Italiani, brava gente? – Angelo Del Boca

Angelo del Boca è un giornalista nato nel 1925 che ha partecipato alla lotta partigiana e che nella seconda metà degli anni 80, ha lasciato il partito socialista in dissenso con la deriva craxiana. Da storico ha pubblicato una quantità enorme di libri e di saggi tra cui predominano quelli dedicati al colonialismo italiano in Africa (Libia, Somalia, Etiopia).

Il suo Italiani, Brava gente? Un mitio duro a morire prende posizione contro la leggenda di un popolo italiano che, magari sbaglia, ma non commette in genere grandi atrocità. Per queste sue posizioni è stato ripetutamente attaccato dalla destra. Ho acquistato e deciso di recensire il suo libro dopo aver visto l'omonimo film di De Santis e incuriosito dall'idea di un contrasto ma la realtà non è questa. Il film di De Santis analizza il buonismo del popolo, il libro di Del Boca analizza il cattivismo del potere. Certo, è difficile tirare una riga di separazione tra il popolo buono e il potere cattivo: quando si è in guerra la catena di comando parte dai ministri e dai generali ma poi scende giù giù ed arriva ai sottufficiali ed ai soldati che non hanno autonomia decisionale ma comunque fanno.

E' un bel libro, ma il titolo è sbagliato perché il contenuto riguarda, con pesi e livelli di approfondimento diversi, le efferratezze compiute dagli Italiani intesi non come popolo ma come governi e come istituzioni) dalla unità in poi. Il libro è scritto bene e si legge abbastanza rapidamente.

C'è un incipit: Dedico questo libro al mondo del volontariato. In particolare, ai ragazzi che, per tre volte, con le loro ambulanze, mi hanno portato d’urgenza in ospedale. Essi rappresentano l’Italia migliore, così diversa da quella che racconto in queste pagine. Grazie di cuore. L'incipit si riconnette all'ultimo capitolo, scritto al termine della prima era berlusconiana, in cui l'autore, dopo aver analizzato i mutamenti di costume indotti dall'era delle TV vede un segno di speranza nel mondo del volontariato.

Ecco i due italiani che vede Del Boca: il modello berlusconiano che ha fatto affermare a molti, il problema non è Berlusconi, sono quelli che lo votano e il modello della società civile e del volontariato.

Il cittadino dell'era Berlusconi: Questo cittadino del XXI secolo si presenta dunque come un grande lavoratore e produttore, ma anche come un instancabile consumatore di beni che possano attestare che ha conseguito uno status invidiabile. Ha il culto del capo, che oltretutto rappresenta il Bene, e nei suoi confronti manifesta un’assoluta lealtà. Tra i programmi politici, predilige quello che contempla la riduzione delle tasse, il blocco dell’immigrazione dai paesi extracomunitari, una decisa riforma del sistema giudiziario, in modo particolare per la sua azione inquisitoria. Poiché non viene incoraggiato a dare importanza all’integrità, alla trasparenza, all’onestà dei leader politici, non è neppure interessato al rinnovamento morale del paese e a una legge che blocchi il conflitto di interessi. È propenso a operare una completa rimozione del passato fascista, razzista, colonialista, ma si guarda bene dal minimizzare il pericolo comunista, anche se è svanito con il crollo del muro di Berlino. Pensa che la mafia non rappresenti una seria minaccia, che sia concentrata in Sicilia e Calabria e che, comunque, si possa convivere con essa. Non è più in grado, infine, sotto il continuo e massiccio bombardamento di immagini, di fare una distinzione tra la tivù formativa e la tivù spazzatura. Non è neppure un uomo di frequenti e raffinate letture e spesso ha difficoltà a rintracciare un paese sulla carta geografica. È informatizzato, anche se non sempre sa usare gli strumenti: l’importante è possederli.

