La morte di Carlo Lizzani

Tutti i filmati che ho visto ce lo mostrano distinto e lucido. Ho visto anche oggi una bella intervista di Cinzia Tani su Rai Storia.

Sui giornali ci sono tante dichiarazioni scandalizzate del fatto che il suicidio tragico sia l'unica forma di eutanasia ammissibile in Italia. Ho letto dichiarazioni in tal senso del figlio, di Ozpetek, di Veronesi, di Franco Nero. Anche su Facebook sono comparsi dei post di rilancio della eutanasia.

Quando si suicidò Monicelli si trattò della scelta di un uomo malato di cancro, molto anziano e che non se la sentiva di spegnersi pian piano e nella sofferenza. Non fu così nel caso di Lucio Magri colpito dal mal di vivere che prese la decisione di andare a morire in Svizzera facendosi accompagnare da qualcuno dei padri fondatori del Manifesto.

E Lizzani? I vicini dicono che era affaticato; si parla di una moglie malata, di una vita in mano alla badante. Mi è venuto in mente il volo nella tromba delle scale di Primo Levi.

Questi aspetti (e cioè la solitudine) per uno dei grandi maestri del cinema italiano mi impressionano di più del mancato diritto alla eutanasia. Dice Veronesi che la vita è un diritto e non un dovere; e ha ragione ma trovo che in questa società manchi ormai il morire bene che esisteva nella società contadina quando il vecchio moriva nel suo letto con intorno chi gli voleva bene.

Il suicidio assistito che concepisco è quello che è rappresentato in Le invasioni barbariche morire bene e circondati da chi ti vuole e ti ha voluto bene. Poiché a Lizzani non mancavano certamente i mezzi per un viaggio senza ritorno in Svizzera, è questo aspetto di solitudine che mi impressiona nella sua morte.