Una notte ho sognato che parlavi – Gianluca Nicoletti

Sapevo della esistenza di questo libro perché in occasione della sua uscita, Gianluca Nicoletti, lo storico conduttore di Melog su Radio24, fu ospite di numerose trasmissioni televisive e in più d'una si è presentato in compagnia del figlio per mostrare alla gente com'è (dal vero e in diretta) un figlio autistico.

Lo spunto per leggerlo mi è stato dato dalla vicenda di Mugnano che mi ha indotto a rileggere L'Iguana non vuole, il libro di Nicoletti e a cercare in rete un po' di materiale da mettere a disposizione dei docenti. Il materiale lo trovate qui e sono gli atti di una interessante giornata di studio tenutasi a Cuneo. C'è molta roba, compreso quello che si può, si deve e non si deve fare quando si lavora a scuola con un autistico. Scarica L'integrazione scolastica dell'allievo con autismo e i materiali proposti dal professor Cottini dell'Università di Udine.

Nicoletti è un personaggio che un po' si ama e un po' si detesta; dico subito che scrive come parla. Ecco un esempio:

Non riesco a simulare sentimenti che non ho provato, provengo da una famiglia d’origine onorevolmente anaffettiva e mi ero rassegnato più che altro a subire la volontà muliebre di avere figli. Non mi si venga a dire che la paternità è un istinto; magari può maturare una certa riconoscenza per la natura quando i figli cominciano a crescere e si formano carattere e lineamenti, regalandoti quei fantastici baluginii di déjà vu che ti consolano al pensiero che quel quasi clone è il tuo sberleffo alla morte.

Il libro è il racconto di una vita, della scoperta in ritardo che quel bimbo che non camminava a tre anni e che non parlava era diverso e viveva in un suo mondo nel quale le nostre logiche, la nostra percezione, il nostro stile di vita non funzionano.

Trattandosi di un libro autobiografico incontriamo le mille cose che non funzionano in questa società e in questa pubblica amministrazione come la dottoressa che gli nega il perrmesso di parcheggio per portatori di handicap che non gli porge il foglio scusandosi perché mi sono appena data la crema alle mani.

Gli autistici, come capita in misura molto minore ai dislessici, hanno un difetto rispetto agli altri portatori di handicap; il loro stato non si vede e dunque appaiono strani, maleducati, … pericolosi.

Nicoletti ci spiega che da quando a 12 anni la moglie decise che era venuto il suo turno e Tommy lo adottò, la sua vita è completamente cambiata, come te la cambia un bimbo piccolo che ti assorbe completamente, ma in questo caso non hai speranze perché sai che non diventerà mai grande; è per sempre. La vita è scandita da piccoli momenti di libertà quando qualcun altro se ne fa carico (la scuola, la seduta di yoga, …) e per il resto è una attenzione continua senza spazio nemmeno per il rapporto di coppia.

I giudizi sulla gente che non capisce, sui servizi di assistenza scolastica e domiciliare che non funzionano e sprecano danaro, la difficoltà a vivere dentro un contesto urbano dove non c'è spazio per il diverso sono illustrati attraverso episodi di vita intorno a cui Nicoletti costruisce poi le sue osservazioni.

Vi riporto i ttoli dei capitoli perchè ci dicono tutto nella loro essenzialità:

Un bambino tranquillo – Un rivelatore di umanità grottesca – Ipersensibilità – In tandem – Genitori emotivamente soppressi – Un’armonia perduta – Oltre l’era della comunicazione – Un sostegno poco di sostegno – Aiuto! – Second Life – Coming out – La ragazza in bombetta – Prepararsi al peggio – Un argomento tabù… – Un matrimonio combinato – Stato: Libero – Diritti negati – Il cattivismo – Sì e no – Una presenza relazionalmente trasandata – La nostra anfetamina – Insettopia – In nome del padre – Lui, giovane guerriero – Ripartire da Tommy – E per finire, un’utopia

L'utopia è la costruzione di Insettopia, (il riferimento è al cartoon Z la formica), un luogo dove le persone come Tommy possano vivere senza dover essere accudite e controllate.

Ed ecco qualche brano tratto dal capitolo finale.


