ricordo che, con un po’ di sadismo, leggevo e rileggevo delle torture inflitte ai martiri cristiani che suscitavano in me forti emozioni (per esempio quello di santa Agata cui furono asportate le mammelle).

Ogni convittore riceveva anche un suo libretto di edificazione Il giovane provveduto, scritto da don Bosco e il cui testo, se la cosa vi incuriosisce, potete trovare qui ma ve ne dò un piccolo saggio con l’Incipit:

Due sono gli inganni principali, con cui il demonio suole allontanare i giovani dalla virtù. Il primo è far loro venir in mente che il servire al Signore consista in una vita malinconica e lontana da ogni divertimento e piacere. Non è così, giovani cari. Io voglio insegnarvi un metodo di vita cristiano che sia nel tempo stesso allegro e contento, additandovi quali siano i veri divertimenti e i veri piaceri, talché voi possiate dire col santo profeta Davide: serviamo al Signore in santa allegria: servite Domino in laetitia. Tale appunto è lo scopo di questo libretto, servire al Signore e stare sempre allegri.

L’altro inganno è la speranza di una lunga vita colla comodità di convertirsinella vecchiaia ed in punto di morte. Badate bene, miei figliuoli,molti furono in simile guisa ingannati. Chi ci assicura di venir vecchi? Uoposarebbe patteggiare colla morte che ci aspetti fino a quel tempo, ma vita emorte sono nelle mani del Signore, il quale può disporne come a lui piace.Che se Dio vi concedesse lunga vita, sentite ciò che vi dice: quella strada cheun figlio tiene in gioventù, si continua nella vecchiaia fino alla morte. Adolescens iuxta viam suam etiam cum senuerit non recedet ab ea. E vuol dire: sen oi cominciamo una buona vita ora che siamo giovani, buoni saremo negli anni avanzati, buona la nostra morte e principio di una eterna felicità. Al contrario se i vizi prenderanno possesso di noi in gioventù, per lo più continuerannoin ogni età nostra fino alla morte. Caparra troppo funesta di unainfelicissima eternità. Acciocché tale disgrazia a voi non accada vi presento un metodo di vivere breve e facile, ma sufficiente perché possiate diventare la consolazione dei vostri parenti, l’onore della patria, buoni cittadini in terra per essere poi un giorno fortunati abitatori del cielo.

Inoltre eravamo pieni di santini-reliquia ottenuti con microscopici pezzettini di stoffa, pezzetti di pelle o di ossa (quelli più pregiati) che, teoricamente, erano appartenuti a don Bosco, Domenico Savio o a qualche Beato o Servo di Dio della grande famiglia salesiana (forse quei pezzettini avevano semplicemente strusciato l’urna prima di essere messi in produzione a fini devozionali).

don Moroncelli santini

distribuzione dei santini da parte di don Moroncelli, in cappella. Io e Sandro (vestiti uguali)  appena serviti

Il colonnato del cortile era importante perché lì si scontavano le punizioni: in piedi alla colonna a guardare i compagni che giocavano, in ginocchio alla colonna e, nei casi più gravi qualche vergata sulle mani da parte del prete consigliere (addetto alla disciplina) che era anche un grande distributore di perini (i colpi in testa dati con le nocche). C’erano le regole e c’erano le punizioni ben calibrate secondo una casistica di gravità.

La giornata tipo e le regole

In prima media durante uno spettacolo teatrale

Sveglia intorno alle 6:30 – 7:00; abluzioni e messa (per poter fare la comunione a digiuno come prevedeva il diritto canonico “essere digiuni dalla mezzanotte”); prima colazione (con pane e caffelatte o cioccolata); mezz’ora di ricreazione e alle 8:30 inizio della scuola sino alle 12:30; pranzo; ricreazione per un’ora e dalle 14 alle 16 studio; merenda e ricreazione di un’ora; dalle 17:30 alle 19 studio; cena; ricreazione; preghiera della sera nel colonnato o sotto la statua di Maria Ausiliatrice a poi tutti a nanna.