Il cittadino del futuro: Un fatto significativo, che equivale a una benefica inversione di tendenza, è il comportamento squisitamente professionale tenuto dai contingenti di truppe italiane inviati, negli ultimi vent’anni, in missioni di peacekeeping in Libano, Bosnia, Albania, Kosovo, Timor Est, Mozambico, Afghanistan e Iraq. Dovendo fare dei confronti, si può persino sostenere che i militari italiani si sono comportati meglio dei colleghi degli altri contingenti. E non è poco, se si pensa al passato.
 Ma questa non è la sola, confortante, novità. C’è anche un esercito, in Italia, che non indossa divise, che non porta armi, che non ha caserme. Un esercito di milioni di giovani e di non più giovani, che si va ingrossando ogni anno e che è tenuto insieme dall’amore verso il prossimo, da una grande, infinita, disponibilità a lenire i patimenti e le angosce degli altri. È l’esercito dei quattro milioni di volontari, che ogni giorno, in silenzio, quasi in segreto, scende nelle strade dell’Italia e del mondo per combattere la sofferenza nei suoi mille aspetti. È un esercito composto da 38.000 organizzazioni, che opera nell’ambito della sanità, della protezione civile, del servizio ambulanze, dell’assistenza domiciliare ai malati e ai disabili, del doposcuola ai bambini e del sostegno agli immigrati. Un esercito senza generali, senza mostrine, senza medaglie, senza fanfare, che non percepisce salari e il cui solo compenso si esaurisce e si esalta nel gesto d’amore. Se ci sono italiani che meritano di essere definiti «brava gente», nell’accezione vera, non autoassolutoria, non mitizzata, questi sono proprio gli splendidi e umili operai del volontariato.

I capitoli dal 2 al 12 sono tutti dedicati al comportamento, non da brava gente, tenuto dagli Italiani in vicende prevalentemente legate (ma non solo) alle azioni militari di tipo imperialista e colonialista svolte dall'Italia.

  1. Fare gli italiani: è una introduzione disincantata sui vizi degli Italiani prima della unità. Parlano numerosi intellettuali europei dal 500 all'800 e dicono in sostanza che l'Italia è bella ma: «Le repubbliche italiane non sono che miserabili aristocrazie, che si reggono solo per la pietà che si ha per loro, e in cui i nobili, senza alcun senso di grandezza e di gloria, ambiscono soltanto a conservare il loro ozio e i loro privilegi … Una pubblica simonia regna oggi a Roma. Non si è mai visto, nel governo della Chiesa, regnare il delitto così apertamente. Uomini vili sono preposti da ogni parte alle cariche. Ed il papato, da parte sua, non si cura affatto di ciò che può accadere. Da come vanno le cose, è impossibile che sia eletto papa un uomo di merito: non lo vogliono». (Montesquieu)
  2. La guerra al “brigantaggio”: è un argomento ancora poco conosciuto e sfiorato dai libri di scuola. Nel periodo dal 1861 al 1865 ci sono stati 5212 fucilati o uccisi in combattimento, 5044 arrestati, 3597 arresi alle autorità, per un totale di 13.853. E' stata una guerra interna con più morti di quelli caduti per l'Unità (poveri cristi, soldati borbonici bandati, delusi dall'unità subita come una colonizzazione). Il capitolo tratta in maniera abbastanza dettagliata della distruzione di Pontelandolfo

