Speranze: Paolo Rossi

Ha senso sperare? Ma soprattutto si può sperare rimanendo esseri razionali.

Speranze (2008) di Paolo Rossi (accademico dei Lincei e professore emerito all'Università di Firenze), è diviso in tre parti secondo lo schema tesi, antitesi, sintesi: senza speranze, smisurate speranze, ragionevoli speranze. Il suo punto di vista è quello di una persona pragmatica, che non segue le mode del momento.

Paolo Rossi è stato il padre degli studi italiani di storia della scienza. Si è laureato con Eugenio Garin nel 1946 e poi è stato per molti anni assistente di Antonio Banfi a Milano. E' notissimo per "I filosofi e le macchine" ma il suo primo libro che ho letto (e che ho tenuto in gran conto scrivendo il mio corso di fisica) è stato "La nascita della scienza moderna in Europa, Roma, Laterza, 1997".

Speranze lo ha scritto qualche anno prima di morire ed è una specie di bilancio intellettuale intorno ai temi del progresso, dei fallimenti del 900, della storia del comunismo.

Scrisse Norberto Bobbio: «Fuori dall’Occidente. Ma per andare dove?». E continuava: si possono mettere in luce soltanto gli aspetti negativi di una civiltà entro la quale è stata non solo progettata, ma anche, se pure imperfettamente, attuata una società aperta e pluralistica nella quale è possibile risolvere i contrasti senza ricorso alla violenza? Se è vero che la storia non si fa con i se, è altrettanto vero che non si fa con gli aut-aut. Inoltre la formula uscire dall’Occidente non serve a nulla. Così come non serve a nulla il richiamo di Asor Rosa ad una «riforma interiore». L’atteggiamento apocalittico non vede altra via d’uscita che il trionfo di tutto Male o il trionfo di tutto il Bene. La storia è invece un intreccio di bene e di male o, peggio, di atti che vengono giudicati da alcuni buoni, da altri malvagi. Non sarebbe ora di rinunciare alle grida di speranza o di disperazione dei profeti?

Già, le mode del momento. Il primo punto fermo di Paolo Rossi è quello di una laicità consapevole moderata da un sano relativismo che entra in contrasto con le tesi di Benedetto XVI. A proposito chissa cosa pensa Paolo Rossi delle posizioni certamente più relativiste di papa Francesco?

Non so se il Pontefice – notoriamente impegnato in una battaglia filosofica contro il relativismo – ritenga che «possedere tutte le risposte» sia illecito e pericoloso in politica e invece auspicabile e benefico nel caso della religione (o di una fra le religioni). Resta comunque vero che la convinzione di possedere tutte le risposte è davvero mortalmente pericolosa perché non lascia alcuno spazio al futuro, rende immobile la vita intellettuale, cancella tutte le nuove domande, trasforma ogni divergenza in una colpa e ogni disaccordo in un pericolo da eliminare. Si può invece credere che le domande siano altrettanto importanti delle risposte, che la varietà delle opinioni appartenga al mondo della fisiologia e non a quello della patologia e che la molteplicità delle opinioni sia di conseguenza un bene da difendere e non un male da estirpare.

Il brano che segue mi ha fatto venire in mente le recenti vicende di Ie suis Charlie. Dobbiamo far finta di essere persiani in visita a Parigi e renderci conto come amava dire Popper magari io ho torto e tu hai ragione e se impariamo a confrontarci la situazione non potrà che migliorare.

la civiltà alla quale apparteniamo non è né un’unità indifferenziata né una totalità omogenea. In essa si sono svolte e si svolgono alienazioni e lotte per la libertà, cedimenti morali e combattimenti per la verità, conformismi e ribellioni, gesti inconsulti e pacate discussioni, mistificazioni e analisi lucide. In essa hanno trovato posto sia il colonialismo sia il relativismo culturale, sia il razzismo e i pogrom e la Shoa sia l’affermazione dell’equivalenza delle culture e del relativismo culturale. Dentro le società che l’Occidente ha costruito sono nati gli ideali della tolleranza e della limitazione alla violenza, si è anche affacciata – forse per la prima volta nella storia del mondo – l’idea che era necessario abbandonare l’opinione che i diversi da noi fossero semplicemente barbari, che era addirittura possibile (come fece Montesquieu nel 1721) tentare di guardarsi dal di fuori, far finta di essere persiani in visita a Parigi, che era addirittura possibile (come molti pensarono degli indigeni americani o dei cinesi) che gli altri potessero essere migliori di noi.