In uno dei giorni della settimana la merenda consisteva in un panino con dentro una fetta di salame di cioccolato bicolore a riquadri bianchi e marroni della Ferrero.

Il signor Ferrero era un ex allievo salesiano e trattava bene, in termini di beneficienza, la grande famiglia salesiana. Aspettavamo con ansia quel giorno, invece del solito parallelepipedo di cotognata della Zuegg, della fetta di formaggio, del surrogato di cioccolato o della mortadella. Un paio di volte, in tutto l’anno, c’era la focaccia, la buonissima focaccia ligure.

Rispetto alla scansione standard della settimana c’erano due varianti, il giovedì e la domenica.

spiaggia dei bergamaschi

spiaggia dei bergamaschi (ex colonie bergamasche) nei pressi di punta Olmo oggetto di scambio di favori per la privatizzazione

Il giovedì non c’era scuola e si andava a fare lunghe passeggiate su per le colline (al bricco don Bosco, alla Guardia, al Deserto) o nelle calette lungo la costa est ai piani di Invrea (verso Cogoleto) od ovest (verso Celle e Albisola) nelle spiagge non utilizzate delle colonie estive o del Cottolengo, incluso quella al centro dello scandalo che ha visto coinvolto il presidente di Regione Liguria Toti. Le colonie bergamasche, con un edificio molto grande, erano famose per aver ospitato, durante la guerra un ospedale militare in cui convergevano i feriri per ciura e convalescenza.

Se la passeggiata era lunga si pranzava al sacco. Il Collegio era posto all’inizio della collina verso la frazione Cantalupo e le escursioni in collina incominciavano sempre da lì con la salita verso i piani di Cantalupo: uliveti e poi bosco misto di pini. Passavamo sotto i cantieri dell’autostrada Genova Ventimiglia, che era in costruzione, e ricordo quei piloni grandi e altissimi, visti da sotto. Qualche volta risalivamo il corso del Teiro, il fiume torrente di Varazze che nasce dal monte Beigua. Trannne nella parte finale con segni di inquinamento dovuti alle atività industriali e artigianali (tra cui una conceria) l’acqua era abbastanza pulita. Il tratto finale del torrente è stato coperto nel 1960 ma allora il corso era tutto libero sino alla foce.

L’altra variante riguardava la domenica: non c’era scuola; la mattina c’erano due messe intervallate dalla ricreazione e dopo pranzo, arrivati in sala studio, venivano letti ad alta voce (dal consigliere) i voti della condotta settimanale. Chi prendeva 7 meno, o peggio, rimaneva in sala studio mentre gli altri andavano al cinema. Non ho mai preso 7 meno, ma neanche 10. Comunque, per i più discoli, il rito aveva la sua suspence e una funzione deterrente. Dei film della domenica ricordo di avere visto Fantasia di Walt Disney e Sono un agente FBI con James Stewart che mi aveva colpito molto.

Le ore di lezione era poche. Giustamente si puntava molto sullo studio personale con un numero di ore pari a quelle di lezione ed erano poche anche le materie (lettere, incluso il latino), matematica, francese, religione, ginnastica.

Collegio Don Bosco classe II B anno 1957-58 – il secondo da destra in prima fila è mio fratello Sandro, oltre a don Moroncelli riconosco molti visi, ma i cognomi sono svaniti

I compagni di classe venivano dalle diverse località del nord Italia ed erano di classi sociali diverse. Estrazione popolare in quelli dalle province di Savona e di Genova, di solito con la presenza di casi sociali che noi intuivamo dalla scarsa o inesistente presenza dei genitori. Qualcuno prima di arrivare in collegio aveva fatto l’esperienza della Garaventa.

Piccola borghesia e borghesia per i provenienti dall’Emilia e dalla Lombardia. Ricordo qualche cognome: Bortolotti, Canepa, Cabrini, Cortesi, Gerbi, Quaglia, Resnati, Rossi, Simonitti.

