Il rifiuto: Giuliano Toraldo di Francia

Oggi è troppo grande il pericolo di essere fraintesi, falsati, strumentalizzati. Bisogna essere facilmente classificabili in uno di quei grandi filoni ideologici, in cui l’asfissiante conformismo della nostra società vuole costretto qualsiasi discorso ed esaurita ogni personalità. Se sei sincero fino in fondo, sei votato alla gogna, perché verrà necessariamente il momento in cui dovrai dir male del Garibaldi di qualsiasi ideologia. Se sei da una parte, certe cose non potrai dirle, perché altrimenti passi dall’altra. Il tuo discorso dovrà essere pieno di compromessi, di riserve mentali, di menzogne convenute. Dovrai imparare a dire sistematicamente A per significare B. Dovrai fingere che non esistano certe cose, che invece esistono, e viceversa. Dovrai trovare naturale che da un’affermazione iniziale (magari giusta) consegua a fil di logica un’altra affermazione, che invece non ne consegue affatto. Dovrai usare con estrema sicurezza parole di assai dubbio significato, o che, addirittura, non significano proprio nulla. E così via. Tutto questo per me è insopportabile e inaccettabile.

Giuliano Toraldo di Francia (1916-2011) oltre ad essere stato un grande fisico, un grande professore è stato anche un divulgatore di alto livello. Il suo L' indagine del mondo fisico di cui trovate in questa sezione la recensione mi ha insegnato tanta fisica critica e ne ha certamente insegnata a tanti miei allievi a cui la lettura e lo studio della indagine sono state consigliate più che caldamente.

Rispetto alla Indagine (1976) il Rifiuto, considerazioni semiserie di un fisico sul mondo di oggi e di domani (1978) è un pamphlet semi disimpegnato in cui Toraldo si lascia andare, fingendo di dialogare con il suo alter Ego Geronimo ci parla di sè, della sua visione del mondo, della sua dualità (tipica di ogni fisico), persino della sua ideologia (siamo alla fine degli anni 70 e dunque esistono ancora certi valori forti che se ne sono andati insieme al crollo del comunismo).

Sono dieci capitoletti in tutto che ho letto con gusto non aprezzandoli tutti allo stesso modo perchè in questi quasi 40 anni il mondo è cambiato. Meraviglia delle meraviglie il libro si trova ancora nelle librerie in rete e costa meno di 10€.

Il capitolo di apertura (lo sfogo), in termini di sintesi è il più importante:

Rifiuto di che? Di tutto quello che abbiamo di troppo e che ci soffoca. Rifiuto di quelli che ci ostiniamo a chiamare beni, di consumo e no, e che sono per la maggior parte autentici mali. Rifiuto di tutto ciò che giorno dopo giorno ci spossessa di noi stessi. Rifiuto di ciò che questa terra non potrà mai dare a tutti. Rifiuto di ciò di cui le nostre limitate capacità c’impediscono in ogni caso di fruire.

Si tratta del fatto che ciascuno deve imparare a fare delle scelte rigorose e a rifiutare tutto ciò che non ha scelto. Sono scelte non solo di quantità, ma anche di qualità. E non è detto che si debba scegliere sempre la qualità che è giudicata di solito la migliore.

Toraldo analizza la inversione fine-strumento di cui siamo tutti vittime nella società tecnologica non parla di Internet o della informazione della rete che nel 78 non esistevano ma dimostra di vedere lungo.

Ciò che doveva solo arricchirci e farci crescere, comincia invece a impoverirci e a schiacciarci. I beni culturali non sfuggono alla legge di saturazione delle capacità (capacità intesa nel senso di possibilità di accogliere o contenere). Non vi è aspetto della vita materiale e intellettuale dell’uomo, nel quale la capacità dell'uomo non possa essere saturata. Al di qua della saturazione vi è potenziamento, al di là vi è distruzione dell’uomo. Per questa ragione occorrono il rifiuto consapevole e l'educazione alla autoeducazione; rifiuto e non rinuncia; Toraldo è per la opposizione attiva e nei diversi capitoli descrive persone vere come icone della sudditanza.

