Il difficile cammino per diventare una forza politica
Personalmente ci sono passato in gioventù: quando un movimento si deve strutturare per contare politicamente, nascono i problemi dentro l''organizzazione e dentro di te. Quello è il momento in cui le coesioni interne basate sul rapporto tra pochi entrano in crisi. Bisogna nuotare in mare aperto e gli slogan non servono o comunque non bastano.
In questi giorni mi tornano in mente le elezioni regionali del 1970 e le politiche del 1972, soprattutto quelle: c'era un governo di centro destra ("no al fermo di polizia, governo Andreotti ti spazzeremo via" si gridava in corteo) ed era in atto una vera svolta a destra. La organizzazione in cui stavo decise che bisognava annullare la scheda: tante discussioni, tante disquisizioni per convincere tutti a fare ciò che a quasi tutti ripugnava.
Non andava bene la lista Valpreda; men che meno andavano bene il PCI, il PSIUP o il PSI.
Quelle discussioni mi sono tornate in mente assistendo alle disquisizioni interne al Movimento 5 stelle che sono particolarmente kafkiane perché, in questo caso, la democrazia della rete è particolarmente piramidale. A differenza di quanto accadde a noi che (sommando tutto) faticammo ad avvicinarci al milione di voti (quando nel 75 e nel 76 si decise che era il momento di "capitalizzare le lotte") il movimento 5 stelle ragiona su cifre di 8 milioni di voti. Dietro questi voti che esprimono la volontà di una fetta consistente di elettorato di dire basta ci sono (volendo esagerare) un migliaio di attivisti e sopra tra 100 e 200 parlamentari.
Il modello decisionale assomiglia molto alla democrazia assembleare e con numeri di questo genere, ovviamente non funziona. Il problema diventa molto pesante per le organizzazioni cresciute in fretta in cui i gruppi dirigenti si sono selezionati in una logica da "chi primo arriva …" e così il principio "una testa un voto" mette, apparentemente, in posizione paritaria il neofita e il politico navigato. Sappiamo tutti che non è così e i continui diktat di Grillo ce lo ricordano ogni giorno.
Grillo mi ricorda sempre più il sommo sacerdote di una setta e non mi meraviglio che, al di là della votazione su Pietro Grasso, serpeggino tormenti, ragionamenti incoffessabili, schizofrenie tra ruolo e pensiero, richieste di dimissioni, offerte di dimissioni.
Ricordo che anche nei primi anni della Lega ci furono tensioni e brusche ascese e sparizioni di leader sia locali sia nazionali, ma in quel caso, dietro, c'era un partito strutturato sul territorio, un luogo dove le discussioni avvenivano eccome, anche se fuori se ne sapeva poco e si vedevano solo gli slogan bossiani sui terroni.
Non mi meraviglia che Grillo unisca minacce e blandizie, slogan e ragionamenti. L'ultima trovata sulla falsa contrapposizione tra Schifani e Grasso inventata per mettere in difficolà il movimento mi ricorda fasi tragiche nella storia del movimento operaio in cui, per seguire le esigenze di potenza di Stalin, i poveri militanti comunisti di tutta Europa dovevano, da un giorno all'altro, difendere l'opposto di ciò che avevano sostenuto sino al giorno prima (il socialfascismo, la difesa del patto di Monaco, la difesa della invasione della Polonia, dovevano raccontare che l'imperialismo anglo-francese era più pericoloso del nazismo…).
Prendiamo 10 elettori di 5 stelle e chiediamo loro: voi pensate davvero che la soluzione di tutto stia in un governo a 5 stelle? Ad essere ottimisti rispondereanno di sì in 2; gli altri 8 vi diranno che non se ne può più ma che, comunque, bisogna tener conto del fatto che esistono tre blocchi di peso quasi uguale e che in qualche modo bisogna uscirne.
Io mi auguro che i gruppi parlamentari di 5 stelle, almeno quelli, si diano rapidamente organi decisionali strutturati e a vari livelli. Mi auguro anche che le altre forze politiche, tutte, non solo il PD, si rendano conto che c'è stato un terremoto e che a quel terremoto bisogna dare delle risposte su: a) crisi istituzionale e legge elettorale b) elezione del nuovo Presidente della Repubblica c) provvedimenti urgenti per il rilancio della produzione.
Sperando che prima, a furia di giocare con il fuoco, la credibilità europea dell'Italia costruita con i sacrifici degli italiani e con le decisioni del governo Monti, non venga bruciata dalla nuova percezione de "L'Italia è un paese ingovernabile".