  3. L’inferno di Nocra: Nocra è un'isoletta nel mar Rosso 55 miglia al largo di Massaua. Fu scelta come luogo in cui ammassare all'inizio prigionieri comuni e poi politici nelle vicende legate alla colonizzazione della Somalia prima e dell'Etiopia poi. A causa del clima torrido, che poteva anche raggiungere i 50 °C, il problema dell’acqua era fondamentale. La fornitura dell’acqua potabile veniva assicurata, per la piccola guarnigione, da alcune bettoline che tre volte la settimana facevano la spola fra il continente e l’isola. Per i detenuti, invece, era stato scavato un pozzo, profondo una decina di metri, che forniva un’acqua salmastra e non in grande quantità. Tanto che nei periodi di siccità veniva razionata. Il sole cocente e la penuria di acqua costituivano, nella filosofia di chi aveva scelto Nocra, strumenti aggiuntivi di punizione.«I detenuti, coperti di piaghe e di insetti, muoiono lentamente di fame, scorbuto, di altre malattie. Non un medico per curarli, 30 centesimi pel loro sostentamento, ischeletriti, luridi, in gran parte han perduto l’uso delle gambe ridotti come sono a vivere costantemente incatenati sul tavolato alto un metro dal suolo». Nel medesimo capitolo si tratta anche della questione della tratta degli schiavi; la lotta allo schiavismo era stata una delle foglie di fico usate da Crispi per giustificare l'intervento. Non è stato così; gli Italiani hanno fatto affari, hanno tollerato lo schiavismo e molti atti di compravendita recano le marche da bollo del regno d'Italia. Ci furono commissioni di inchiesta. Quella disposta dalla Società Antischiavista d’Italia veniva affidata al celebre esploratore Luigi Robecchi Bricchetti, il quale, tra l’aprile e il giugno 1903, compiva un’indagine esemplare per serietà e meticolosità, e giungeva alla conclusione che, sotto gli occhi delle autorità italiane, distratte o tolleranti, gli schiavi venivano liberamente acquistati, venduti, ereditati, offerti in regalo, sfruttati, incatenati, deportati. Assai raramente liberati, come invece imponeva la Conferenza di Bruxelles. Andando di porta in porta, a Mogadiscio, a Merca e a Brava, Robecchi Bricchetti operava un autentico e doloroso censimento, che lo conduceva a stabilire che nella prima città c’erano 2096 schiavi su 6695 abitanti, nella seconda 721, nella terza 829. Nelle campagne il numero degli schiavi era superiore e le loro condizioni di vita erano anche peggiori.