Cortesi, che aveva un porro sul naso, lo chiamavamo NASA e mi viene da dire che eravamo proprio cretini. Guardavamo con un particolare rispetto Cabrini, che veniva dal lodigiano, perché una sua prozia, con lo stesso cognome, aveva in corso la causa di beatificazione.

Nella foto di gruppo dell’anno 57/58 c’è la seconda media di mio fratello Sandro (il secondo da destra della prima fila) e, come si vede dalla statura dei marcantoni che stanno a fianco di don Goffredo Moroncelli non si può dire che avessero tutti la stessa età (e anche questo era un aspetto tipico di un collegio).

Per degli adolescenti, lontani da casa, le regole erano eccessivamente rigide. Quando la domenica venivano a trovarti i genitori, comunque non si poteva uscire dal Collegio. O si stava in parlatorio (un locale subito a sinistra dell’ingresso) o, al più, si poteva stare in cortile e camminare sotto il portico. L’uscita all’esterno era consentita solo nel giorno di San Giuseppe (il 19 marzo) per assistere al passaggio della Milano Sanremo lungo l’Aurelia.

mamma e papà

mamma è papà nel 1957 in occasione di una visita al Collegio

La mamma veniva a trovarci in treno ogni due o tre settimane, qualche volta in macchina con il papà e si comunicava per lettera. In famiglia, negli anni successivi, si scherzava sulle mie lettere eccessivamente laconiche: qui tutto bene, portami le arance, il salamino e la pasta d’acciughe. Sembra che, allora, la sintesi fosse il mio forte.

Si tornava a casa solo per le vacanze (incluse quelle di Natale e Pasqua). Ci fu una eccezione per l’epidemia di influenza asiatica nel novembre del 57. L’intero collegio era ko e dunque fu consentito alle famiglie di portarsi i figli a casa. Venne a prenderci l’autista della ditta, Stefano Mariani, con la mamma sulla 1100 famigliare. Fu abbassato il sedile posteriore, messo un materasso e delle coperte e così, con la febbre alta, ce ne tornammo a casa per qualche giorno.

Avevamo a disposizione qualche soldo lasciato dai genitori presso il Consigliere che teneva la contabilità di ognuno e anticipava i contanti. Li usavamo per acquistare, durante la ricreazione, le caramelle della Elah vendute da uno dei coadiutori che girava nel porticato con una specie di banchetto in legno tenuto a tracolla. In quel periodo ho mangiato una quantità enorme di mou latte-menta e crem-liquerizia.

Quando volevamo risparmiare andavamo in infermeria, da Celestino, e ci facevamo dare il Formitrol, delle pasticche acidule e disinfettanti abbastanza gradevoli. Se il mal di gola era vero ti davano anche le pastigliette di clorato di potassio da lasciar sciogliere in gola, ma noi le mettavamo da parte e quando ce n’erano a sufficienza le macinavamo. Qualcuno dei genovesi si faceva portare lo zolfo; si mischiava e bastava mettere un po’ di quella polverina tra due cubetti di porfido, metterci un piede sopra e con l’altro dare una bella botta laterale. Venivano esplosioni molto più potenti di quelle fatte con i petardi.

Le figure di riferimento

bricco don Bosco

immagine archivio Varagine – inaugurazione cappella al Bricco don Bosco – collaboratori ed ex alunni – in piedi da sinistra don Morelllo, don Moroncelli, don Maffeis, ingegner Nocelli

Al primo posto ci metto don Arturo Morello. Era il prefetto del Collegio (cioè una delle due autorità insieme al direttore) e fu il mio professore di lettere  per tre anni. L’ultima notizia che ho trovato su di lui è del 98 e riguarda la celebrazione di 60 anni di presenza tra i salesiani; ed era ancora a Varazze.

