L’uomo che verrà – Giorgio Diritti

L'uomo che verrà è uscito nel gennaio 2010, ha avuto meno risonanza del film di Spike Lee dedicato alla strage di Sant'Anna di Stazzema, ma è un film molto più bello. Dopo averlo visto ho scoperto che Diritti ha lungamente lavorato con Pupi Avati e mi sono detto Ah, ecco.

Dice il regista concludendo una intervista dedicata al film: Come ti auguri che sia l’uomo che verrà? – GD: Spero che gli uomini che verranno siano in grado di trarre insegnamento da quello che, di positivo o negativo, è stato vissuto in passato, dalle generazioni che li hanno preceduti, affinché possano indignarsi di fronte al razzismo e alla rassegnazione e si attivino concretamente per migliorare il mondo. Mi auguro che siano persone che sappiano riscoprire il senso delle piccole cose, quelle che davvero contano, e che si adoperino per vivere dignitosamente la propria vita con i propri affetti, perché questo è il senso profondo della vita.

Già, le piccole cose; la vita quotidiana dei contadini di montagna, fatta di riti, di solidarietà, di regole dettate dal nonno e soprattutto dalla nonna, come nelle società patriarcali (i primi amori delle ragazze, la comunione, il pane fatto in casa, la macellazione del maiale, le serate in stalla come nell'Albero degli Zoccoli, le camere fredde dove si dorme in tre nello stesso letto due di testa e uno di piedi). C'è persino il mercante giunto da Bologna che butta l'occhio sulle gambe della piccola Martina.

Il film, quando la sceneggiatura era già pronta, è stato girato in dialetto bolognese della montagna (e solo sottotitolato in italiano) perché il dialetto fa apprezzare ancora di più il mondo che viene descritto. Solo a metà della visione, affascinato dalla vita di quei contadini e dalla comparsa di qualche partigiano e di soldati tedeschi, che all'inizio sono affabili e umani, sono andato a leggere qualcosa sul film e ho scoperto che quella era la gente del Monte Sole, quelli della strage di Marzabotto che arriva puntuale nella seconda parte.

Nel film c'è la strage, ma non è un film sulla strage, anche se la parte crudele e cruenta dura oltre mezz'ora. I contadini del Monte Sole vedono la guerra come una cosa decisa altrove, che li riguarda relativamente e si affaccia su di loro quando i soldati tedeschi vengono a comperare il cibo, all'inizio, quando compaiono i partigiani, quando in lontananza si vedono combattimenti, lanci di rifornimenti con il paracadute e le cose si fanno via più brutte: il cibo non viene più pagato ma requisito (da entrambe le parti), un tedesco dal volto umano, catturato dai partigiani, viene costretto scavarsi la fossa e ammazzato con un colpo alla nuca.

La protagonista è una bimba di 8 anni, mora e secca secca, Martina (Greta Zuccheri Montanari) che non parla; è diventata muta dopo la morte di un fratellino, ma capisce, parla con gli occhi e con il corpo. La mamma di Martina, Lena (Maya Sansa) resta di nuovo incinta e partorirà nel settembre del 44 a ridosso del grande rastrellamento e della strage compiuta da reparti di SS. In questa fase si mischiano riferimenti reali (la strage nella chiesa o quella al cimitero di Casaglia) con la storia dei protagonisti.

Mentre Lena, che ha appena partorito, viene ammazzata a casa dove è rimasta con la suocera (non toccheranno le donne …) la sorella Beniamina (Alba Rohrwacher) non viene uccisa subito. E' tra le vittime delle granate buttate nella chiesa dove si erano rfugiati la gran parte di donne e bambini. Ma è solo ferita e quando il tenente delle SS passa a dare il colpo di grazia, questi si ferma e la fa soccorrere da un medico ("assomiglia a mia moglie"). Beniamina, dopo aver assistito all'uccisione di un bambino che frignava gli ficca una baionetta nella pancia, prima di essere uccisa.

Martina sopravvive fortunosamente alla strage della chiesa, rimane sotto i cadaveri, torna a casa e trova il fratellino; prende la cesta con il bimbo e riesce ad arrivare ad una canonica fuori dalla zona del rastrellamento dove il neonato riceve un po' di latte mentre Martina, accanto al fratellino, esce dal suo blocco psicologico e gli canta una ninna nanna.

Forse è un mio limite, ma ho trovato molto più bella la prima parte del film, quella in cui, se non lo sai, non ti aspetti l'arrivo della strage.


Il mio voto: 9