Se impariamo ad osservare le cose dal punto di vista storico ci faremo una sana vaccinazione antiassolutista. Va tutto male, non cambia mai nulla?

Nei modi della vita materiale delle campagne italiane, ci sono stati più cambiamenti in questi ultimi cinquant’anni che negli ultimi mille. Tutti coloro che ricordano gli anni dell’anteguerra e della guerra sono vissuti in un mondo che ai giovani di oggi è per intero sconosciuto… Quando mi sono iscritto all’università, la stragrande maggioranza dei mezzadri dell’Italia centrale non aveva il gabinetto in casa, andava a prendersi l’acqua (per la famiglia e per le bestie) in un pozzo distante anche un centinaio di metri da casa, mangiava carne solo nei giorni di festa. I bambini, che abitavano case riscaldate solo con un caminetto, non andavano a scuola accompagnati e riaccompagnati da un pulmino, ma a piedi e in molte zone di collina (anche dell’Italia centrale) quei piedi (provvisti di zoccoli nell’inverno) erano scalzi. Il mondo dei contadini era limitato a pochi chilometri attorno alla casa.

Ci riflettevo l'altro giorno dopo aver visto un servizio su un carcere italiano dove, per effetto del sovraffollamento, diceva un detenuto, ogni tanto l'acqua della doccia è fredda e bisogna aspettare. Ma a militare, nel 1970 le camerate del Veneto non erano riscaldate e si andava a dormire con il passamontagna per evitare il mal di denti e anche adesso, a casa mia, visto che ho messo solo un piccolo boiler elettrico, la doccia la fa uno solo e l'altro aspetta. Nel senso comune c'è una diffusa abitudine a non cogliere il senso del cambiamento; va sempre e costantemente tutto male. Nonostante l'Isis, nonostante il debito pubblico nonostante la crisi esplosa nel 2008 (quando Rossi scriveva speranze):

da sempre, questo è il più lungo periodo di pace in Europa; 500 milioni di persone in 27 paesi vivono in regimi democratici; in paesi un tempo poveri, come Portogallo, Grecia, Irlanda, si vive oggi molto meglio e in paesi ancora poveri, come Bulgaria e Romania, si vivrà presto meglio; da qualche anno l’Europa cresce più in fretta e crea più posti di lavoro dell’America; nonostante le leggende che circolano, nella burocrazia europea lavorano 24.000 dipendenti, poco più del doppio di quanti lavorano nella Rai-Tv italiana; Erasmus, il programma di scambio per giovani universitari ha vent’anni, funziona bene e coinvolge un milione e mezzo di giovani di 2.220 università; la incompatibilità della pena di morte con l’appartenenza all’Unione Europea taglia in partenza la possibilità stessa di ogni proposta di reintrodurla; nell’aprile del 2007 l’Europarlamento ha votato, praticamente all’unanimità, una risoluzione per presentare all’assemblea dell’Onu una richiesta per una moratoria universale della pena capitale.

Tra le ragionevoli speranze Paolo Rossi mette l'espansione della democrazia nel mondo contemporaneo: fra la metà degli anni Settanta e il 2005, il numero degli Stati democratici nel mondo è triplicato. Dopo il 1974 il Portogallo, e poco dopo la Spagna e poi la Grecia, divennero paesi democratici. Fra i 125 Stati che hanno vissuto un’esperienza democratica negli ultimi trent’anni, in 14 si è manifestata un’inversione di tendenza, ma 9 di questi sono tornati alla democrazia. Solo 5 dei 125 paesi (e fra questi c’è la Russia) non sono tornati ad un regime democratico. Fra il 1979 e il 1985 8 o 9 paesi dell’America Latina sono passati da governi militari a governi eletti composti da civili…. Tranne che nel Medio Oriente, vi sono governi democratici in un terzo degli Stati di ciascuna regione del mondo. Dopo aver fornito questi dati, Anthony Giddens ha scritto: «Se mi si chiedesse il motivo di questa espansione della democrazia a livello mondiale, risponderei designando semplicemente un simbolo: quello di un’antenna parabolica per la Tv satellitare». Il desiderio di essere informati sembra configurarsi come una forza irresistibile. Che potrà avere effetti esplosivi.

