Marchionne: una voce fuori dal coro

Ricevo dalla segreteria dell’onorevole Alessia Mosca, già giovane sostenitrice di Enrico Letta alla segreteria del PD ai tempi di Veltroni,  un comunicato che non dice le solite cose e pertanto lo ripubblico volontieri.

Sulla questione Fiat e sulle dichiarazioni di ieri di Sergio Marchionne ci stiamo azzuffando tutti sul dito senza trovare il tempo (e la lucidità) di guardare bene la Luna che quel dito ci indica. Se e quando, soprattutto dentro il centrosinistra, riusciremo per un attimo a non cadere nel tranello dello scontro ideologico, ci accorgeremo che – anche al di là del dettaglio delle scelte organizzative dell’azienda (che ovviamente sono cruciali, ma che sono solo una parte della questione di cui si sta discutendo) e del registro al solito provocatorio con cui Marchionne esprime il suo pensiero – le posizioni assunte dall’ad di Fiat contengono una parte di verità.
La luna che egli ci invita, a suo modo, a guardare è, infatti, purtroppo una realtà concreta e inconfutabile: l’Italia è al 118esimo posto su 139 per efficienza del lavoro e al 48esimo posto per la competitività del sistema industriale. In più, come Marchionne ammette, se negli ultimi anni l’Italia non ha saputo reggere il passo degli altri paesi non è certo colpa dei lavoratori, che lui stesso riconosce beneficiari di stipendi ben al di sotto della media europea. Più che un affronto, le parole di Marchionne andrebbero accolte come una sfida, che il governo, per mancanza di volontà e perche distratto da questioni che non dovrebbero essere in cima all’agenda politica specie in questi tempi di crisi, non sta raccogliendo.
Una sfida che invece il PD ha il dovere di raccogliere e rilanciare soprattutto se, come noi auspichiamo, il nostro obiettivo è rappresentato da un modello di società più giusta e più competitiva. Allora, serve o no al Paese una cura di cavallo per recuperare competitività? Abbiamo o no bisogno di una nuova politica industriale e di un nuovo modello della rappresentanza delle parti sociali in grado di garantire vecchi e nuovi diritti ma anche che la democrazia non sfoci in un potere sistematico di ricatto da parte delle minoranze? Quanto, in questa partita, conta la credibilità delle istituzioni – sì proprio dello Stato – come veicolo non di condizionamento dei processi economici ma di pungolo dello sviluppo e dell’equità sociale?
Ovviamente la sfida riguarda tutti: governo e opposizioni, sindacati e impresa. E ovviamente riguarda anzitutto il primo gruppo nazionale. La Fiat è nella storia d’Italia: ha fatto tanto per il Paese e tanto ha ricevuto: dai consumatori, dai contribuenti e dallo Stato. E il tanto lo ha ricevuto in epoche in cui – ammettiamolo – era anche interesse di tutto il sistema che così andassero le cose. Ora è però giunto il momento, con quanti credono ancora nella nostra possibilità di tornare a crescere in un ercato globale sempre più competitivo e agguerrito, che partecipi al progetto di rilancio del Paese, cominciando con la presentazione dell’annunciato piano Fabbrica Italia: Marchionne ha l’occasione di mostrare con i fatti che c’e ancora la speranza di risollevarsi e che vuole impegnarsi per superare, confrontandosi con tutti anche con quelli che non concordano integralmente con la sua analisi, quei problemi che opportunamente mette in rilievo.