Vento di primavera: Rose Bosch

La filmografia sulla Shoa è molto estesa perché in tutta Europa sono usciti film che descrivono, paese per paese, l'orrore della eficienza nazista. Nei prosimi giorni ne vedremo qualche esempio; incominciamo con un film francese.

Vento di primavera (La rafle = la razzia) è un film prodotto dalla Gaumont e dunque inizia con il bellissimo logo della casa di produzione: si intravvede la curvatura terrestre in una atmosfera cupa e al centro qualcosa che potrebbe  essere un fiore. Arriva un bambino e lo coglie; era un palloncino e lo vediamo salire in cielo.

Il film parla di cose vere. Siamo a Parigi nell'estate del 42; la Francia è divisa in due, a nord i tedeschi e a sud il governo di Vichy del maresciallo Petain, eroe della I guerra mondiale e collaborazionista. Il governo di Vichy formalmente amministra l'intera Francia e dunque è la polizia francese a svolgere le azioni di applicazione delle leggi razziali introdotte e quindi ad efettuare schedature e retate.

Questo è uno degli elementi più duri del film. Non ci sono nè i nazisti assatanati nè i fascisti della RSI. Qui c'è lo stato con i suoi funzionari, con le divise nere e il kepi, ade effetuare le schedature prima e la razzia  poi. Tutto procede in maniera oggettiva, in un tritacarne che si fa sempre più efficiente e crudele.

Gli Ebrei portano la stella gialla a 6 punte con la scritta Juifs. Ce ne sono 25 mila, non solo parigini doc ma anche profughi di mezza europa  e il lavoro per isolarli, da parte dei nazisti, all'inizio è abbastanza arduo; con l'eccezione di qualche razzista la popolazione non fa differenza. Va beh, sono obbligati a portare la stella, ma basta ignorarla.

Nel film oltre alla vicenda principale (la razzia, la segregazione, la deportazione) ci sono dei flash paralleli con le decisioni del governo collaborazionista (il maresciallo Petain e Pierre Laval) e la vita di Hitler ed Eva Braun nel Rifugio dell'Aquila sulle Alpi Bavaresi. Hitler, insieme ad Himmler, programma la soluzione finale, mentre si bevono cocktail e il dittatore gioca con i bimbi ariani.

Il governo Petain accetta di rastrellare, in vista della deportazione, 20 mila dei 25 mila ebrei parigini. Gli elenchi ci sono perché la comunità ebraica è stata censita a partire dal 1940. I protagonisti del film vivono a Monmartre: c'è preoccupazione, ma anche la speranza-rassegnazione già raccontata in molti libri e film: anche questo passerà; qui siamo in Francia, non c'è un pericolo grave (si perde il posto, si sopporta qualche frase di scherno).

Poi nella notte tra il 16 e il 17 luglio la retata effettuata direttamente dalla polizia francese che si presenta al domicilio di ciascuno con gli elenchi delle persone da deportare.  L'operazione fu chiamata Opération Vent printanier, da qui il titolo della versione italiana del film.

Dei 20 mila previsti ne vengono presi 13 mila essenzialmente grazie alla solidarietà dei parigini e i deportati vengono ammassati dentro il Vélodrome d'Hiver coperto (sugli spalti e nella pista in legno). La polizia è impreparata a gestire 13 mila persone che vengono lasciate a se stesse (senza acqua nè cibo) e con tutte le ansie del "cosa mi sta capitando, cosa accadrà ora?".

Vengono seguite le vicende di due famiglie (Weissmann e Zygler) e, in particolare, dei ragazzini quattordicenni o più piccoli ed è in questa fase che entrano in scena il medico ebreo (il dottor Sheinbaume che vediamo sulla locandina) e una giovane crocerossina (Annette Monod) che faranno da protagonisti insieme alla famiglia di Schmuel Weismann (padre, madre e Joseph). Il medico è un sionista che va incontro al suo destino con rassegnazione e spirito di servizio. Schmuel si dichiara comunista trotkista.

Alla sosta nel velodromo segue la deportazione in un campo di transito nella Loira (come accadeva in Italia con Fossoli). Quando arrivano al campo, uno dei ragazzini fa osservare che i pagliericci puzzano e, a Schmuel che giustifica la cosa dicendo che c'è già stata altra gente, il ragazzino risponde E dove sono adesso? Il film porta a immedesimarsi, a vivere l'angoscia di un destino sconosciuto. Cosa accadrà ora? Il processo di spersonalizzazione prevede il non sapere. Tutto accade sempre all'improvviso senza giustificazione e senza finalizzazione.

Ci sono ritardi nella organizzazione del trasporto (mancano i treni e i campi di sterminio non sono pronti). Parte un primo convoglio con i soli adulti e c'è la separazione dalle madri. Annette rimane con i bambini mentre la madre di Joseph, che sta iniziando a capire, si fa promettere che tenterà la fuga.

Dopo qualche giorno vediamo il maresciallo Petain affermare di aver ottenuto, per ragioni umanitarie il ricongiungimento dei bimbi con le famiglie. Parte per Auschwitz un altro trasporto mentre Annette, disperata, apprende da un esponente della resistenza cosa succede ad Est. Joseph è riuscito a fuggire e lo rivediamo alla fine all'Hotel Lutetia dove avvengono i ricongiungimenti dei pochi ritornati con i parenti rimasti.

Nei titoli di coda si dice: degli oltre 13 mila razziati sopravvissero solo 25 adulti. Nessuno dei 4'051 bambini è  mai ritornato.


Il film è fatto molto bene e la prima parte, quella in cui vediamo la vita degli ebrei parigini già soggetti a restrizioni, ma ben inseriti nella città, ci aiuta a sopportare i drammi della seconda. Il governo francese qualche anno fa ha chiesto ufficialmente scusa a nome dello Stato: man mano che il film procede si fa sempre più brutto e crudele il ruolo della gendarmeria che, non solo ha gestito la razzia, ma ha poi gestito direttamente i campi e i trasporti.

Il mio voto: 9