  4. In Cina contro i boxer: questo argomento mi era del tutto ignoto; a inizio 900 l'Italia, reduce dalla sconfitta di Adua partecipa alla spedizione in Cina contro la rivolta dei boxer che avevano assediato le legazioni europee. Alla spedizione partecipano le potenze coloniale europee oltre al Giappone e l'Italia imbarca 2'000 uomini su un totale di 20 mila (partecipazione ridotta, benefici nulli e un disastro dietro l'altro sul piano logistico). La spedizione si è conclusa con una serie di stragi e in Italia c'è stato sin da allora il dibattito sul quanto e come i nostri si siano comportati da brava gente.
  5. Sciara Sciat: stragi e deportazioni: Sciara Sciat è una grande oasi nei pressi di Tripoli dove gli Italiani, conquistata la costa libica subirono una inattesa batosta ad opera delle forze congiunte turche ed arabe. La reazione fu violenta in termini di deportazioni e impiccagioni. E' poco noto che la avventura libica condotta sotto il governo Giolitti finì male dal punto di vista militare e solo durante il fascismo si ebbe una riconquista, ancora più cruenta. Le avventure belliche degli italiani sono sempre precedute da una campagna di balle funzionale alla conquista dell'opinione pubblica. Ecco qualche esempio: scriveva il nazionalista Corradini dopo aver visitato alcuni giardini nell’oasi di Tripoli: «Che olivi folti, cupi, non potati, selvosi, carichi di olive! Viti atterrate dal peso dei grappoli. Altro che deserto! Siamo in terra promessa» e Giuseppe Bevione aggiungeva:Ho veduto gelsi grandi come faggi, ulivi più colossali che le quercie. L’erba medica può essere tagliata dodici volte all’anno. Gli alberi da frutta prendono uno sviluppo spettacoloso. Il grano e la melica danno, negli anni medi, tre o quattro volte il raccolto dei migliori terreni d’Europa coltivati razionalmente. Il capitolo descrive le deportazioni del 1911/1913 con i viaggi verso le stesse isole dei migranti di oggi. Si conclude con la disfatta del 1914 quando le perdite italiane furono superiori a quelle di Adua in termini di morti e fornirono alla resistenza araba le armi che consentirono la lunga lotta degli anni 30.
  6. Le colpe di Cadorna: dopo aver tracciato un quadro relativo al modo singolare in cui l'Italia entra in guerra contro l'Austria rinunciando ad una trattativa decisamente favorevole, Del Boca dedica alcune pagine di storia minore ai ricordi di suo padre: la ricomposizione dei corpi ai terminali di arrivo delle teleferiche, la lotta di trincea contro topi, pidocchi e cimici, il fango mischiato agli escrementi, agli avanzi del rancio e al fosgene, e l'odio nei confronti del generale Cadorna responsabile degli 800 mila morti nelle 11 battaglie dell'Isonzo. Errori nei tempi, errori nella strategia e poi una visione dei soldati come pura carne da macello. I massacri dell'Isonzo furono interrotti dallo sfondamento austriaco di Caporetto che costò all'Italia 700'000 prigionieri in larga misura abbandonati a loro stessi nei campi austriaci perchè la loro sofferenza potesse servire come monito ai combattenti in patria.
  7. Gli schiavi dell’Uebi Scebeli (Somalia): Sùbito dopo l'avvento al potere del fascismo Mussolini manda a gestire la Somalia uno dei quadrumviri che gli davano fastidio, De Vecchi. Questi decide di trasformare l'esilio in un momento di gloria e per farlo utilizza le opere di bonifica che sono state previste nella zona di Uebi Scebeli un comprensorio di 18'000 ettari diviso irrigato da una diga artificiale e diviso in una ottantina di concessioni. Le concessioni vengono tutte affidate a fascisti provati che De Vecchi si era portato dall'Italia e in esse vengono deportati in condizioni di schiavitù circa 7000 somali che lavoreranno gratis e in condizioni disumane per produrre il cotone, il ricino, il mais, la canna da zucchero, le banane, l’incenso e il kapok. Scrive, inascoltato, il federale Sarzanetti: il lavoro forzato che s’impone da alcuni anni ai nativi della Somalia, invano cinicamente mascherato nel 1929 da un contratto di lavoro, è assai peggiore della vera schiavitù, poiché laggiù è stata tolta al lavoratore indigeno quella valida tutela dello schiavo che era costituita dal suo valore venale, tutela che gli assicurava almeno quel minimo di cure che l’ultimo carrettiere ha per il suo asino, nella preoccupazione di doverne comprare un altro se quello muore. Mentre in Somalia quando l’indigeno assegnato ad una concessione muore o diventa inabile al lavoro, se ne chiede senz’altro la sostituzione al competente Ufficio Governativo che vi provvede gratis.