La fanciullezza e l’età giovanile restano però dentro di noi in filigrana, sempre più trasparenti con il trascorrere degli anni, come un livello di Photoshop di cui si gradui l’intensità per ottenere un particolare effetto sull’immagine che stiamo elaborando. Ecco, la vita di ognuno di noi è un file .psd costruito su vari livelli. Ogni volta che ce la rappresentiamo, vediamo alcune cose in primo piano, altre sullo sfondo; altre sono livelli nascosti che abbiamo disattivato, e magari dimenticato, però ci sono e appesantiscono l’immagine, anche se sono invisibili.


Tommy sarà il dilemma su cui dovrò arrovellarmi per tutta la vita, ma mica perché lo consideri un problema dei peggiori che possano capitare a un essere umano, solamente perché è un problema che sento di dover risolvere io, inutile pensare ancora che possa farlo qualcun altro. Nell’automatismo familiare che assegna i ruoli a seconda della capacità di ognuno di prendersene carico, è sin troppo chiaro che la palla Tommy è stata messa nelle mie mani… Filippo (il figlio più grande) mi vedrà soprattutto come il badante del suo fratellone cresciuto di testa, ma non di cervello. Spero che un domani, forte dei suoi innumerevoli successi, non mi venga a fare il discorso del fratello secchione e sfigato del Figliol Prodigo. E magari potrà vedermi far più festa se Tommy imparerà ad allacciarsi le scarpe da solo che per la sua terza laurea. Ma il mondo va così, figlietto mio, tu puoi camminare con le tue gambe e andrai lontano, lui resterà sempre nel posto dove qualcuno lo metterà.


La conquista d’Insettopia sarà la più importante battaglia della mia vita. Anche se, per combatterla, dovrò nascondere con l’elmo la canizie, come fecero i compagni di Enea. Penso che sarà compito dei padri costruire la città dei loro figli balzani, perché, se non lo faranno, quelli finiranno in un contenitore per raccolta differenziata di umanità poco produttiva.
Mi sono fatto qualche conto e ho concluso che – tra quello che spende ogni famiglia e quello che, inutilmente, spende lo Stato in assistenti svogliati e sostegni inadeguati – ce ne sarebbe a sufficienza per fondare la nostra Insettopia senza questuare e senza piangere. Ci serve, però, un posto. In ogni città, in ogni quartiere ci sarebbe una sede adatta, solo che in genere ci fanno altre cose, magari utilissime, ma pure noi vogliamo essere utili. Se non altro a lasciare sistemate le nostre patate bollenti a vantaggio di chi ci sopravvivrà.


Immaginiamo di costruire la città felice che manca in ogni luogo, felice proprio perché chi l’abita è disinteressato alla competizione, a schiacciare il prossimo, a sopraffare, scavalcare, insidiare. Felice perché ci vive chi è contento di far le cose che a lui piacciono, e mentre gli scontenti ammorbano chi sta loro vicino, chi è leggero di pensieri regala un sorriso a chiunque lo sfiori. Mi piacerebbe che pure chi, come i nostri ragazzi, non ha più un posto e un ruolo, perché il mondo non sa che farsene di lui, ritrovasse in questa città qualcuno che dia un senso al suo esistere. Vigili in pensione, falegnami, decoratori, artigiani di ogni tipo troverebbero a Insettopia formiche capaci di fare qualcosa, o almeno che ci proverebbero. A Insettopia si ballerebbe, si farebbe musica, si mangerebbe e respirerebbe allegria, perché sarebbe come una fessura aperta sul mondo che non c’è. Ci andrebbero anche i ragazzi con il cervello tutto in regola, ma solo perché farlo diventerebbe più figo che passar le serate in piedi davanti a un locale, con in mano il bicchiere di plastica del mojito annacquato.