Già, Internet, il satellite e la civiltà della informazione come strumenti di evoluzione positiva. La disprezzata tecnologia come motore di evoluzione democratica. Ci sono i passi indietro, ci sono le decapitazioni e gli sgozzamenti trasmessi tramite la rete, ma la esistenza di una informazione diversificata e facilmente accessibile è un elemento da cui non si torna indietro e non a caso sono i regimi totalitari che cercano, senza riuscirci, di impedirne la diffusione.

Il mantenimento di una situazione pacifica richiede tre cose: in primo luogo una forte disponibilità a quei compromessi nei quali ciascuno rinuncia a qualcosa e rinuncia pertanto, già in partenza, ad una intransigenza assoluta; in secondo luogo la disponibilità alla repressione della violenza ove ad essa facciano ricorso una o entrambe le parti in conflitto; in terzo luogo l’esistenza di una forza di polizia. Possiamo ragionevolmente sperare non tanto nella pace universale, ma solo in una, due, cento, mille paci. Anche in questo caso senza illusioni e speranze eccessive. Dice Paolo Rossi che dovremo accontentarci della diffusione di una pace a macchia di leopardo. L'importante, dico io è che le macchie continuino ad aumentare.

E' necessario smettere di sperare che miracolosamente cessino gli effetti di ciò che il cristianesimo ha chiamato peccato originale, Kant «il legno storto dell’umanità», Freud pulsioni aggressive e distruttive, Edward O. Wilson aggressività animale. Bisogna imparare a diffidare di buonismo e perdonismo, a prendere le distanze dalle imperversanti forme di primitivismo, accettare che l’uomo – come concordemente affermarono sia Albert Einstein sia Sigmund Freud nel loro scambio di lettere sulla guerra – «ha entro di sé il piacere di odiare e di distruggere»

Come scriveva Primo Levi (oggi è il giorno della memoria): «Poiché è difficile distinguere i profeti veri dai falsi, è bene avere in sospetto tutti i profeti; è meglio rinunciare alle verità rivelate, anche se ci esaltano per la loro semplicità e il loro splendore, anche se le troviamo comode perché si acquistano gratis. È meglio accontentarsi di altre verità più modeste e meno entusiasmanti, quelle che si conquistano faticosamente, a poco a poco e senza scorciatoie, con lo studio, la discussione e il ragionamento, e che possono essere verificate e dimostrate».

Paolo Rossi cita Freud per invitarci ad una religione laica:  1) la scienza non ci dà e non ci può dare tutto ciò che vorremmo e che da sempre abbiamo voluto da un Dio: verità assolute e certezze indiscutibili; 2) dobbiamo accontentarci di un dio minore (chiamato Logos o ragione) che non è né onnisciente, né onnipotente e può darci solo una piccola parte delle grandi promesse legate all’immagine del Dio onnisciente e onnipotente; 3) accettando quel Dio minore, siamo anche pacatamente sicuri che il fallibile e limitato sapere che possiamo costruire non è illusorio.

Tra la grande speranza e la ragionevole speranza, meglio la seconda, quella figlia di un Dio minore: Credo, in conclusione, che senza cedere alle illusioni (o alle molte caricature di religione presenti nella filosofia del Novecento) si possa continuare a vivere con una sopportabile dose di angoscia (la quale, come è noto, affligge indistintamente tutti gli esseri umani, compresi coloro che si affidano alla Grande Speranza) e si possa anche «perseverare con ogni sobrietà giorno per giorno, senza perdere lo slancio della speranza, in un mondo che, per sua natura, è imperfetto»

In sintesi, un grande elogio della imperfezione e ricordatevi che un po' di angoscia e di solitudine caratterizzano la vita dell'uomo laico. Il libro lo trovate sia in cartaceo sia in ebook per meno di 8 euro (spesi bene).