  8. Soluch come Auschwitz (Libia): tra il 1922 e il 1932 si procede alla riconquista della Libia ad opera del generale Graziani; dal 1928 la Cirenaica e la Tripolitania sono governate dal generale Pietro Badoglio (che poi ritroveremo in Etiopia). Graziani si dedica dapprima tra il retorico e l'efferato a liberare la zona ovest e dal 1930 si dedica alla Cirenaica di cui è stato nominato vicegovernatore. Si tratta degli eventi raccontati nel film Il Leone del Deserto che solo da pochi anni è stato sdoganato nel nostro paese e che ha per protagonista Omar al-Mukhtàr, il vicario dell’emiro Mohamed Idris es-Senussi, che da nove anni conduceva con successo la guerriglia contro gli italiani. Dopo i primi provvedimenti di deportazione ed espropriazione dei senussiti da parte di Graziani interviene un proclama di Badoglio: Bisogna anzitutto creare un distacco territoriale largo e ben preciso tra formazioni ribelli e popolazione sottomessa. Non mi nascondo la portata e la gravità di questo provvedimento, che vorrà dire la rovina della popolazione cosiddetta sottomessa. Ma ormai la via ci è stata tracciata e noi dobbiamo perseguirla sino alla fine anche se dovesse perire tutta la popolazione della Cirenaica. A marce forzate vengono deportate circa 100'000 persone (la metà della popolazione). Almeno 10'000 vengono uccisi durante il trasferimento nello stile della marce di evacuazione dei lager nazisti, gli altri finiscono in 6 lager principali. Dei 100'000 deportati ne torneranno a casa meno di 60'000. I problemi dei lager sono quelli di tutti i lager: la denutrizione, il clima, le malattie, le impiccagioni, …
  9. Una pioggia di iprite (Etiopia): l'unica cosa che gli Italiani non hanno fatto in Etiopia, temendone le conseguenze sul piano internazionale, è stata la guerra batteriologica, per il resto sono stati usati via terra e via aria, il fosgene, l'iprite e le arsine. Lo stesso Haile Sellase assiste ad uno dei primi episodi: Fu uno spettacolo terrificante. Io stesso sfuggii per un caso alla morte. Era la mattina del 23 dicembre e avevo da poco attraversato il Tacazzè, quando comparvero nel cielo alcuni aeroplani. Il fatto, tuttavia, non ci allarmò troppo, perché ormai ci eravamo abituati ai bombardamenti. Quel mattino, però, non lanciarono bombe, ma strani fusti che si rompevano appena toccavano il suolo o l’acqua del fiume, e proiettavano intorno un liquido incolore. Prima che mi potessi rendere conto di ciò che stava accadendo, alcune centinaia fra i miei uomini erano rimasti colpiti dal misterioso liquido e urlavano per il dolore, mentre i loro piedi nudi, le loro mani, i loro volti si coprivano di vesciche. Altri, che si erano dissetati al fiume, si contorcevano a terra in un’agonia che durò ore. Fra i colpiti c’erano anche dei contadini che avevano portato le mandrie al fiume, e gente dei villaggi vicini. I miei sottocapi, intanto, mi avevano circondato e mi chiedevano consiglio, ma io ero stordito, non sapevo che cosa rispondere, non sapevo come combattere questa pioggia che bruciava e uccideva. Ogni volta Badoglio e Graziani chiedono il consenso a Roma e il consenso viene direttamente da Mussolini. A partire dal 21 gennaio, mentre infuriava la prima battaglia del Tembien, i bombardamenti all’iprite erano quotidiani. Complessivamente, dal 22 dicembre 1935 al 29 marzo 1936, venivano sganciate sul fronte Nord 1020 bombe C.500T per un totale di 300 tonnellate di iprite. Sul fronte Sud venivano gettate, dal 24 dicembre 1935 al 27 aprile 1936, 95 bombe C.500T, 186 bombe da 21 chilogrammi all’iprite e 325 bombe caricate a fosgene da 41 chilogrammi, per un totale di 44 tonnellate. Se si aggiunge che, durante la battaglia dell’Amba Aradam, Badoglio autorizzò l’impiego di 1367 colpi di artiglieria caricati ad arsine, il totale generale raggiunge le 350 tonnellate di aggressivi chimici. Un altro dato interessante che emerge è l'utilizzo combinato e alternato delle truppe indigene: Eritrei e Somali cristiani contro i musulmani arabi della Libia e poi le truppe libiche in Etiopia contro i copti.