Nella mia compulsiva fulminazione per luoghi urbani da trasformare in città per autistici, mi sono pure innamorato di un rudere abbandonato tra alberi e cespugli al centro del bioparco di Roma, quello che una volta era chiamato giardino zoologico. Non so nemmeno come ci sono arrivato, ma ho pensato anche in quel caso alla mia Insettopia. Ho scoperto che da decenni nessuno si è più curato di dare una destinazione a due grandi edifici semicircolari, che sembrano due fagioloni di mattoni, progettati negli anni Venti da Raffaele De Vico: un ottimo esempio di architettura funzionalista, immaginati per ospitare uccelli rari, ma perfetti per essere adattati a fabbrica di felicità per umani rari.
Al momento giacciono semicadenti di fronte a una grande voliera a forma di pallone; tra i rovi che abbracciano quelle antiche mura si vedono passeggiare pavoni, sembra uno di quei templi abbandonati in mezzo alla giungla che improvvisamente appaiono nei film alla Indiana Jones. Anche in questo caso ho precettato splendidi amici di buona volontà per progettare, pianificare, immaginare. Le due case baccellone potrebbero diventare il modello più avanzato di città felice che ogni genitore di autistico, o neurodiverso in genere, immagina per farci emigrare suo figlio ed essere finalmente alleggerito dello struggimento quotidiano di consumarsi la vita senza poter far nulla per lui e il suo futuro.
Penso che i ragazzi non potrebbero trovare un luogo ideale più adatto alla loro dignitosa esistenza che l’ex zoo di Roma. Anche loro vivono in gabbie mentali e, per essere liberati, e liberare le loro famiglie, non potrebbero star meglio che nel grande giardino al centro della città.
In un posto mentalmente delocalizzante, sembra uno stargate aperto su una foresta incantata e nascosta in un universo parallelo sotto uno dei quartieri più incasinati dal traffico del centro. Come si entra, cambiano la dimensione del tempo e ogni percezione acustica. È una zona sensorialmente alleggerita, l’ideale per chi soffra dello stress di fastidiose distorsioni nella percezione dei rumori, per esempio, o entri in crisi ansiose per la folla o le improvvise sollecitazioni che impone muoversi tra le auto che a Roma non seguono mai regole e buon senso. Soprattutto in un posto dove ancora possono vivere serenamente tigri, leoni e giraffe, anche i ragazzi speciali troverebbero un’occasione che non sia il semplice parcheggio in aree di sopravvivenza. Con gli animali non avrebbero bisogno di doversi per forza adeguare a parlare, scrivere, leggere, misurare il mondo con le nostre regole infallibili.
Potrebbero organizzare le loro giornate, imparare a rendersi utili nei lavori di quotidiana gestione del parco, essere protagonisti di attività che possano attrarre anche le persone meno problematiche, far loro conoscere la propria straordinaria capacità di mostrarsi come un laboratorio vivente di vita possibile, angeli silenziosi e alleggeriti dal tedio della socializzazione forzata.


Continuerò a guardare ogni edificio inutilizzato come un possibile fortino da espugnare per farne la nostra città. So che continueranno a regalarne a circoli sportivi, associazioni culturali, comunità religiose. Se ne faranno lussuosi scannatoi per i potenti della politica, oppure centri conferenze per raccogliere sbadigli, in appalto alle brave persone che per mestiere si occupano di sociale. Non contesto ad altri il diritto ad avere spazi, ma ne resterà qualcuno disponibile per un progetto concreto che risolva la vita dei nostri ragazzi?


Andrà a finire che taglieranno sempre di più le risorse per i disabili e Insettopia la guarderemo a loop solo nel vecchio cartoon, sul dvd DreamWorks del 1998, esattamente l’anno in cui è nato Tommy, e io non c’ero.
Ora mi vien da dire chi se ne frega, sopravvivremo comunque fino al giorno che sarà proprio Tommy a portarmi sulle spalle, come dovette fare Enea con il vecchio Anchise.
Io mi attaccherò al suo capoccione bislacco e gli dirò per la miliardesima volta di fermarsi ai semafori e camminare sulle strisce. Mi consolerà pensare che, a quel tempo, gli altri figli efficienti e produttivi avranno già sbattuto i loro genitori a far la muffa in qualche osp ospizio.
Noi ci faremo qualche bella passeggiata ancora assieme. Quando io non ci vedrò quasi più, forse passeremo col rosso.


Una notte ho sognato che parlavi. Così ho imparato a fare il padre di mio figlio autistico
Nicoletti Gianluca

177 pag. Mondadori, 2013
Prezzo di copertina € 16,50 Disponibile anche in eBook a € 9,99