Porte aperte: Gianni Amelio

Porte aperte (1990) richiama nel titolo lo slogan del regime fascista secondo cui gli Italiani avrebbero potuto andare a dormire tranquilli lasciando le porte aperte nelle loro abitazioni. Con le leggi fascistissime era stata introdotta nel codice penale la pena di morte per i reati più gravi.

Il grande Gian Maria Volontè che vediamo in questo film è al culmine della sua carriera, ma il mondo del cinema lo abbandonerà di lì a poco e Volontè se ne andrà all'estero per produzioni minori. Ritornerà 4 anni dopo per morire durante le riprese di un film di Anghelopulos.

Come sempre la capacità di entrare nelle pieghe del personaggio è fuori dal comune. Il fisico asciutto e scavato, il volto, la riflessività, i giochi di luce ed ombra sembrano esprimere la sofferenza di chi vuole amministrare la giustizia in maniera giusta e dunque: non si accontenta. Il film è tratto da un romanzo di Leonardo Sciascia con il medesimo titolo. Fuori c'è il mondo che grida; fuori c'è la politica che impone: il giudice deve cercare di fare giustizia occupandosi del solo diritto.

Siamo a Palermo nel 1936 (per inciso le vie a ridosso del centro storico sono ancora così: degradate e fatiscenti). Un impiegato di una delle associazioni corporative del regime, Vito Scalia, è stato licenziato. Con uno sguardo folle si reca dal suo capo (l'avvocato Spatafora) e lo ammazza con una baionetta; fa lo stesso con l'impiegato messo al suo posto; quindi si apparta in macchina con la moglie; la violenta e poi la ammazza con un colpo di pistola. Poi va a casa e aspetta i carabinieri. Durante l'interrogatorio in tribunale, alla domanda sulla scelta della baionetta, quando aveva con sè la pistola, spiega che la baionetta non fa rumore.

Al processo in corte d'assise sembra tutto già scritto sostiene il Presidente (che pure si comporta con stile e signorilità); ma il giudice a latere Vito Di Francesco non la pensa così. E' contrario alla pena di morte e non lo convince la dinamica dei fatti Scalia sembra folle, ma durante la perizia psichiatrica si comporta in maniera del tutto normale. Lo stesso avviene al processo. L'imputato vuole e ssere condannato.

Come in un giallo emergono contraddizioni e "spiegazioni possibili" del comportamento dell'omicida. Trapela l'ipotesi del delitto d'onore: la moglie lo tradiva con il capo ufficio, gli ammanchi di bilancio per i quali Scalia era stato licenziato rivelano strani movimenti tra la associazione corporativa di Spatafora e l'ospedale (presieduto dal medesimo). Scalia fa di tutto per smentire le ipotesi a sui favore e fa il "pazzo lucido".

Quello di Volontè (Sciascia) è un tentativo nobile e fallito di ricercare attenuanti, contraddizioni in nome del rifiuto della pena di morte. Sembra avercela fatta, ma … tutto finisce nella contraddizione, come nei libri di Sciascia.


Il mio voto: 8 al film e 10 a Gian Maria Volontè