  10. Debrà Libanòs: una soluzione finale (Etiopia): la conquista dell'Etiopia finisce formalmente nel maggio 36 con l'ingresso di Badoglio ad Addis Abeba e la fuga di Hailè Selassiè. In realtà più di 2/3 del paese era fuori controllo e c'era un problema di unificazione dello stesso rispetto al potere dei ras locali. Se ne occuperà Graziani con un esercito di 200'000 uomini a conquistare l'intero paese nei due anni successivi. I ras locali sono assimilati a ribelli e dunque non si fanno prigionieri, la stessa linea che useranno i nazisti con i partigiani di tutta Europa. Il 19/02/37 avviene l'attentato contro Graziani che sopravvive con 350 schegge in corpo. Si scatena la rappresaglia: Tutti i civili che si trovavano in Addis Abeba hanno assunto il compito della vendetta, condotta fulmineamente coi sistemi del più autentico squadrismo fascista. Girano armati di manganelli e di sbarre di ferro, accoppando quanti indigeni si trovano ancora in strada. […] Vedo un autista che, dopo aver abbattuto un vecchio negro con un colpo di mazza, gli trapassa la testa da parte a parte con una baionetta. Inutile dire che lo scempio si abbatte contro gente ignara e innocente. Nei tre giorni di repressione si faranno 30'000 morti e il libro di Del Boca racconta gli episodi più significativi. Il culmine, rispetto alla propaganda di chi è venuto a portare la civiltà avviene a Debrà Libanòs. Situato nello Scioa del Nord, il grande monastero di Debrà Libanòs era stato fondato nel XIII secolo dal santo tigrino Tecle Haymanot e comprendeva due grandi chiese in muratura, un migliaio di tucul abitati da monaci, preti, diaconi, studenti di teologia, suore e un centinaio di tombe di illustri capi abissini, a guardia delle quali stavano monaci e cascì (sacerdoti). Mentre Maletti completava l’occupazione della città conventuale, riceveva da Graziani un telegramma che diceva:  QUESTO AVVOCATO MILITARE MI COMUNICA PROPRIO IN QUESTO MOMENTO CHE HA RAGGIUNTO LA PROVA ASSOLUTA DELLA CORREITÀ DEI MONACI DEL CONVENTO DI DEBRÀ LIBANÒS CON GLI AUTORI DELL’ATTENTATO. PASSI PERTANTO PER LE ARMI TUTTI I MONACI INDISTINTAMENTE, COMPRESO IL VICE-PRIORE. PREGO DARMI ASSICURAZIONE COMUNICANDOMI NUMERO DI ESSI. DIA PUBBLICITÀ AT RAGIONI DETERMINANTI PROVVEDIMENTO. I monaci vengono isolati e nel giro di poche ore, in puro stile Fosse Ardeatine, vengono fucilati 297 monaci, il vicepriore e 23 pellegrini. Scriverà Graziani: Non è millanteria la mia quella di rivendicare la completa responsabilità della tremenda lezione data al clero intero dell’Etiopia con la chiusura del convento di Debrà Libanòs, che da tutti era ritenuto invulnerabile, e le misure di giustizia sommaria applicate sulla totalità dei monaci, a seguito delle risultanze emerse a loro carico. Ma è semmai titolo di giusto orgoglio per me aver avuto la forza d’animo di applicare un provvedimento che fece tremare le viscere di tutto il clero, dall’Abuna all’ultimo prete o monaco, che da quel momento capirono la necessità di desistere dal loro atteggiamento di ostilità a nostro riguardo, se non volevano essere radicalmente distrutti.
  11. Slovenia: un tentativo di bonifica etnica:  si tratta delle operazioni, di parte fascista, che fecero da premessa alle atrocità succedutesi dall'altra parte dopo la liberazione
  12. La resa dei conti: si tratta di un tema ampiamente trattato in opere specifiche circa quel che accade in una guerra civile
  13. Tutti ricchi, tutti felici, tutti anticomunisti:  è il monito finale di Del Boca che non ama Berlusconi ma crede nel volontariato.

L'Italia, intesa come classi dirigenti, non ne esce bene. Una cosa è parlare della gente e una cosa parlare dei governanti. Ma la linea di divisione, come si sa, è sottile e per questo Del Boca ha messo quel punto interrogativo alla fine del titolo.