Era originario di Ivrea, una persona pacata e con un bel sorriso. Con lui abbiamo studiato l’Iliade e l’Odissea in maniera assolutamente piacevole e lo stesso si può dire per il latino: in prima, analisi logica e declinazioni, in seconda grammatica e sintassi e in terza autori (Giulio Cesare, Ovidio e Catullo) compresa un po’ di lettura metrica della poesia. Grazie a lui ho iniziato a leggere romanzi con una certa sistematicità; a quei tempi prevalentemente cose di cappa e spada e qualche romanzo ambientato ai tempi della rivoluzione francese (che veniva vista non esattamente bene).

Il professore di Matematica era un laico, probabilmente un terziario salesiano oltre che scout, l’ingegner Nocelli, una persona mitica tra gli ex alunni del Collegio; Varazze gli ha intitolato una via. Mi ha dato una buona preparazione sino alle equazioni di primo grado ma ci ha anche insegnato ad applicarle alla risoluzione di problemi. Non ricordo con chi facessimo francese e religione.

Poi c’era don Goffredo Moroncelli, con quel faccione pacioso e sorridente, assomigliava un po’ ad Oliver Hardy. Era così, un uomo buono che teneva nelle sue mani tutta la baracca del Collegio che diresse per qualche decina d’anni sino alla morte nel 71. Oltre che fare il direttore insegnava lettere ed è stato il professore di mio fratello. Nella foto c’è anche don Maffeis, il consigliere, quello addetto alle punizioni.

autobiografia di don Ricciarelli

Mio cugino Enzo ha avuto come docente di riferimento don Pier Luigi Ricciarelli (don Gigi) un toscano, biondo e giovane che seguiva l’oratorio. Poi, nel 62, se ne andò a fare il missionario nelle Filippine. Non era contento di dove l’avessero mandato; ebbe dei ripensamenti, si spretò, si sposò e tornò nelle Filippine per opporsi alla dittatura di Marcos. Venne imprigionato e ha scritto una autobiografia.

I nostri riferimenti erano gli uomini in carne ed ossa, e cioè questi preti che amavano stare a contatto con i giovani, ma i salesiani tendevano a farti assimilare il punto di vista di don Bosco: importanza della scuola, attenzione ai giovani e disponibilità nei loro confronti, diffidenza nei confronti dello stato.

Ho già detto della fissa della massoneria; aggiungo le cose che ci dissero contro Garibaldi, Mazzini e gli eroi del risorgimento, assimilati a dei banditi in quanto nemici del Papa. Queste cose le dicevano a voce ma, ovviamente, trattandosi di una scuola parificata, non stavano scritte sul libro di storia che pure era edito dalla SEI la loro casa editrice.

A fine anno venivano premiati con medaglia e diploma il I, II e III classificato per profitto, religione e condotta. Ne ho prese un bel po’ (anche d’oro) sui primi due fronti, mai per la condotta perchè, senza strafare, sembra che fossi piuttosto vivace.

L’equivalente della Azione Cattolica tra i Salesiani erano le compagnie (ricordo quella di San Luigi, del Santissimo Sacramento  e dell’Immacolata). Erano una cosa ad adesione volontaria e mi è capitato di dirigerne qualcuna. Una esperienza utile per apprendere come si organizza qualcosa o come si prepara una riunione tra persone.

Una cosa che ho fatto regolarmente per 4 anni e che poi mi è servita nella vita sono stati gli esercizi spirituali (della durata di tre giorni) che prevedevano ogni giorno due prediche (la meditazione e la contemplazione, ma forse la seconda aveva un altro nome) intervallate da periodi di silenzio in cui si doveva riflettere sugli spunti che erano stati forniti.

