La bella vita – Paolo Virzì
La Bella Vita (1994) è l'opera prima di Paolo Virzì il regista che si è posto tra i migliori continuatori della commedia all'italiana. Nel 1994 Sabrina Ferilli (MIrella), Massimo Ghini (Gerry Fumo) e Claudio Bigagli (Bruno) erano tre attori emergenti del nuovo cinema italiano.
Siamo nella Piombino operaia dei primi anni 90 quando l'ILVA è in crisi e sta per cedere le sue attività ai giapponesi (in realtà, come sappiamo, subentrerà il gruppo Lucchini che ritroveremo, nuovamente in crisi, in Acciaio. Rispetto al romanzo-film la situazione è diversa: gli operai, anche quelli giovani, sono PCI-FIOM e sono in lotta per difendere il loro futuro.
Si affacciano all'orizzonte i nuovi modellli consumistico-effimeri impersonati da Gerri Fumo di Canale 3 Toscana una TV che esiste ancora oggi e fa della buona informazione nel senese. Gerri Fumo è un tombeur de femmes, di quelli che lasciano conti da pagare presso tutti i fornitori ed è proprio lui a stringere d'assedio la bella Mirella sposata con Bruno in occasione di una recita di solidarietà con gli operai dell'ILVA in lotta.
Gerri è lì per fare un servizio e, folgorato sulla via di Damasco, incomincia a marcare stretto Mirella che, un po' perché in crisi di comunicazione con Bruno, un po' perché affascinata dal bel mondo che Bruno sembra rappresentare (la Mercedes, i ristoranti, una dedica in diretta) finisce per cedere le armi (e il mitico seno della Ferilli).
In casa si parla di cassa integrazione e non si comunica. Bruno, con alcuni compagni di fabbrica (il film inizia proprio con loro che si recano al matrimonio con una Ritmo cambiandosi dalle tute blù alle camicie bianche sull'auto), è uscito malconcio da un mese di sciopero duro. C'è un accordo sindacale al ribasso e ci sarà la mobilità; così i quattro accarezzano l'idea di accettare una dimissione consensuale in cambio di 40 milioni a testa con i quali si pensa di fare il salto di classe: comperare un terreno, metterci un capannone e iniziare a produrre semilavorati per l'edilizia lavorando l'acciaio comperato all'ILVA.
La storia tra Mirellla e Gerri Fumo è nota a tutti: ne discutono i compagni di Bruno, se ne parla al sindacato anche perché, con tutte le possibili cautele, è impossibile che non ti notino. Si arriva al chiarimento-separazione; ma Bruno continua a stare male e Mirella continua ad essere inquieta, anche se si è trasferita a casa di Gerri.
Per mettere su l'impresa, oltre ai 100 e rotti milioni di lire per il terreno, serve un fido bancario dell'ordine di un miliardo. Bruno mette una ipoteca sulla casa del babbo, un vecchio operaio dell'ILVA, comunista duro e puro che prima di mettere la firma sui documenti gli dà una lezione di vita. Ma nonostante tutto l'operazione non va in porto (il direttore della filiale del Monte dei Paschi, portato a cena per stringere, li lascia a bocca asciutta: troppi rischi, poche garanzie).
Bruno ha un infarto e viene accudito da amici, genitori e da una vecchia fiamma della FIOM (Rossella). Carine le scene in ospedale con Rossella che sta dietro a Bruno (si erano baciati a un concerto degli Inti Illimani nel 1974) sino alla ricomparsa di Mirella. I due tentano di rimettersi insieme ma la cosa non funziona e Mirella se ne ritorna dai genitori all'Elba.
C'è un messaggio finale di speranza tra Bruno e Mirella che si scrivono e sul futuro di Bruno; la fabbrichetta non si farà, ma sul terreno ormai acquistato nascono un parcheggio, un bar e le cabine per il mare (peccato si vedano le ciminiere, "ma ci metteremo una siepe").
E' un'opera prima con tutti i limiti del caso. Molto meglio Ferie d'Agosto girato l'anno successivo.
Il mio voto: 7.5