Il sospetto: Citto Maselli

Il sospetto (1975) è un film per amatori e che dovrebbero vedere e rivedere quelli (come me) che ci hanno creduto.

E' la storia dura di come viveva il Partito Comunista clandestino in Francia (centro estero) e in Italia. Sul film aleggiano: le svolte, la fiducia cieca nella III Internazionale (a Mosca c'è il compagno Ercoli, cioè Togliatti), la disciplina militare, il sospetto reciproco, il dire e il non dire, l'impressione, dopo la discussione, che ci sia sempre qualcosa d'altro che non viene detto e che in realtà ti abbiano fatto discutere, non per conoscere la tua opinione, ma per metterti alla prova.

Siamo nel 1934 e il centro estero del PCI sta tentando di riorganizzare il Centro Interno del partito dopo le posizioni settarie precedenti (la rottura con i socialisti definiti social-fascisti). E' la nuova linea dell'Internazionale.

I fascismi godono di consenso di massa e bisogna rientrare e lavorare dall'interno. Ma rientrare è duro: la struttura interna resiste perché è fatta di tante teste isolate, mentre quelli che rientrano dalla Francia sono subìto identificati ed arrestati. E' caduta la illusione di una disgregazione del fascismo e i totalitarismi si stanno estendendo in tutta Europa.

Emilio arriva a Torino, dopo aver girato l'Italia per ricostruire i contatti tra le strutture regionali e il centro estero; crede nel partito, ma non digerisce le svolte che via via si succedono; è nemico del settarismo ed in odore di trotkismo. Nel clima generale di sospetto non si presenta ad un appuntamento con i membri del direttivo e aiutato da Gavino Pintus (Renato Salvadori) che gestisce l'appartamento clandestino che fa da base logistica fugge e ritorna a Parigi.

A Parigi viene sottoposto ad un mix tra un processo ed un esame finestra da parte dell'ufficio quadri, di Teresa (una affascinante Annie Girardot che interpreta il ruolo di Teresa Noce, una delle fondatrici del PCI per molti anni compagna di Luigi Longo) e del responsabile del lavoro clandestino Alessandri (Felice Andreasi).

Teresa e Alessandri svolgono ruoli distinti nell'esame finestra; la prima lo fa parlare di politica, si dimostra aperta alle emozioni che travagliano Emilio e interpreta la parte della dirigente-pensante che mette però sempre al primo posto il comunismo e dunque la linea dell'Internazionale (pazienza e disciplina); il secondo rappresenta l'apparato, le regole del lavoro clandestino, il complotto, la ricerca delle spie, le disquisizioni sulla necessità di sospettare di tutti, il rispetto ferreo delle regole. A Teresa, che gli ricorda le vicende che ne determinarono la radiazione, Emilio  replica "Io non mettevo in discussione la linea del partito, io mettevo in discussione il fatto che non veniva discussa!".  Ad Alessandri che gli contesta di aver dormito a casa di Pintus violando una delle regole di sicurezza risponde: "Le regole si applicano a seconda delle esigenze e a volte si confondono con la stanchezza!"  mentre questi replica "I compagni possono essere compagni, ma possono anche essere delle spie e questo non perchè i compagni siano cattivi ma perchè le spie sono brave!".

Per farla breve il centro di Parigi si convince che nel direttivo di Torino potrebbe esserci una spia e conclude (e convince Emilio) della necessità di sacrificarne uno (Emilio) per salvare il partito facendogli smascherare la spia (a costo di una prospettiva di 20 anni di galera).

Emilio rientra; segue scrupolosamente il piano e fa l'inquisitore nei confronti dei quadri torinesi; incontra uno alla volta i membri del direttivo, li interroga, dà loro un falso passaporto per scappare in Francia dopo il suo arresto, ma non accade nulla.

Nessuno dei tre è una spia, ma quando rientra all'appartamento ci trova Gavino massacrato di botte e gli elementi della polizia politica fascista che lo trattano come un complice davanti al compagno. Il loro capo propone una collaborazione e gli racconta come è andata. Di fronte alle blandizie, alle botte, alle minacce, alle spiegazioni, Emilio ripete ossessivamente Sono un miltante del partito comunista e non ho altro da aggiungere poi tace.

L'OVRA, gli spiegano, lo seguiva dal momento della partenza da Parigi, da quando Stato Operaio pubblicò un suo pezzo dedicato alla ribellione di Parma (la rivolta dell'Oltretorrente cui Emilio aveva partecipato e da cui aveva capito l'importanza della unità delle forze antifasciste).

Si chiedeva l'OVRA "perché riabilitarlo improvvisamente? perché rimetterlo nel Comitato Centrale?"; cosa stava per fare il centro estero? Così lo seguono, lo lasciano fare perché hanno capito che, grazie a lui, potranno incastrare tutto il direttivo di Torino. E a Torino c'è la FIAT (se ne preoccupano sia quelli dell'OVRA sia quelli di Parigi).

Dopo l'arresto dei compagni gli propongono di sistemare tutto, di rimandarlo a Parigi fabbricandogli un'anima candida in cambio di un rapporto mensile. E lui risponde sempre Sono un miltante del partito comunista e non ho altro da aggiungere finché, dopo le minacce di metterlo in cella con Gavino (che lo reputa una spia), dopo che gli dicono "Ma l'hai capito o non l'hai capito che (quelli di Parigi) ti hanno usato?!"  Emilio risponde "Ma questo io l'ho sempre saputo, eravamo d'accordo".  Il film finisce mentre i titoli di coda ringraziano l'Istituto Gramsci per la documentazione fornita e precisano che la vicenda è inventata ma che il contesto era quello.

Chi ha letto e studiato la storia del partito comunista sa che le cose andavano così: tanta dedizione, tanta durezza, annullamento dell'uomo in nome del partito e annullamento del partito per difendere il comunismo in URSS (lo dice bene Teresa).

In effetti, ancora recentemente, Maselli ha ricordato la freddezza con cui venne accolto il film dalla dirigenza del PCI con la sola eccezione di Luigi Longo uno che di quel clima e di quel mondo se ne intendeva.