La grande guerra: Mario Monicelli

Il film ha vinto il Leone d'Oro a Venezia ex aequo con il Generale della Rovere di Rossellini nel 1959 e non so dirvi quante volte l'abbia visto da quando, con una certa regolarità, viene riproposto in TV. Ricordo la prima volta in uno dei cineforum di GS nei primi anni 60; l'ho visto insieme a Tutti a casa, uscito nel 60 per la regia di Comencini, ancora con Sordi e dedicato all'8 settembre dal punto di vista degli Italiani.

Accanto ad Alberto Sordi (Oreste Jacovacci) e Vittorio Gassman (giovanni Busacca) ci sono una serie di comprimari da Silvana Mangano (Costantina, che esercita nelle immediate retrovie del fronte), a Folco Lulli (il soldato Bordin che per mandare qualche soldo a casa si offre per le azioni rischiose in sostituzione dei prescelti – lo rivedremo pochi anni dopo ne I Compagni), a Romolo Valli (il tenente Gallina esempio di borghese prestato all'esercito, diverso dagli stereotipi di ufficiali pazzi e imbecilli di molti film antimilitaristi), a Tiberio Murgia, quello della storica pubblicità della Lavazza (che interpreta il suo ruolo di siciliano spaesato, innamorato di Francesca Bertini – reduce dal recente successo de I soliti ignoti), a Bernard Blier (il pensionato vigliacco di Amici miei che qui interpreta il ruolo del capitano Bollo Tondo esperto di buoni di prelevamento).

Jacovacci (barbiere romano) e Busacca (ladruncolo socialisteggiante milanese) vivono l'esperienza della guerra di trincea sino alla ritirata sul Piave. Si odiano, per carattere e concezione della vita; così diventano inseparabili accomunati dalla tendenza ad imboscarsi. La scena in cui il furiere Sordi si fa dare dei soldi per raccomandare Gassman, è un piccolo capolavopro di recitazione.

Nel corso di un ennesimo atto di imboscamento i due si ritroveranno al di là delle linee costretti a morire da eroi (in maniera sfrontata il milanese e dimesso, furbo sino alla fine, il romano). L'interpretazione, da parte di entrambi, è di altissimo livello.

Il film, secondo me, è molto più efficace e bello di altri film antimilitaristi dedicati alla I guerra mondiale. Monicelli è soffice nel descrivere la insensatezza della vita di trincea, la dis-organizzazione del regio esercito, la umanità dei personaggi che compongono un affresco dell'Italia del primo novecento. I diversi episodi, a guisa di scene teatrali, si aprono in maniera molto efficace con musica e didascalia presa dalle più famose canzoni di trincea.

Nel 1959 ci sono pressioni governative su De Laurentis (nei titoli di coda, dopo la segnalazione del Leone d'Oro, il produttore ringrazia le autorità civili e militari). Per molti la I guerra mondiale è stata il compimento del risorgimento e va trattata con la dovuta retorica. Non bisogna parlare della durezzza della vita di trincea e delle stragi inutili.

Il film va contro corrente. Un esempio: sta nevicando e arriva correndo un portaordini che riesce a rifugiarsi dietro un muricciolo mentre i cecchini lo attendono al varco. Bordin, esperto di trucchi salvalapelle gli raccomanda di attendere che il cecchino abbia svuotato il caricatore, ma un tenentino, dopo essersi accertato che il portaordini ha con sè una lettera sigillata del comando, gli ordina di saltar fuori, perché mica si può attendere l'alba. Il portaordini salta fuori e viene colpito a morte mentre salta nella trincea: la lettera del comando porta gli auguri di Natale e la disposizione di distribuire grappa per tutti.

Il finale ci fa vedere la inquadratura di Jacovacci e Busacca a terra fucilati per non aver voluto rivelare agli austriaci la postazione di un ponte di barche sul Piave, mentre la fanteria italiana contrattacca e il sergente commenta: e pensare che anche questa volta quei due lavativi se la sono scampata.


Il mio voto: 10 alla sceneggiatura, alla regia, a Gassman ed a Sordi