La svolta della Lega e la fine del Celeste
La decisione del consiglio federale della Lega di andare alle elezioni regionali insieme alle politiche è di tutto rilievo anche se rimarrà il problema di capire cosa si erano detti Maroni, Alfano e Formigoni l'altro ieri visto che sono rimasti in conclave per molte ore. Adesso si capisce perché hanno fatto durare pochi minuti la conferenza stampa e perché Formigoni l'ha dichiarata concusa proprio su una domanda circa la durata della sua prossima giunta. C'era il rischio di innescare un problema che per l'intera giornata avevano cercato di depotenziare.
Evidentemente l'accordo era: Formigoni mette molta enfasi sul governo di svolta e sulla scelta di fare la legge elettorale entro dicembre e poi vediamo. Alfano si è sbilanciato a dire che non ci sono correlazioni immediate tra le sorti della Lombardia e quelle del Veneto e Piemonte. Risultato il PDL si è offerto disarmato al Consiglio Federale. Salvini ha fatto la parte del duro continuando ad insistere sulle dimissioni immediate di Formigoni e sulla necessità di chiamare l'elettorato leghista ai gazebo.
Risultato finale: il consiglio federale è autonomo, mica siamo più ai tempi dei governi di pentapartito della I repubblica e con l'election day ad aprile si porta a casa il risultato senza smentire (almeno in apparenza) Maroni.
Formigoni è incazzato; di più. Lo sono anche gli ex AN sempre più insofferenti verso una conduzione del PDL che li taglia fuori e che loro giudicano "senza attributi". Il governo di discontinuità di Formigoni rischia di esserlo perché sarà a termine e non a caso il Celeste minaccia a sua volta le dimissioni (sùbito al voto). Il sistema Lombardia, questa volta è finito davvero e per il centro sinistra la mancanza di un candidato con alle spalle una storia è un bel problema.