Ne La fine del neolitico Toraldo sostiene che occorre una svolta radicale a causa della avvenuta saturazione delle capacità dell'individuo e da quella dell'ambiente terrestre: Chi, sorvolando il nostro paese, in particolare la pianura padana, non è stato assalito da un senso di angoscia? L’Italia è tutta una sola città, interrotta solo da alcune montagne sassose! E l’angoscia si raddoppia quando si ascoltano gli economisti che vorrebbero un aumento minimo della produzione del 4 per cento all’anno. Ma lo sanno che questo significa un’esponenziale e quindi un’esplosione? Lo sanno che cosa significa un’esplosione in un ambiente chiuso? Smettiamola con queste tragiche buffonate prima che sia troppo tardi. Cerchiamo altre vie. Ma forse è già troppo tardi.

Il buio e la candela tratta dei limiti della ragione e della scienza ed è una sorta di dialogo tra Toraldo che didende la razionalità e Geronimo che obietta: Di solito chi attacca la razionalità, parte col criticare un cadavere. Se la rifa con un certo trionfalismo illuministico, che è morto e sotterrato nella coscienza di tutte le persone colte. Nessuno più pretende d’innalzare altari alla Dea Ragione. La ragione, lo sappiamo bene, non è divina; è umana (e quanto umana, grazie a Dio!) Non è forse un grosso faro e certo non illumina tutto. Ma anche se è una fioca candela, la cosa più stolta e infantile che possiamo fare è spengerla e piombare nelle tenebre. Il riferimento è ad un episodio infantile in cui Toraldo racconta della sua scoperta dell'oscurantismo.

Fausto Romini è un ricco e tipico intellettuale di sinistra di quelli che si fanno dare del tu dalla servitù, che vivono in campagna e sono costretti a recintare la proprietà per difendersi dai gitanti della domenica. Fausto rimane sconvolto quando Giuliano se ne va e scopre che è arrivato con i mezzi pubblici.

Eh ci vuol pazienza. Io avevo voluto evitarlo fino all’ultimo. Ma non c’è niente da fare, bisognerà mettere il filo spinato. Ci costringono a farlo. A Pescarino, da che ho messo i pezzi di vetro in cima al muro, non ci sono più stati questi inconvenienti. Ma è molto spiacevole, quasi mi ripugna. In fondo bisogna comprenderli questi poveri diavoli domenicali. Pensa che il primo prato libero su cui possono distendersi è a dieci chilometri da qui. Io qui lascerei anche tutto aperto. Ma sono così incivili…
  —    Non è colpa loro, è colpa del sistema, — osserva la Dora.
  —    Certo, non c’è dubbio. Ma il fatto è che lasciano dappertutto sacchetti, piatti e bicchieri di plastica* Tutta roba non biodegradabile.
  —    Ma se metti il filo spinato, — intervengo io, — quelli andranno a sporcare il campo a dieci chilometri da qui. Non è lo stesso?
  Romini mi guarda stupito:
  —    Eh no che non è lo stesso! Questa è casa mia.

Ci ho orinato io: è mio. Il titolo è provocatorio e rimanda al fatto che in certi comportamenti siamo simili al cane che alza la zampetta per marcare il suo territorio. Dopo aver incontrato Romini, Toraldo e Geronimo riflettono sulla proprietà a partire da quella della abitazione su cui Romini aveva fatto i soliti discorsi da archiettto di sinistra.
In una parte non trascurabile, anche se minoritaria, del mondo, precisamente nella parte tecnologicamente avanzata, si sta facendo strada l’idea; che ogni cittadino dovrebbe avere diritto alla sua casa. Ma nella nostra coscienza è sempre più chiaro che anche l'altra parte del mondo ha gli stessi diritti. Fra l’altro li pretende o li pretenderà ben presto.
Ebbene, qualcuno si è dato la pena di fare i conti, di vedere se sulla terra c’è spazio sufficiente per qualche miliardo di case? Ben inteso, lo spazio occupato da una casa non è solo quello della sua cubatura. Ci vogliono i servizi, le strade, i trasporti. No, lo spazio non c’è; nel migliore dei casi l’umanità è condannata ai palazzi alveare, ai casermoni, ai contenitori di uomini
In questo capitolo Toraldo sostiene una tesi che se negli anni 70 faceva discutere oggi a noi, beati usufruttuari della civiltà occidentale, appare fuori dalla storia: Attribuisco molta importanza al rifiuto individuale della proprietà. La proprietà deve tramontare come bene desiderabile nella coscienza dei più avveduti. La si deve smascherare per quello che è, cioè per un greve impedimento alla realizzazione della nostra umanità che è e deve essere soprattutto sociale. La si deve analizzare chiaramente come retaggio di tempi aurorali, ormai tramontati, nei quali la garanzia della sopravvivenza si affidava anche a tabu e proprietà magiche delle cose. La si deve comprendere in tutta la sua inutilità. Allora e soltanto allora la legge potrà vietarla con successo.