Erano strutturati sul modello di Ignazio di Loyola, che li aveva inventati. Le prediche erano tenute da preti venuti da fuori. Buttavi giù qualche idea, prendevi qualche appunto, ma soprattutto imparavi a riflettere e in questo lavoro era fondamentale il ruolo del silenzio. Ci ho ripensato scrivendo queste note: il silenzio mi piace, aiuta a pensare e, dopo che negli esercizi spirituali, da grande l’ho praticato facendo sci da fondo, escursionismo in alta quota e ora nelle lunghe uscite in Mountain bike tra i boschi della Toscana.

La parentesi del noviziato di Novi Ligure

Alla fine della seconda media ho avuto una crisi mistica. In uno slancio di generosità e di adesione allo spirito salesiano decisi che volevo diventare salesiano. Ero influenzato dalla lettura del bollettino salesiano che parlava delle missioni in America Latina (in particolare in Patagonia e nella foresta amazzonica).e dallo spirito di aiuto verso i giovani che si traduceva nella miriade di scuole professionali e di mestiere inaugurate da don Bosco e sviluppate dai successori. Si vede che la storia di fare il professore da grande ce l’avevo nel DNA.

Ne parlai alla mamma in una delle visite e poi con don Morello e don Moroncelli. Si decise che avrei provato. All’inizio della terza sarei andato a Novi Ligure dove c’era un pre-noviziato salesiano. Il noviziato salesiano era il momento in cui si indossava la tonaca nera e si iniziava il percorso per diventare prete salesiano. Negli anni 50 era molto diffusa, anche per il clero secolare, l’abitudine, da parte delle famiglie contadine e povere, di mandare i propri figli in pre-seminario. O la va … e ci ritroviamo un figlio prete o se non va, torna che ha studiato e comunque non è stato di peso a casa.

il collegio di Novi Ligure

Il pre-noviziato salesiano di Novi Ligure

Il pre-noviziato di Novi era pensato per scoraggiare quella pratica; era pieno di figli di povera gente che facevano le medie gratis; si stava molto meno bene che a Varazze, si mangiava male, il trattamento era piuttosto rude e poichè bisognava abituarsi al distacco, era previsto il ritorno in famiglia solo per pochi giorni a Natale e per un solo mese d’estate.

Non ricordo quasi nulla di quel periodo, tranne la progressiva sensazione che la cosa non fosse per me e così, tornato a casa per Natale ne parlai con la mamma che, dopo aver chiamato al telefono don Moroncelli organizzò le cose per farmi rientrare a Varazze. Fu la fine del mio desiderio di farmi salesiano. Ma mi è rimasta in mente la canzone di don Bosco e ogni tanto la canticchio.

|Giù dai colli un dì lontano | con la sola madre accanto |

|sei venuto a questo piano | dei tuoi sogni al dolce incanto|

|Ora, o Padre, non più solo | giù dai colli scendi ancora|

|di tuoi figli immenso stuolo | t’accompagna a tua dimora.|

|Don Bosco ritorna tra i giovani ancor, | ti chiaman frementi di gioia e d’amor.|

Nel mettere mano a questo racconto ho cercato di capire come siamo messi oggi partendo dalla visione tridimensionale che si ottiene grazie a Google Maps.

Tristezza. La via san Francesco, una via stretta con accciottolato da cui si saliva verso Cantalupo per arrivare al Collegio e poi al convento dei Capuccini c’è ancora nel senso che una via porta il suo nome e lì sotto, con andamento parallelo alla costa c’è persino una via intitolata all’ingegner Nocelli. Ma la collina è una sequela di residence, condomini, scuole, case e l’edificio del Collegio ha cambiato aspetto.

E’ riconoscibile la zona dell’oratorio, ma i Salesiani non ci sono più, se ne sono andati da qualche anno, e per Varazze è finito un pezzo della sua storia, mentre il grande edificio di quattro piani è diventato una residenza per anziani.


La pagina con l’indice della mia autobiografia da cui potete scegliere i capitoli da leggere


In rete, grazie al lavoro della associazione Varagine.it potete trovare un immenso archivio storico sulla citta di Varazze e al suo interno molte foto relative alla storia del Collegio e dell’Oratorio.