L'argomentazione è molto stringente e non riguarda tanto o solo i beni di consumo ma si estende al concetto di stato-nazione e guarda ai problemi del pianeta Terra: parlare di diritto sacrosanto è assurdo. Le risorse della terra sono limitate e non possono non appartenere a tutti. Ci sono volute centinaia di milioni di anni per accumularle. Sentenziare che appartengono a quel popolo effimero che ci passa sopra nel 1978 è una mostruosa ridicolaggine. Già la stessa logica e gli stessi appetiti si sono scatenati per il possesso degli oceani e del loro fondo. Guai se non cogliamo l’occasione per metterci d’accordo almeno su quello e per iniziare di li una convivenza più giusta e razionale!

Il dono del diavolo è l'automobile e ne veniamo a conoscenza attraverso un dialogo tra il Dio misericordiosoe san Pietro. Provo una vera stretta al cuore quando, passando dinanzi all’entrata di una scuola all’ora giusta, vedo i ragazzi (alcuni dei quali, magari, abitano a cinquecento metri) regolarmente accompagnati e ripresi in macchina dai provvidi genitori. Come faccio a non ricordare che una parte non trascurabile della mia cultura e socialità infantile si è sviluppata quando, giorno dopo giorno, uscivo correndo dalla scuola e facevo un tratto di strada verso casa con i compagni più cari? Da che cosa potranno essere sostituite quelle occasioni preziose? Dal sedere immusonito sul sedile posteriore di una macchina guidata da un padre o da una madre assorti nelle loro preoccupazioni?

Ma l'automobile è un mezzo e un mito. Può essere una prospettiva per l'umanità? Facciamo un conticino. Mettiamo due miliardi di automobili in fila, che corrono su una stessa strada alla distanza di sicurezza di cinquanta metri l’una dall’altra. Quanto deve essere lunga la strada? Cento milioni di chilometri. Se cominciamo dall’equatore e pensiamo la strada avvolta a spirale lungo i paralleli fino al polo, la strada taglierebbe uno stesso meridiano a intervalli regolari di solo due chilometri e mezzo! E questo facendo conto che la strada passi anche sugli oceani, che come si sa, sono di gran lunga più vasti delle terre emerse. Vogliamo ridurre la terra a un’unica pista? Chi non è scosso da questi ragionamenti, vada a vedere Los Angeles. La città in senso proprio non esiste: esiste un intrico di autostrade, che copre qualche migliaio di chilometri quadrati. Se non rimane atterrito, vuol dire che si merita il futuro mostruoso che ci attende, se non cambiamo subito rotta.

C'è l'avvocato Bosetti, vero parvenù, già di sinistra, che possiede un 12 metri e che esprime tutte le scempiaggini del senso comune. Non penserà mica che io batta una bandiera ombra! In realtà questa barca non è mia. È di una ditta marocchina a cui dò assistenza legale per gli affari che ha in Italia. Il proprietario della ditta è sempre molto occupato e mi presta la barca per lunghi periodi. Non si esce dal porto se non in via eccezioneale per non perdere il posto ma si fa vita di relazione: il prete che la conta giusta alle femministe, un vecchio pescatore, le chiacchiere da porto, la messa.

E la galleria personaggi continua …. sino all'inno alla gioia. Buona lettura